#Mediastorm 93 – Cosa resta del futuro dei giornali (come immaginato dal NYT dieci anni fa)?
Nel 2014 l'"Innovation Report" tracciava il futuro del Times. Cosa possiamo imparare nel rileggere quel documento "straordinario"?
“Ci sono poche cose che possono galvanizzare l'attenzione del mondo dell'informazione come un cambio di leadership al vertice del New York Times. [...] Ma la rimozione di Jill Abramson e l'ascesa di Dean Baquet hanno apparentemente ispirato qualcuno all'interno del Times a far trapelare uno dei documenti più straordinari che abbia mai visto” – Joshua Benton, Nieman Journalism Lab
Quello che ho riportato qui sopra è l'incipit che, giusto dieci anni fa (era il 15 maggio del 2014), il direttore della rivista di giornalismo della fondazione Nieman dell'università di Harvard, scriveva per la sua lunga e approfondita analisi di quello che, a cominciare dal titolo dell'articolo, veniva definito “un documento chiave di questa era mediatica”: il report del New York Times redatto da una squadra di esperti (“innovation team”) guidati da AG Sulzberger, il futuro presidente del consiglio di amministrazione del Times.
Il documento, destinato soltanto per uso interno, non era pensato per essere divulgato ma, fotocopiato alla bell'e meglio e con qualche pagina mancante, era stato reso noto da BuzzFeed: gli allora ragazzi terribili dell'editoria non c’avevano pensato un istante a pubblicarlo appena ne erano venuti in possesso.
Così a svelare che al Times dovevano ammettere di essere in grave ritardo sulle sfide del futuro, era la testata “soltanto digitale” che proprio quel report, nelle sue 98 pagine, citava a ripetizione come uno dei principali modelli da seguire.
Il report, come notava già allora anche la Nieman Journalism Review, non conteneva di per sé cose trascendentali — semmai una lunga serie di considerazioni sullo stato dell’arte e, appunto, una lista di buone pratiche alle quali guardare.
Quello che però sorprendeva era il fatto stesso che un editore come il Times si rendesse conto, con questa lucidità, di quanto fosse necessario un radicale cambio di strategia senza nascondersi, cosa affatto scontata, delle difficoltà nel realizzarlo quel cambio radicale, per le resistenze “culturali” presenti nell'organizzazione del giornale ai vari livelli (ma in particolare nella redazione).
Di queste difficoltà, Jill Abramson, la prima donna a essere nominata a capo della redazione del Times, se n’era resa conto da tempo e, qualche anno dopo, avrà modo di togliersi qualche sassolino dalla scarpa (anche) in merito alla enorme difficoltà di introdurre, in modo compiuto, l’innovazione digitale all’interno di un’istituzione come il Times; giusto per dare un’idea, estrapolo dal suo libro Mercanti di verità:
“Fu indicativo che, al momento del lancio del sito NYTimes.com, a dirigerlo venne chiamato un settantenne ex caporedattore degli esteri, noto per come si addormentava durante le riunioni, e che lo staff del sito lavorava in un altro edificio, a diversi isolati di distanza [dalla redazione]”.
A rileggerlo a dieci anni di distanza “Innovation Report” presenta oggi questioni decisamente superate (ad esempio la necessità di costruire un miglior rapporto con i social media, a cominciare da Facebook) e, certo, bisogna sorvolare sulle molte best pratices citate allora, oggi invecchiate decisamente male.
Tuttavia il documento, ancora oggi ha, a mio avviso, il grande pregio di mettere in evidenza alcuni aspetti, di carattere generale, ancora attuali (e praticati molto meno di quanto necessario), quando si parla di innovazione dentro aziende editoriali.
Senza semplificazione dei processi organizzativi non c’è vera innovazione: “Quando ci vogliono 20 mesi per costruire una cosa, le tue competenze diventano meno legate all’innovazione e più al districarsi nella burocrazia” .
Mettere al centro l’innovazione di “prodotto”, un’innovazione che sa anche “pensare in piccolo” realizzando dall’interno prodotti, tecnologie e modelli facilmente replicabili e scalabili che “cumulativamente possono avere un impatto maggiore di singole grandi innovazioni”.
Uno dei principali obiettivi dell’innovazione deve essere quello di attrarre e sviluppare “talento” capace di portare dentro l’organizzazione nuove idee e nuovi approcci; ed essere capaci, poi, di sostenerlo e non di ostacolarlo e, non ultimo, investirci seriamente denaro: “Per assumere talenti digitali ci vorranno più soldi, più persuasione e più libertà una volta che saranno entrati a far parte del Times, anche quando i candidati potrebbero sembrarci giovani o non ancora affermati”.
Oggi sappiamo che il Times è diventato un editorie principalmente digitale (il 58 % dei ricavi deriva appunto da digitale) con numeri economici più che promettenti per il suo futuro in questa epoca di incertezze per tutti; di contro quel poco che resta ancora in piedi di BuzzFeed, non può certo più rappresentare un modello.
Un cambiamento radicale di scenario, con diverse correzioni di rotta fatte da allora al Times, anche sostanziali. Tutto, o quasi, però è cominciato da quel report e riprenderlo in mano può essere utile per fare un breve bilancio di come, in questi anni, siano cambiati gli scenari nell’industria delle notizie. Provo a sintetizzare questo cambiamento in tre punti:
Traffico vs. coinvolgimento
Pubblicità vs. subscription:
Giornalismo vs. intrattenimento
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🟠 Pubblicità vs. Subscription ➔ Traffico vs. Coinvolgimento
Nel 2014 i ricavi pubblicitari al Times valevano 662 milioni di dollari circa il 40% del totale del fatturato, un drastico ridimensionamento rispetto al passato — nel 2000 pesavano per il 70%, poi il 54% nel 2010 — ma ancora una fetta consistente dei guadagni.
La pubblicità digitale valeva poco più di un quarto del totale dei ricavi da advertising (il 27% per la precisione), ma prometteva ancora di avere margini di crescita importanti, soprattutto nel formato pubblicitario nel quale eccellevano gli allora nuovi editori digitali emergenti: le native advertising e i contenuti sponsorizzati.
Questo giustifica (almeno in parte) l’ossessione che emerge dal report per il traffico online, per i clic, l’ammirazione per le alchimie capaci di rendere virale sui social anche il contenuto più insulso: “Nel complesso, meno del 10% del traffico del Times proviene dai social, rispetto al 60% di BuzzFeed”, ci si lamentava allora
Al Times hanno però avuto il merito di accorgersi che quella strada non portava lontano, già nel 2017 si dichiaravano un giornale digital-first eliminando addirittura, nei resoconti economici, la voce “circulation” (ricavi da diffusione) sostituendola, appunto, con “subscription” (ricavi da abbonamento).
È il nuovo paradigma del Times: non è nell’inseguire, grazie a trucchi e magie, un numero più elevato possibile di lettori (più o meno) occasionali la strategia sulla quale si può edificare il nuovo modello economico; bensì l’obiettivo deve essere quello di rafforzare sempre più la base dei lettori con i quali stringere un patto di fiducia di lungo termine, sancito dalla loro volontà di sottoscrivere un abbonamento.
È stata la svolta decisiva che supera alcuni punti fondamentali di “innovation report” che seppure intuiva che il futuro sarebbe stato sempre più segnato dai ricavi dei lettori (“readers are driving our growth”) ancora privilegiava metriche quantitative, facendosi coinvolgere dall’ossessione per i picchi di traffico favolosi da presentare ai responsabili marketing delle grandi aziende.
Al “modello BuzzFeed” ovvero: massimizzazione del traffico attraverso i social e ricavi basati su pubblicità, viene sostituito il “modello Netflix” ovvero: massimizzazione del consumo di contenuti on-site per singolo utente/lettore e ricavi basati principalmente su abbonamenti (nota: Netflix nel report del 2014 è citata una sola volta e in maniera molto generica).
A marzo di quest’anno il Times ha aggiunto 210 mila abbonati netti e l’obiettivo dichiarato è quello di raggiungere quota 15 milioni entro il 2027, ad inizio di questo mese al momento di presentare agli investitori i risultati del primo trimestre del 2024, l’attuale CEO Meredith Kopit Levien ha dichiarato:
“La nostra strategia è diventare l'abbonamento essenziale per ogni persona curiosa che cerca di capire e di confrontarsi con il mondo. La percentuale di abbonati che trascorre del tempo sul nostro sito e sulle nostre applicazioni ogni settimana è ora al punto più alto dal picco registrato durante la pandemia. Questo è un chiaro segno che stiamo offrendo valore agli utenti e che stiamo aumentando la loro probabilità di costruire relazioni a lungo termine con il Times”.
🟠 Giornalismo vs. Intrattenimento
Se sei il Times il giornalismo di qualità non può che essere al centro di tutto quello che fai, ma in questi anni sono stati sviluppati e fatti crescere altri “prodotti” che con le notizie in senso stretto hanno decisamente poco a che fare: come Cooking, Wirecutter, NYT Games.
Già nel report del 2014 si era consapevoli che un immenso patrimonio di contenuti — non necessariamente giornalistici — poteva essere sfruttato decisamente meglio:
“Ci sono circa 14,7 milioni di articoli negli archivi del Times risalenti al 1851. Il Times deve fare un lavoro migliore nel far emergere i contenuti d'archivio”.
E ancora:
“Le ricette non venivano mai etichettate in base agli ingredienti e al tempo di cottura. Per questo motivo, “abbiamo annaspato per 15 anni cercando di capire come creare un utile database di ricette spendendo una somma enorme per strutturare retroattivamente i dati”.
Oggi il sito/app del Times dedicato alla cucina è uno dei prodotti chiave per la crescita (e il mantenimento) degli abbonati: siti/app stand-alone ai quali ci si può abbonare sia singolarmente che in pacchetto con i contenuti giornalistici.
Nel 2014 uno dei punti di maggior “scandalo” del report è stato il passaggio nel quale si sosteneva che il “muro tra stato e chiesa” — l’assoluta e totale separazione tra la redazione e il dipartimento marketing, ritenuta sacra e inviolabile — doveva essere quantomeno rivisto.
Se nel 2014 si pensava più a una progettazione che coinvolgesse l’area marketing per stringere rapporti con nuovi sponsor oggi ci si concentra maggiormente con l’area strategica dedicata ad incrementare gli abbonati digitali.
I siti app alternativi alle news oggi per il Times svolgono una funzione essenziale: per i potenziali abbonati sono, da una parte, delle porte d’ingresso alternative (a prezzi contenuti) rispetto a quella principale dedicata alle notizie e alle grandi inchieste. Hanno, in questo modo, il pregio di non svalutare il valore economico percepito dei contenuti più “importanti”; dall’altra parte però aggiungono comunque valore all’offerta di abbonamento “tutto compreso”. In perfetta logica aggregare/disaggregare che nel digitale qualche risultato sembra sempre darlo.
È significativo che questi prodotti oggi rappresentino il 27% degli abbonati (digitali e non), è altrettanto significativo che, nell’ultimo anno il peso degli abbonamenti alle sole news sia passato dal 37% al 24% (-13 punti percentuali).
L’aumento netto degli abbonamenti, tra marzo 2023 e marzo 2024, d’altronde è dato dai 2,05 milioni abbonati guadagnati dall’offerta in bundle, ai quali si aggiunge il saldo attivo di 460 mila abbonamenti ai singoli prodotti non-news ai quali però va sottratta la voce degli abbonamenti alle sole news calati di 1,1 milioni di unità.
Come accaduto al giornale di carta quindi anche l’abbonamento digitale “news-only” è ormai un prodotto destinato a un lento declino. La crescita economica del Times è legata allo sviluppo degli abbonamenti in bundle (dove trovare le notizie, ma anche intrattenimento) e i prodotti singoli non legati alle news che oggi rappresentano – secondo dati fondo investimento ValueAct – la quota di tempo speso maggiore da parte degli abbonati.
Fondamentale per la crescita sarà, in questo contesto, la capacità di convincere gli abbonati alle offerte a prezzi promozionali verso quelle a prezzi più alti (e aumentare così il “valore” di ogni singolo abbonato, le ARPU, oggi una metrica cardine).
Non è un passaggio da poco, cito ancora l’intervento della CEO Kopit Levien alla presentazione della prima trimestrale del 2024:
“Le nostre notizie destinate a un’audience mondiale, combinata con i nostri prodotti distintivi nei settori dell’enigmistica, dello sport, della cucina e dei consigli per gli acquisti, sta attirando un pubblico vasto e appassionato. Ognuno di questi prodotti complementari risponde a un’esigenza diversa nella vita delle persone, il che significa che c'è sempre un motivo per cercare il Times”.
🗄️ Materiali: il report “Innovation” completo in formato pdf:
📖 Sullo stesso argomento, puoi leggere:
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
È davvero tutto per questo numero, grazie per aver letto fino a qui.
Alla prossima puntata.
Lelio.
“Mercanti di verità” è uno di quei libri acquistati ma ancora non toccati. Dici che è una lettura già superata?