#Mediastorm 11 - Il New York Times può davvero puntare a 100 milioni di abbonati?
Uno sguardo ai numeri del Times e qualche riflessione su punti di forza e limiti della Subscription economy in campo editoriale.
Nelle settimane scorse il New York Times ha annunciato che diverse delle sue più seguite newsletter – fino ad oggi aperte a tutti – saranno riservate soltanto a chi ha sottoscritto un abbonamento al giornale; così come, altra notizia di questi settimane, anche il sito di recensioni di prodotti Wirecutter, con il quale il Times ha sperimentato le revenue da affiliazione, sarà posto sotto paywall.
Seppure queste siano, sostanzialmente, due notizie di secondo piano ci confermano quanto il Times sia impegnato a dare un’ulteriore accelerata nella sua strategia di adesione alla subscription economy.
Nella sua ultima relazione trimestrale, pubblicata ad agosto, gli abbonati “solo digitali” hanno raggiunto quota 7,13 milioni, un incremento nei primi sei mesi del 2021 rispetto alla fine del 2020 di 440 mila abbonati (l’edizione cartacea conta invece a fine giugno 803 mila abbonati in leggero calo rispetto agli 825 mila di fine dicembre scorso).
D’altronde sempre nella nota stampa di presentazione dei risultati economici del secondo trimestre di quest’anno, leggiamo questo passaggio:
“Data l'opportunità che vediamo in un mercato di almeno 100 milioni persone che potrebbero pagare per il giornalismo in lingua inglese continuiamo a investire. [...] Riteniamo che questi investimenti ci consentiranno di far crescere la nostra quota di mercato e anche di costruire un’azienda più grande e più redditizia nel tempo”.
Chiaro no? Il messaggio è: là fuori ci sono 100 milioni di potenziali clienti paganti, nonostante i nostri quasi 8 milioni di abbonati complessivi rappresentino oggi una cifra nettamente superiore a qualsiasi altro giornale al mondo, c’è ancora molto da lavorare e abbiamo margini di crescita enormi.
Ma quanto mai potranno crescere i lettori (paganti) di una singola testata, anche se questa si chiama New York Times? Si prospetta, oggi, una “guerra degli abbonamenti” nel campo delle news come sta accadendo con lo streaming video? Provo a mettere in fila qualche dato.
Benvenuta, benvenuto io sono Lelio Simi e questo è l’undicesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
Se non lo sei già, puoi iscriverti a questa newsletter qui
Se dopo averla letta hai suggerimenti, domande o segnalazioni da farmi puoi scrivermi a questa email: leliosimi@substack.com, altrimenti se quello che ho scritto ti suggerisce delle riflessioni da fare puoi usare direttamente la sezione commenti
Il contesto generale
Quando parliamo di modello vincente del New York Times è sempre utile ricordare che anche al Times l’impatto con il nuovo ecosistema digitale, così come per tutti le testate tradizionali, ha provocato negli ultimi due decenni un ridimensionamento drammatico, tra 2010 e 2020 i suoi ricavi sono passati dai circa 2,4 a 1,5 miliardi di dollari (ricavi totali che guardando ancora più indietro, nel 2000, raggiungevano i 3,4 miliardi), così come i dipendenti complessivi a tempo pieno sono passati dai 7.400 del 2010 ai 4.700 del 2020.
Detto questo oggi sì, il Times oggi è tornato a crescere e dimostra di adattarsi benissimo alle nuove sfide poste dall’era digitale. I ricavi dei primi sei mesi del 2021 non soltanto sono tornati ai livelli pre-covid ma li hanno superati (+11% sulla prima metà del 2019), e questo nonostante il calo dei ricavi da pubblicità (-36 milioni di dollari) e degli abbonamenti su stampa (-20 milioni) che però sono stati ampiamente ricompensati dall’incremento di quelli da abbonamenti digitali (+147 milioni).
Proprio gli abbonamenti digitali sono il simbolo di questo rinnovamento del Times (il suo paywall è stato lanciato nel 2011): se confrontiamo i ricavi del secondo trimestre, considerato generalmente un periodo “fiacco” per gli abbonamenti, dal 2015 al 2021 vediamo un incremento stratosferico dei fatturati da abbonamenti digitali: dai 48,94 milioni di dollari di sei anni fa, ai 190,15 milioni del 2021 (ovvero un multiplo di quasi quattro volte) mentre i ricavi da abbonamento alla stampa sono passati, nel medesimo periodo, da 164,19 milioni ai 149,07 milioni, subendo una flessione tutto sommato contenuta del 9%. Questo ha permesso ai ricavi trimestrali da abbonamento di crescere di 126 milioni di dollari (+59%).
Stando a questi numeri la sostanziale tenuta dei ricavi da abbonamenti cartacei (più correttamente: la buona gestione del loro declino) è, almeno fino ad oggi, una delle chiavi più importanti per capire il “modello New York Times” tanto quanto la contemporanea capacità di far crescere enormemente quelli da digitale.
Il peso dei ricavi da abbonamenti solo-digitali sul totale dei ricavi da abbonamento dal Q2 2015 e Q2 2021 è passato dal 23% al 56% ottimo certo, ma è importante tener conto che il valore medio dell’abbonamento al “vecchio” giornale di carta è nettamente più alto di quello al digitale: a maggio il rapporto ricavi per singolo abbonato su base mensile per la stampa è stato di 61,88 dollari mentre per il digitale è di 8,89 dollari (nel dettaglio: 10,68 dollari il valore degli abbonamenti alle sole news 3,57 dollari agli “altri prodotti” come NYT Cooking o le parole crociate ai quali ci si può abbonare singolarmente).
Una cosa importante quindi da considerare: se si vogliono mantenere i ricavi più o meno stabili bisogna avere presente che per ogni abbonato alla copia di carta perso il Times deve guadagnare circa 7 abbonati digitali (oppure circa 6 quelli alle sole news e 17 agli “altri abbonamenti digitali”).
Proporre abbonamenti digitali a prezzi molto competitivi e con continue offerte speciali per i nuovi abbonati (in questo momento viene proposto un abbonamento per un anno a 2 dollari il mese invece di 8) è sicuramente una strategia per incrementare la base di subscriber ma alla lunga potrebbe rappresentare un problema, proprio perché rischia da una parte di rendere sempre più difficile compensare il declino degli abbonamenti alla versione cartacea dall’altra di svilire il valore percepito di quelli digitali.
Quanto vale un abbonato?
Per questo è interessante guardare l’evoluzione dei ricavi medi per singolo utente degli abbonamenti digitali al Times: su base mensile a maggio 2015 era di 14,37 dollari mentre a maggio 2021 è, come ho già scritto, di 8,89 un calo del 38% a fronte di un aumento degli abbonati digitali totali nello stesso periodo da 1,14 milioni a 7,13 milioni (+41%).
Sì, ma quanto può essere retto questo continuo gioco al ribasso (sui prezzi) per aumentare il numero degli abbonati? Direi non molto e, infatti, se guardiamo ancora più nel dettaglio i dati dell’ultimo anno vediamo che i ricavi mensili per abbonato sono aumentati tra il secondo trimestre 2020 e quello del 2021 per tutte le tipologie di abbonamento (news digitali, altri abbonamenti digitali e stampa) intorno al 6%. Un incremento ridotto, vero, ma che segna comunque un’inversione di tendenza.
Questo potrebbe giustificare le recenti scelte da cui siamo partiti: mettere sotto paywall una buona parte del ricco pacchetto delle newsletter e il sito Wirecutter, offerti fino a ieri gratuitamente, risponde alla logica di incrementare il valore percepito degli abbonamenti nel primo caso e di allargare numericamente l’offerta dei singoli prodotti standalone in abbonamento.
Una cosa particolare: gli abbonamenti ai singoli siti non legati alle news (ad esempio Cooking o le parole crociate, o i podcast) nei primi sei mesi del 2021 hanno rappresentato il 45% dell’incremento dei nuovi abbonati digitali del Times del periodo, non male, ci dice che questi possono essere un ottimo strumento per attrarre nuovi abbonati anche se poi c’è da tenere presente che, concretamente, quel +45% nel numero di abbonati si traduce soltanto in un +14% sull’incremento dei ricavi realizzati da abbonamenti digitali.
Inseguendo quota 100 (milioni)
Ma come si inseguono quei potenziali 100 milioni di lettori (paganti) e chi potrebbe porsi lungo la strada come serio antagonista alla corsa quella quota 100?
Per il Times potrebbe avvenire qualcosa di simile a quello che sta già avvenendo nella guerra dello streaming video con Netflix (al cui modello di business al Times hanno detto spesso di confrontarsi) che da assoluta dominatrice oggi, deve confrontarsi con sempre più concorrenti.
Per il momento però il mercato degli abbonamenti a pagamento per i giornali sembra ancora tutto da sviluppare, scrive Digiday:
«Nel 2020, i ricavi degli abbonamenti per gli editori sono cresciuti del 16%, secondo uno studio della piattaforma di gestione degli abbonamenti Zuora; secondo il Reuters Institute Digital News Report 2021, circa un quinto (21%) degli adulti americani ora paga almeno un punto vendita di notizie online negli Stati Uniti . La maggior parte di coloro che pagano ha in media due abbonamenti».
Attenzione però perché, giustamente, Digiday aggiunge:
«Ma quanti abbonamenti può pagare un lettore? E quanti ne manterranno, soprattutto senza le montagne russe del 2020 per tenerli bloccati nel ciclo delle notizie?».
Molte testate si stanno attrezzando assumendo personale e organizzando staff con professionalità varie dedicate a supportare le nuove strategie di abbonamento (come designer, copywriter, responsabili marketing specializzati in acquisire nuovi abbonati e nella loro fidelizzazione). Il Times ha il vantaggio (come Netflix) di essere partito per primo guadagnando un discreto margine di distacco su tutti gli altri.
Ma anche qui, il mercato comincia ad aggiungere concorrenti, a cominciare dal Washington Post targato Bezos/Amazon. Per questo un punto fondamentale diventa quindi allargare sempre più i confini oltre l’audience nazionale puntando i lettori che, tra le persone che nel mondo parlano inglese come seconda lingua (valutati complessivamente in circa un miliardo), sono disposti a pagare per giornalismo di qualità.
Oggi al New York Times gli abbonati che risiedono fuori dagli Stati Uniti sono il 16% (la maggior parte proviene ancora da altri paesi di lingua inglese come il Canada e l'Australia), una quota che necessariamente deve tentare di fare salire nei prossimi anni guardano oltre i madrelingua.
Proprio il Post sta puntando molto su internazionalizzazione, secondo molti questa è stata l’idea di Bezos fin dall’inizio, da quando lo ha acquistato (ne ho scritto un po’ di anni fa, su Pagina99). Molto più recentemente è stato fatto notare che:
«sul versante editoriale sta prendendo forma la nuova Big Idea: trasformare il Post in un punto di riferimento per i lettori globali»,
«Otto anni dopo [l’arrivo di Bezos], il Post è passato da 35.000 abbonati digitali a 3 milioni, mentre la diffusione media della carta stampata domenicale è scesa del 46%, a 335 mila, secondo i dati più recenti dell'Alliance for Audited Media».
In questo scenario diventa urgente chiedersi, a tutti i livelli, cosa significhi davvero replicare i meccanismi della "guerre globali dello streaming" in campo giornalistico.
Un ultimo pensiero: dagli abbonamenti a pochi dollari di NYT Cooking, a quelli da quasi 10 mila dollari l'anno di Politico PRO (grazie ai quali il giornale online ha ritrovato redditività e una valutazione da un miliardo di dollari) passando per tutti gli altri, la gamma di format delle subscription digitali nel campo editoriale presenta varietà estremamente ampia che non si registra in nessun altro settore dei media; uno dei pochi vantaggi che giornali possono giocarsi nella subscription economy, ma per farlo hanno bisogno di investire in talento e competenze specifiche, in quanti hanno la volontà e le risorse per puntarci sul serio?
📑Tre cose #daleggere (su media e disruption digitale)
1️⃣ I candidati, le cene in casa di Jeff Bezos, insomma il dietro le quinte che ha portato alla nomina della nuova guida della redazione del Washington Post, Sally Buzbee (ex Associated Press) la prima donna executive editor nella storia del giornale, una scelta perfettamente in linea per come il padrone di Amazon sta trasformato il Post (anche) in un’azienda tecnologica per farlo diventare il punto di riferimento mondiale delle news.
→ Splendido reportage di Andrew Beaujon sul Washingtonian (tempo lettura 23 minuti)
2️⃣ Qualche network nazionale e il quotidiano locale al mattino, quella che era una semplice “dieta mediatica” di un americano un po’ di decenni fa si è trasformata oggi in un “ecosistema mediatico” caotico e complesso. Informazione, pubblicità, marketing e comunicazione politica si confondono. Ma quanto davvero i media digitali oggi hanno la capacità di manipolare le persone? Quanto la narrazione del loro infallibile potere su ognuno di noi corrisponde alla realtà e, soprattutto, quanto quella narrazione finisce per alimentare (economicamente) la stessa industria dei media?
→ da leggere con attenzione “Selling the story of disinformation” di Joe Bernstein su Harper’s Magazine (tempo lettura 23 minuti)
3️⃣ Gli sviluppi della società letti attraverso il medium della televisione. Il passaggio dall'analogico al digitale. E un pubblico sempre più giovane e in preda a visioni compulsive. Cosa succede ai palinsesti, come cambia la fruizione della televisione? E qual è il suo futuro?
→ Bella intervista di Filippo Rosso a Fabio Guarnaccia (direttore di Link, Idee per la TV) su Singola (tempo lettura 17 minuti)
#Mediastorm: una newsletter sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 11 - 12 settembre 2021.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui trovi la sua scheda, oltre che in libreria lo puoi trovare anche su principali store online ad esempio: Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
→ Se sei interessato a seguirmi qui il mio account Twitter e su Medium, qui invece il mio portfolio.
→ Per collaborazioni e contatti professionali qui mio profilo Linkedin.
→ Se hai appunti, suggerimenti o correzioni da suggerirmi puoi scrivermi qui: leliosimi@substack.com
[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].