#Mediastorm 34 – Quanto vale un premio Pulitzer?
I grandi azionisti di BuzzFeed vogliono chiudere la sua divisione News che l'anno scorso ha vinto un Pulitzer, che valore ha oggi il giornalismo d'inchiesta?
Agli investitori finanziari le notizie non piacciono, o meglio, quantomeno non le ritengono un buon affare. Almeno questa è la conclusione che possiamo trarre alla notizia che molti degli azionisti più importanti che sostengono BuzzFeed nella sua avventura in Borsa stanno facendo forti pressioni sul Ceo Jonah Peretti per far chiudere definitivamente BuzzFeed News, la divisione di giornalismo d’inchiesta fiore all’occhiello del giornale online.
BuzzFeed News è una parte della divisione più ampia dedicata ai contenuti di BuzzFeed, nella quale troviamo ovviamente anche i listicle e l’Infotainment dedicato a tematiche come lifestyle o alla cucina (Tasty), tutte cose diventate un marchio di fabbrica degli ex “ragazzi terribili” dell’industria editoriale.
La divisione News è quella dedicata al “giornalismo-giornalismo” con inchieste che hanno fruttato anche un premio Pulitzer nel 2021 per una serie di articoli che hanno utilizzato immagini satellitari, modelli architettonici 3D e interviste per esporre la vasta infrastruttura cinese per la detenzione di centinaia di migliaia di musulmani nella sua regione dello Xinjiang.
BuzzFeed News ha circa 100 dipendenti e perde circa 10 milioni di dollari all’anno, ha scritto la CNBC precisando che BuzzFeed ha dichiarato che complessivamente le sue entrate relative ai contenuti per l’intero anno sono cresciute del 9% nel 2021 a 130 milioni di dollar sei.
Secondo quanto riporta ancora la CNBC la chiusura della redazione potrebbe aggiungere fino a 300 milioni di dollari di capitalizzazione di mercato, una benedizione per il titolo che oggi è in difficoltà dopo un esordio pessimo a Wall Street con le azioni scese del 40% nella prima settimana di negoziazione senza mai riprendersi veramente da allora. (Nota: la capitalizzazione di BuzzFeed mentre scrivo è di 687 milioni di dollari quindi il taglio garantirebbe, secondo gli esperti sentiti da CNBC, oltre il 40% di aumento).
Insomma per i finanziatori di BuzzFeed la sua redazione giornalistica è un peso, una zavorra, non il modo per dare spessore e sostanza alla sua attività di editore con importanti reportage e inchieste originali. Per il momento Peretti difende la redazione news, dopo aver licenziato un po’ di personale (in conseguenza dei quali il caporedattore Mark Schoofs, un premio Pulitzer quando lavorava al New York Times, si è dimesso) ma dice che in futuro “Daremo la priorità agli investimenti sulla copertura delle più grandi notizie del giorno, cultura e intrattenimento, celebrità e vita su Internet” (nessun accenno quindi alle grandi inchieste e reportage che hanno distinto BuzzFeed News).
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Per un po’ di tempo BuzzFeed ha personificato (seguita da molti altre startup editoriali) una certa di idea di media company con (anche) grandi ambizioni giornalistiche pur pensandosi come una tech company della Silicon Valley promettendo gli stessi parametri di crescita.
Le cose sono andate diversamente, dimostrando che l’idea era quantomeno difficile da realizzare. Tutte si sono dovute scontrare con una realtà molto diversa, il risultato quasi sempre è stato: pesanti licenziamenti (o chiusure totali delle redazioni), avversione totale a qualsiasi forma di sindacalizzazione (d’altronde se il modello è la Valley laggiù i sindacati non li amano affatto).
Se oggi pensiamo a degli editori innovativi e in crescita i nomi che vengono in mente sono quelli di una manciata di “vecchi dinosauri” tra i quali il Guardian (che però è sostenuto da una fondazione senza scopo di lucro che garantisce in perpetuo l'indipendenza editoriale ), il Washington Post (ormai integrato dentro l’universo Bezos-Amazon) e il New York Times. E, davvero, pochi altri.
Il punto è che i giornali sono organizzazioni complesse da gestire e le notizie, soprattutto le grandi inchieste, hanno bisogno di molto tempo per essere realizzate bene, costano molto – sì, certo molto meno di una serie TV – ma hanno margini di guadagno tutti da valutare concretamente.
Quali sono i margini di guadagno di una grande inchiesta come quella del New York Times su evasione fiscale Trump costata almeno un milione e mezzo di dollari e tempi di realizzazione molto lunghi? Certo quell’inchiesta, come altre realizzate in questi anni dal Times, ha contribuito a cementare un patto di fiducia con i propri lettori, basato sulla qualità e l’accuratezza del suo giornalismo, fondamentale dal momento che il giornale punta tutto sulla subscription economy.
Il Times che è quotato in Borsa, da quando ha lanciato la sua politica sugli abbonamenti digitali nel 2011 ha visto tornare a crescere il suo valore a Wall Street, ma è anche vero che la sua capitalizzazione da novembre a oggi è diminuita dai 9,12 miliardi di dollari di novembre ai 7,56 di marzo nonostante a gennaio abbia annunciato di aver raggiunto, anzitempo, l’obiettivo dei 10 milioni di abbonati.
Perché una pietra miliare così importante non ha fatto crescere notevolmente il valore del Times? Non è il numero dei subscribers il parametro principale con il quale sono state valutate aziende come Netflix?
Agli investitori finanziari piacciono molto le “razionalizzazioni” (leggi licenziamenti, magari dell’intera redazione chiedete a quelli di Mic altra startup editoriale sostenuta da capitale di ventura) e molto poco l’aumento dei costi per rafforzare le redazioni e renderle, giornalisticamente, più competitive (il Times è tornato ad assumere giornalisti), oppure investire un milione di dollari, o più, per realizzare un grande reportage i cui reali effetti economici nel breve periodo sono difficili da calcolare.
Quando qualche settimana fa ho messo insieme qualche dato relativo a fatturato medio per abbonato al Times (la ARPU o più precisamente l’ARPS), abbiamo visto come questi valori siano molto diversi tra gli abbonati alle news e quelli a Crossword e Cooking, un dato molto importante che sarebbe interessante conoscere (ma ovviamente i bilanci che il Times rende pubblici non vanno così in profondità) sono i costi relativi a queste diverse voci; è facile immaginare però che quelli per le news (e le grandi inchieste) siano decisamente maggiori rispetto agli altri contenuti non legati alle notizie, con utili operativi decisamente minori.
Il giornalismo d’inchiesta non può garantire margini di guadagno in costante crescita e ai livelli che pretendono gli investitori finanziari e i venture capitalist che tanto hanno sostenuto, in questi anni, le startup editoriali che promettevano (e molte promettono anche oggi) di rottamare i vecchi editori e guarire dalla sua crisi l’industria del giornalismo.
Un precisazione importante: il fatturato dell'intero anno a BuzzFeed è cresciuto del 24% anno su anno a 398 milioni di dollari. L'utile netto è più che raddoppiato rispetto allo scorso anno a 25,9 milioni di dollari (la fonte di questi dati è Axios). BuzzFeed quindi è un azienda in attivo, tuttavia la logica, se parliamo di giornalismo d’inchiesta e reportage è quella: “o garantisci i guadagni che pretendo nei tempi che detto io altrimenti meglio chiudere tutto”.
Quanto vale un premio Pulitzer? La redazione che lo ha ottenuto può essere vista solo come un peso, una zavorra, oppure il suo valore (anche economico) può – deve – essere valutato nel lungo periodo. Quanto valore aggiunge al “prestigio”, al valore, alla redditività, del resto dei contenuti che vengono prodotti, compresi i contenuti più leggeri come quelli dedicati al lifestyle, parole crociate e siti dedicati alla cucina?
Certo alla fine i conti economici devono tornare, anche quando parliamo di giornalismo d’inchiesta; bisogna però chiedersi se i parametri con i quali vengono valutati quei conti devono essere dettati da chi ha, come unico fine, quello di massimizzare nel più breve periodo i propri guadagni.
📑Tre storie da leggere (su media e cultura digitale)
1️⃣ In Italia il cinema nelle sale sta morendo?
Di certo la pandemia ha inferto un colpo di grazia a un sistema già fragile, di sicuro abbiamo avuto norme più rigide sugli accessi in sala rispetto ad altri Paesi europei, la pandemia ha colpito pesante in Italia e quindi è normale avere paura dei luoghi chiusi. Ma queste sono le contingenze, le cause profonde sono altrove. Gli esercenti in larga misura non hanno ripensato al loro ruolo di imprenditori culturali ma, in un momento di radicale cambiamento nella fruizione degli oggetti cinematografici determinato dall'espandersi di piattaforme e visione online, si sono adagiati su un sistema obsoleto: esce un film, lo chiedo all'agente di zona (spesso imploro che mi venga dato il film “di cassetta”), attacco due manifesti e aspetto il pubblico.
► L'ultimo spettacolo, Alessandro Rossi su Il Mulino Rivista (tempo lettura 7 minuti).
2️⃣ Storia segreta della disinformazione
La disinformazione, per sua stessa natura, ha provato a opporre resistenza ai dati. Se più dati significano misurazioni più affidabili, Internet ha avuto l’effetto inverso sulla vecchia arte del political warfare, con le metriche prodotte dalla disinformazione digitale che erano esse stesse in larga misura disinformazione. Internet non ha reso più precise l’arte e la scienza della disinformazione, ha reso le misure attive meno misurate e più difficili da controllare, così come è più difficile isolare gli effetti voluti. Di conseguenza, la disinformazione è diventata perfino più pericolosa.
► Il trionfo della disinformazione digitale di massa, Gioacchino Toni su Carmilla Online propone un’interessante lettura libro di Thomas Rid, Misure attive. Storia segreta della disinformazione (Luiss University Press, 2022) (Tempo lettura 12 minuti).
3️⃣ La (bizzarra) matrice esoterica della pubblicità
Loghi come simboli magici. Payoff come formule alchemiche. Qualcuno potrebbe pensare che le agenzie pubblicitarie siano antri stregoneschi dove si praticano evocazioni di demoni o riti orgiastici. Magari fosse così. In realtà sono uffici normalissimi, frequentati da persone molto impegnate. Ma basta fermarsi ad ascoltare pochi minuti per rendersi conto che quegli innocui impiegati parlano una lingua sconosciuta, da cui affiorano minotauri con testa italiana e corpo inglese tipo brieffare, schedulare, deliverare, una litania condivisa in gruppo e a coppie, incomprensibile e ipnotica. Solo allora appare evidente anche al profano di advertising quanto il mestiere che si pratica lì dentro abbia una forte componente iniziatica.
►Pubblicità e magia. Dalla guerra non convenzionale agli algoritmi del caos, di Belusci su L’indiscreto (tempo lettura 7 minuti).
📈 Chart, chart, chart
🎵 Dopo che il 2020 è stato bloccato dalla pandemia globale, il mercato mondiale della musica registrata è cresciuto vertiginosamente nel 2021, crescendo del 24,7% fino a raggiungere 28,8 miliardi di dollari (la più grande crescita annuale dei tempi moderni). La crescita del 2020 è stata molto più modesta (7%), ma ciò riflette l'effetto della pandemia globale nella prima metà dell'anno. Lo streaming DSP (Spotify, Apple Music, Amazon Music, YouTube Music, ecc.) è cresciuto notevolmente, raggiungendo 17 miliardi di dollari. (via Midia Reserch).
🔎 Dal 2013 in Italia, il mezzo Total digital (OTT comprese) è cresciuto in maniera costante (unica eccezione nel 2020) arrivando a registrare nel 2021 un valore più che raddoppiato (+105,8% rispetto al 2013). Nello stesso periodo, il perimetro limitato alle concessionarie che aderiscono a FCP-AssoInternet (524 milioni di euro nel 2021) è cresciuto del 12,9% con una quota all’interno del Total Digital pari al 14,0% circa. (Via Confindustria Radio Televisioni)
👋Prima di salutarci…
La subscription economy ci sta sfuggendo di mano? Sheetz una catena americana di minimarket e caffetterie offre ora un servizio in abbonamento per il suo “fryz” per 9,99 dollari al mese, disponibile tramite l'app mobile proprietaria. I clienti possono ordinare patatine fritte tramite l'app ogni due ore e non c'è limite al numero di volte in cui utilizzano l'abbonamento di mese in mese.
#Mediastorm: una newsletter di appunti e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 34 - 27 marzo 2022.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
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