I siti online dei principali giornali italiani sono stati lanciati ormai cinque lustri fa — il primo in assoluto è quello di Repubblica nel 1997 — come giustamente ha fatto notare Mario Tedeschini Lalli ad inizio di quest’anno, parlare ancora di “transizione digitale” come di un processo, se non completamente, ancora in gran parte da realizzare, può sembrare del tutto fuori luogo.
Senza tanti giri di parole Mario ricorda che:
Care amiche e amici: per il giornalismo italiano non è più tempo di transitare, il digitale già permea la nostra vita e il nostro lavoro. Chi non è transitato, non transita più.
Questo non vuol dire, ovviamente, che i conti economici degli editori i ricavi da digitale debbano, oggi in questa fase, essere necessariamente maggiori di quelli da cartaceo. Ma certo se guardiamo un po’ di dati è facile notare come la maggior parte dei grandi editori, da noi, sia ancora quasi del tutto dipendente da ricavi da cartaceo e molto poco da quelli da digitale.
Ad esempio: a RCS che pure qualche passo avanti in questo senso lo hanno fatto nella trimestrale di settembre 2023 i ricavi digitali nei primi nove mesi dell’anno sono stati 101 milioni di euro, un incremento del 5,5% sul 2022 e dell’8% sul 2021 per un peso sul totale dei ricavi del 23%. Il che vuol dire che per tre quarti il maggiore editore italiano dipende ancora economicamente da ricavi tradizionali (ricavi che sono, ci fosse bisogno di ricordarlo, in declino strutturale).
C’è poi da dire che il digitale ci ha trasportato nell’era della transizione permanente dove “luoghi” (web, mobile e app), formati (testo, podcast, video) e tecnologie (in ultimo l’intelligenza artificiale) si evolvono continuamente: la transizione — se così la vogliamo chiamare — non si presenta a tappe, una successiva l’altra in modo ordinato e compiuto, ma si realizza costantemente in modalità asincrona.
Provo a mettere in fila qualche idea:
Non è una semplice transizione da carta a digitale: ma un passaggio da un modello che si basa (esclusivamente) su carta e (principalmente) ricavi pubblicitari a uno che si basa (principalmente) su digitale e (principalmente) ricavi da abbonamenti. C’è però da tenere presente che:
Il traffico online per le principali testate ormai si è sostanzialmente stabilizzato, ci possono essere, a fronte di grandi eventi, dei picchi di attenzione (ma nemmeno così scontati), quindi:
Tutta la partita oggi si gioca quindi sulla capacità di coinvolgere e “convertire” gli utenti occasionali che già leggono il giornale online in abbonati fedeli e, di pari passo, convincere gli abbonati a rinnovare nel tempo.
Attuare strategie di conversione efficaci ha un costo elevato, servono investimenti nel migliorare il prodotto: nella tecnologia, nell’esperienza utente, nella capacità di leggere in profondità i dati e saperli utilizzare nel realizzare azioni efficaci per rendere più efficiente l’offerta e la gestione degli abbonamenti digitali.
Per questo l’idea che “puntare sul web” sia principalmente (se non unicamente) un modo per tagliare i costi della carta stampata è deleteria (seppure dura a morire).
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è l’ottantacinquesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando/trasformerà l’economia delle industrie dei media e il nostro rapporto con i loro “prodotti”. Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
Se dopo averla letta hai suggerimenti, domande o segnalazioni da farmi puoi scrivermi a questa email leliosimi@substack.com, oppure se quello che ho scritto ti suggerisce delle riflessioni che vuoi condividere, oltre che con me, anche con gli altri lettori puoi usare direttamente la sezione commenti, sarò felice di risponderti. Se invece vuoi consultare le altre puntate di questa newsletter pubblicate puoi farlo da qui ► Archivio #Mediastorm.
🟠 L’Italia non è un paese per paperboy
In Italia non c’è mai stata, a differenza di altri Paesi, una “cultura” degli abbonamenti, almeno non per i giornali (e per i quotidiani in modo particolare). Gli editori si sono sempre affidati a una rete di edicole distribuita capillarmente sul territorio, che però è stata lasciata sempre a sé stessa e, con la crisi delle vendite, dopo i primi segni di cedimento già una decina di anni fa è poi, definitivamente, implosa.
Per dare un’idea: nel 2014, più o meno nel momento nel quale molti editori internazionali adottavano in maniera più decisa i paywall, in Francia le copie vendute in abbonamento rappresentavano il 46% sul totale della diffusione cartacea (mentre quelle in edicola il 28%); in Italia questa rapporto si ribaltava con le copie vendute singolarmente nelle edicole al 60% della diffusione e quelle per abbonamento solo il 6% (la fonte è il rapporto Ediland di quell’anno). Questo tra l’altro è anche un grosso problema per quanto riguarda le copie rese, ma va bene affrontiamo un problema alla volta.
Qualche dato più recente: le vendite di copie tramite abbonamento cartaceo di Repubblica nei primi sei mesi del 2023 sono state, nel giorno medio, 325 (0,3 % sul totale delle copie vendute “individualmente”), per il Corriere della Sera 812 (0,4% sul totale del venduto).
Quello italiano, quindi, più precisamente è stato (e, nonostante tutti i limiti, lo è anche oggi) un modello carta-pubblicità-edicola che ha presentato (e presenta tutt’oggi) decisamente maggiori difficoltà nel passaggio verso un modello basato su digitale e subscription rispetto a chi, anche nel cartaceo, aveva gli abbonamenti come principale forma di distribuzione.
🟠 Il tempo e i costi, della “conversione”
Il traffico dei siti online nella maggior parte dei casi ormai stabilizzato, tranne rari picchi di attenzione e, semmai per molti dei principali quotidiani italiani è, addirittura, in declino. Insomma la bocca dell’imbuto del percorso di conversione (conversion funnel) non vedrà crescite significative nei prossimi anni (direi che, semai, rischia di diventare ancora più stretta).
Tutto (o quasi) si gioca sull’aumento dei tassi di conversione e sulla fidelizzazione (convincere un numero crescente di lettori saltuari a diventare abbonati e poi convincerli a restarlo nel tempo, mese dopo mese).
Il problema è che tutto questo richiede tempi lunghi e ha costi elevati (non certo solo per i quotidiani italiani). Un gigante come il New York Times che nel 2011 ha deciso di lanciare il suo paywall aumentando continuamente gli investimenti sul miglioramento del prodotto digitale per sostenerlo, ha impiegato circa dieci anni per giungere al punto nel quale i ricavi da digitale pesassero quanto quelli derivati dalla carta (e poi, addirittura li superassero), e stiamo parlando di un’eccellenza assoluta e di un modello difficile da replicare in altri contesti.
La vendita di copie digitali (che sono un indicatore delle subscription) dei quotidiani italiani negli ultimi anni è incrementata, complessivamente, unicamente grazie a quelle messe sul mercato a prezzi irrisori. Insomma: oltre il periodo di prova il nulla.
A Repubblica, ad esempio, hanno deciso di ribaltare la logica del periodo di prova chiedendo prima pagare l’abbonamento intero per sei mesi e, solo successivamente, usufruire di altri sei a costo zero; viene naturale pensare che i periodi di prova a costi ridotti a Repubblica abbiano avuto tassi di conversione davvero molto deludenti e così si sia deciso di tentare almeno di “fare cassa” prima di concederlo. Funzionerà?
Tutti oggi offrono abbonamenti a prezzi scontatissimi (non solo gli editori di giornali italiani e non solo gli editori in generale) per attrarre più utenti possibile e sperare che un numero decente di loro si “converta” in abbonati oltre il periodo di prova.
Avere però come principale, se non unica, strategia quella di vendere l’intero pacchetto a costi irrisori è una scelta con alcune importanti controindicazioni. Magari può permetterselo Amazon con Prime, che ha un’utenza sterminata da sfruttare economicamente in altri modi molto più efficaci, ma per un editore è difficile che alla lunga possa bastare.
Per sopperire a questo problema in molti giornali oltre che giocare sulle offerte ai contenuti giornalistici a prezzi scontati (e super scontati) “all can you eat”, hanno sviluppato contenuti non legati direttamente alle notizie da organizzare in portali verticali e app, dedicate – ad esempio – alla cucina, l'enigmistica, il lifestyle. Non sono certo tematiche nuove per i giornali che le hanno sempre utilizzate in rubriche o inserti pensati però principalmente come contenitori di pubblicità.
Adesso però l’ottica è completamente diversa, questi progetti editoriali standalone — vengono offerti anche singolarmente — sono creati per sperimentare e sviluppare forme di ricavo alternative alla pubblicità: delle porte d’ingresso alternative a quella principale che hanno il pregio di non svalutare il valore economico percepito dei contenuti più “importanti” e che però aggiungono valore all’offerta “tutto compreso”. In perfetta logica aggregare/disaggregare che nel digitale qualche risultato sembra sempre darlo.
Anche per questo tipo di contenuti, però, entra in gioco la qualità dei contenuti e della tecnologia: devi dare esperienza utente di alto livello per giustificare un costo, anche se minimo, per cose che posso trovare comunque gratuite in giro per la rete. Quindi sì, anche qui parliamo di investire risorse economiche e di competenze. Quanti in Italia hanno voglia — o possono permetterselo — di farlo veramente?
🟠 Il problema della “generazione di mezzo”
Tutti sembrano preoccuparsi molto di quello che fa (o non fa) la cosiddetta GenZ ma in realtà in Italia i dai ci dicono che ad abbandonare davvero la lettura dei giornali di carta è la “generazione di mezzo” quella dei 35-54enni (ne ho parlato spesso anche in questa newsletter ma ha valore ripeterlo in questo contesto) cioè la generazione di chi aveva tra i 10 e i 29 anni un quarto di secolo fa, quando anche da noi venivano lanciati le versioni online dei giornali.
Questo vuol dire che potrebbe essere particolarmente critico per i ricavi da cartaceo (riducendo quindi le risorse da reinvestire nel digitale) il passaggio tra una generazione “forte” di lettori (gli over 55 che oggi rappresentano oltre il 50% del lettorato del quotidiano di carta in Italia) e una particolarmente “debole” abituata a leggere le notizie su internet a costo zero (o tendente allo zero) e soprattutto a non avere necessariamente i giornali come fonte di notizie e informazioni, anche perché è stata una generazione in questi decenni davvero molto poco “curata” dai giornali.
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
È davvero tutto per questo numero, grazie per aver letto fino a qui. Alla prossima puntata.
Lelio.
Arrivo un poco in ritardo ma... gran pezzo e bell'analisi Lelio.
Le carenze nel settore editoriale in Italia (e non solo come dici anche tu) sono evidenti.
Pochissimi riescono a svilupparsi con un business model moderno ed efficace, ma sono quelli che non hanno mai avuto il cartaceo e forse per questo non hanno mai dormito sugli allori e hanno dovuto sperimentare ed innovare. Es. Il Post, che non a caso ha ripreso questo tuo numero sulla sua newsletter Charlie di ieri.