#Mediastorm 69 – Lo streaming musicale va totalmente ripensato?
In questo numero:
Lo streaming musicale va totalmente ripensato?
Due infografiche su industria media.
Consigli lettura.
Il passato del futuro dei giornali.
Il valore di Spotify si è dimezzato, il podcasting si sta sgonfiando, le major discografiche chiedono nuovi modelli di pagamento. È giunto il momento di un cambiamento radicale, con quali conseguenze?
Poco più di vent’anni fa l’industria discografica sperimentò — per prima tra le industrie dei media — l’impatto disruptive della Rete. Ne uscì piuttosto malconcia ma, attraverso una big tech come Apple, gettò le basi di quello che poi avrebbero sperimentato tutti gli altri settori, dalla televisione e il cinema all’editoria delle notizie: disaggregazione dei suoi prodotti riaggregati in immensi archivi/catalogo online, prima sotto forma di store online e, più di recente, in servizi accessibili dai nostri smartphone tramite abbonamento.
Il fatturato globale nel 2022 così è tornato sui livelli degli anni tra 1999 e 2001, quando l’industria discografica, al suo apice, vide Napster piombare sul tavolo da gioco a sparigliare tutto. Potrebbe sembrare l’approdo — finalmente— a uno stato di quiete dove un nuovo modello di business si è affermato mettendo tutte le tessere in ordine. E invece.
E invece tutti i nodi di un sistema di business vengono al pettine, il valore di capitalizzazione di Spotify è passato dai 40 miliardi di dollari di inizio 2022 agli attuali 19 miliardi, meno della metà in un anno (senza contare che l’azienda ancora non ha messo a segno un utile di bilancio da quando si è quotata a Wall Street); così anche il colosso dello streaming musicale pianifica, come molte altre big tech, un’ondata di licenziamenti (circa il 6% dei posti di lavoro) dopo quelli che hanno colpito a ottobre gli studi che si occupano di podcasting.
Il modello di business di Spotify resta ancora una scommessa molto azzardata (come del resto quello delle altre big tech), nonostante nell’industria della musica registrata lo streaming sia oggi dominante e Spotify ne sia il principale attore. Stretto tra costi enormi, dalle royalties delle major che da sole si “mangiano” il 70% dei suoi ricavi, e l’enorme difficoltà di sviluppare in tempi medio-brevi nuovi settori (i podcast e gli audiolibri).
Se da molti anni gli artisti si lamentano dei sistemi di pagamento di Spotify ritenuti iniqui e poco premianti (eufemismo) del loro lavoro, oggi sono anche le major discografiche — spaventate da nuovi scenari di mercato — a chiedere che tutto il sistema venga ripensato. A metà mese il capo della Universal Music, Lucian Grainge, in una nota ha dichiarato che per lo streaming è giunto il momento di adottare un nuovo modello di pagamento.
Come è stato fatto notare: se le principali etichette si uniscono al dibattito sul modello dello streaming è segno che il cambiamento sta davvero arrivando.
Il punto oggi è che le modifiche a questo modello sono ancora tutte da definire ma, all’orizzonte, si profilano idee e proposte che sembrano cambiare completamente la logica con la quale, fino a questo momento, abbiamo definito il rapporto tra noi e le aziende che forniscono questi servizi.
Le major chiedono un sistema “basato sull’artista” che superi quello puramente proporzionale in modo che i loro cataloghi acquistino un maggiore peso nel determinare i compensi. Ma come giustamente ha fatto notare nel suo blog l’agenzia Midia Research (che sull’argomento sta scrivendo, a mio parere, alcune delle cose più interessanti):
La comunità musicale indipendente si è mobilitata per anni per cambiare il modello di pagamento dello streaming. Ora, le major si uniscono al coro. Come mai? Il modello proporzionale le ha a lungo avvantaggiate, ma la loro fetta di torta ora sta diminuendo a causa di una serie di fattori: la crescita della musica indipendente, la frammentazione dei consumi e la grande quantità di musica caricata quotidianamente dai servizi di streaming.
Quindi cosa può avvenire adesso?
Servizi streaming di proprietà delle case discografiche?, anche se c’è chi lo ipotizza sarebbe deleterio riprodurre il sistema iper-frammentato dello streaming video, con singoli cataloghi trasformati in giardini recintati, ognuno sul mercato contro l'altro.
Per molti invece si inciderà sui livelli di prezzo legandolo, ad esempio, ai livelli di consumo, o all’accesso limitato a solo una parte (magari divisa per generi) della library; oppure ai livelli di qualità di ascolto (una qualità standard e una per “audiofili” come quella proposta da Tidal) o ancora — come ipotizzato da altri — un consumatore potrebbe pagare 9,99 euro al mese per l’accesso al 95% della musica, ma un po’ di più per accedere ad album completi. Tutte modifiche a un modello la cui efficacia è tutta da dimostrare.
Comunque vada sembra davvero che la musica faccia ancora da apripista per innovazioni radicali nel rapporto tra noi utenti e le modalità con le quali consumiamo i prodotti che le industrie dei media e dell’intrattenimento mettono sul mercato.
Ma dall’altra parte è anche vero che anche noi utenti abbiamo mutato, nei nuovi contesti che lo streaming ha creato, nuove abitudini e nuove esigenze. Come scrive ancora Midia Research:
Lo streaming è iniziato come streaming musicale, ma è diventato streaming audio e non stiamo parlando di podcast e audiolibri. Che si tratti di rumori di balene con le quali addormentarsi, musica rilassante con cui studiare o veloci ritmi di danza su cui correre, lo streaming ha creato una serie completamente nuova di paradigmi di utilizzo che utilizzano la musica come sfondo sonoro per altre attività. Questo è un milione di miglia lontano dal modo tradizionale in cui avveniva il consumo di musica incentrato sull'artista, che è ancora una parte fondamentale, ovviamente, ma solo una parte del mix.
Non tenerne conto di queste nuovi scenari da parte delle major cercando di piegarli alle loro esigenze invece di dare risposte che li soddisfino sarebbe, ancora una volta, un grave errore (e l’esperienza di una ventina di anni fa dovrebbe avere insegnato loro qualcosa, o no?).
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Oltre a quelli che ho già citato, consiglio di leggere un documentatissimo articolo sui punti deboli del modello di business di Spotify pubblicato da Music Business Worldwide, ma anche un’accorata difesa del ruolo di Spotify nel modo con il quale ha offerto a noi utenti i suoi servizi, pubblicato dal settimanale inglese The Spectator.
Riguardo ai podcast invece molto interessante il pezzo del NiemanLab, relativo al mercato americano, che si chiede Dove sono finiti tutti i nuovi podcast? (Il numero di nuovi podcast lanciati è diminuito di quasi l'80% tra il 2020 e il 2022 e sembra continuare a diminuire), dal quale estrapolo questa infografica:
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il sessantanovesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
Se dopo averla letta hai suggerimenti, domande o segnalazioni da farmi puoi scrivermi a questa email leliosimi@substack.com, altrimenti se quello che ho scritto ti suggerisce delle riflessioni puoi usare direttamente la sezione commenti, sarò felice di risponderti. Se invece vuoi consultare le altre puntate pubblicate puoi farlo da qui ► Archivio #Mediastorm.
📊 Chart, chart, chart!
📚 Cresce il mercato degli audiolibri, cala quello degli ebook. Il valore del mercato della varia, pari a 1,671 miliardi di euro per i soli libri a stampa, cresce fino a 1,775 miliardi (-2,5% sul 2021) se teniamo conto anche di audiolibri ed e-book. Gli audiolibri, in particolare, passano da 24 milioni di euro (valore degli abbonamenti) nel 2021 a 25 nel 2022, in crescita del 4,2%. Cala il mercato degli e-book, passando da 86 milioni a 79, con una flessione dell’8% (via AIE report “Il mercato del libro italiano ed europeo”, gennaio 2023).
📺 Complessivamente, nell'Europa allargata sono disponibili 12.275 servizi di media audiovisivi. Un servizio su quattro in Europa è un servizio on-dmand. La maggior parte dei servizi audiovisivi è di proprietà privata e solo il 7% è di proprietà pubblica (via “Audiovisual media services in Europe - 2022 edition” presentato a gennaio 2023).
👓 Un po’ di cose da leggere (o rileggere)
Riflessioni su un quarto di secolo di giornalismo digitale. Non c’è più alcuna “transizione digitale” da fare. Come restare “rilevanti”, se il giornalismo professionale non è più al centro delle relazioni sociali (→ pagina Medium di Mario Tedeschini Lalli).
L’orda delle nuove celebrity che diventano brand. Sempre più marchi si fanno pubblicità con influencer e creator, sempre più influencer e creator hanno deciso di lanciare i “loro” marchi. Un cambiamento importante, dove però torna il vecchio marketing (→ Link).
Tumblr, ritorno all’Eden dell’Internet. Abbandonato per anni, il social sta vivendo il suo rinascimento, complice la crisi di tutte le altre piattaforme e l'inaspettato entusiasmo della Generazione Z (→ Rivista Studio).
L'era post-Reed di Netflix. Lo pseudo-pensionamento di Reed Hastings , che ha ceduto il titolo di co-CEO a Greg Peters , conferma ciò che era già ovvio per gran parte degli ultimi due anni: Netflix si sta evolvendo di nuovo (→ Puck).
Che cosa sta succedendo al Washington Post? A inizio di questa settimana Sally Buzbee, direttrice esecutiva del Post, ha inviato un’e-mail allo staff informandoli che il giornale stava tagliando venti posizioni e non avrebbe occupato le trenta ancora aperte (→ New Yorker).
📘 #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋 Prima di salutarci…
Il passato del futuro del giornale. Come è stato immaginato, in passato, il futuro del giornale? Il sito Paleofuture, qualche tempo fa, ne aveva raccolto un po’ di esempi spaziando molto tra diverse fonti — dalla presentazione di nuovi prodotti che dovevano rivoluzionare il mercato a quelli immaginati da film o cartoni animati — molto interessante e divertente da leggere o riguardare: The Newspaper of Tomorrow: 11 Predictions from Yesteryear.
È davvero tutto per questa settimana, grazie per aver letto fino a qui, alla prossima puntata,
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 69 - 29 gennaio 2023.
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