#Mediastorm 18 – I 20 anni dell'iPod e i 4 pilastri della disruption digitale
Oltre l'"effetto nostalgia" cosa ci racconta oggi la rivoluzione del "vecchio" lettore mp3 di Apple?
Lo scorso 23 ottobre l’iPod, il celebre lettore musicale della Apple, ha compiuto 20 anni lanciato, c’è chi ha ricordato, poco più di un mese dopo gli attentati dell’11 settembre quando probabilmente era più logico pensare che in pochi erano nello stato d’animo giusto per voler acquistare un nuovo aggeggio elettronico. L’evento è stato ricordato ma, mia impressione, un po’ stancamente: se n’è sottolineata, certo, l’importanza per tutta l’industria musicale. Si è insistito, molto, sull’effetto nostalgia di quel “vecchio” gadget.
Tuttavia quello che è successo in quei poco meno di tre anni – dall’arrivo di Napster nel 1999 al consolidamento dell’ecosistema Apple con iTunes (gestione archivio/library), l’iPod (lettore musicale, appunto) e lo store di iTunes (il negozio online) – si sono gettate le basi per la disruption digitale non solo della musica ma di tutta l’industria dei media negli anni a venire. L’iPod si è eclissato ma le tracce di quella rivoluzione le possiamo vedere ancora.
Benvenuta, benvenuto io sono Lelio Simi e questo è il diciottesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
Se non lo sei già, puoi iscriverti a questa newsletter da qui:
Se dopo averla letta hai suggerimenti, domande o segnalazioni da farmi puoi scrivermi a questa email leliosimi@substack.com, altrimenti se quello che ho scritto ti suggerisce delle riflessioni puoi usare direttamente la sezione commenti. Se invece vuoi consultare le altre puntate di #Mediastorm puoi farlo da qui: Archivio #Mediastorm.
I fatturati dell’industria discografica nel 1999 avevano raggiunto il loro picco massimo di sempre – intorno ai 25 miliardi di dollari a livello globale – eppure solo due anni dopo da questa “pietra miliare” l’iPod sarà visto come il salvatore di un sistema sull’orlo del tracollo, dopo il ciclone Napster.
È un passaggio fondamentale, ho provato a sintetizzarlo in “Mediastorm - Il nuovo ordine mondiale dei media”:
Il 23 ottobre 2001 Steve Jobs presenta l’iPod. Su YouTube è possibile vedere ancora il video di quella serata, dove l’amministratore delegato di Apple, già allora in jeans e dolcevita d’ordinanza, mostra il piccolo device che sta per cambiare il modo di ascoltare musica. Un evento, a guardarlo oggi, decisamente più dimesso delle presentazioni di nuovi prodotti celebrate in mondovisione a Cupertino da lì a poco. Ma siamo solo l’inizio di un impero tecnologico che dominerà, su molti territori, nel nuovo ordine mondiale dell’industria dei media.
Jobs dimostra però già da allora di avere le idee ben chiare su quello che sarebbe stato il futuro, dichiarando che:
In questa nuova rivoluzione della musica digitale non c'è ancora un leader di mercato, ci sono diverse piccole aziende e, altre, molto più grandi come la Sony che però non hanno ancora trovato la ricetta giusta per avere successo; siamo convinti non solo che quella ricetta possa essere trovata, ma che a farlo sarà Apple.
Il riferimento alla Sony è importante: nei primi anni Ottanta del secolo scorso l’allora giovane CEO della Apple Computer, in viaggio d’affari in Giappone dove era andato alla ricerca di fornitori di componenti tecnologici per i suoi computer, aveva ricevuto personalmente un Walkman da Akio Morita, il mitico fondatore della Sony: a quanto si racconta appena Jobs tornò a casa, non perse nemmeno un minuto per ascoltarci una cassetta ma aprì quel gioiellino tecnologico e lo dissezionò pezzo per pezzo, osservando i piccoli ingranaggi, le cinghie di trasmissione e gli altri componenti “come foglie di tè, per capire come un giorno avrebbe potuto realizzare qualcosa di così epico che stava cambiando il mondo”, Jobs insomma aveva intuito che per Apple il modello doveva essere proprio l’azienda giapponese più che l’IBM o la Microsoft.
Così un giorno d’autunno di un millennio appena cominciato, la “profezia” di Jobs fatta alla presentazione dell’iPod si è avverata: praticamente negli stessi anni del lancio e dello sviluppo di Napster e fino al 2003, alla Apple trovano la “ricetta” che tutti cercavano: perfezionano prima una piattaforma online per acquisire e organizzare in playlist la musica su PC (iTunes), poi un piccolo lettore MP3 da portare ovunque collegato a questa piattaforma per ascoltare musica ovunque ogni volta che si desidera (l’iPod, appunto) e, infine, il loro negozio di musica (l’iTunes store) dove poter acquistare comodamente da un catalogo, potenzialmente infinito, sia album completi che singoli brani – al prezzo di 9,90 e 0,90 dollari rispettivamente – costi nettamente inferiori al vecchio “caro” compact.
I quattro pilastri della disruption di Internet
Su cosa si basava quella rivoluzione? Provo qui a mettere in fila quattro punti chiave.
Aggregare/Disaggregare. “Se vuoi fare soldi con Internet l’unico modo è aggregare e disaggregare” è una frase molto famosa, messa in pratica da Apple con lo “spacchettamento” del CD musicale, in singoli brani scaricabili molto più facilmente (soprattutto per i modem di inizio anni Duemila) e da mettere sul mercato a un prezzo nettamente inferiore. È stato solo l’inizio del “grande spacchettamento” dell’industria dei media e dell’intrattenimento (e non solo di quella): cos’è Google News se non lo spaccamento del “vecchio” giornale (con tutte le ben note problematiche generate dal fatto che sia del tutto gratuito), in qualche modo anche l’enorme successo delle serie TV negli anni dello streaming altro non è che lo spacchettamento del “vecchio” film.
Facile da usare. L’iPod non è stato certo il primo device a rendere possibile trasportare l’esperienza di ascoltare musica ovunque, c’era stato già il Walkman e altri lettori mp3 prima di lui, ma l’ecosistema messo in piedi da Apple permette di rendere tutto molto più semplice e usabile: iTunes aggrega in un unico luogo facile da consultare (con la possibilità di creare playlist personalizzate) tutta la musica scaricata e, successivamente dal 2003, con il suo negozio online, l’iTunes store, di acquistarla in modo semplice ed economico da un archivio infinito. Il download negli anni lascerà poi il passo allo streaming, come sappiamo, ma solo perché Spotify rende tutto ancora più semplice da usare, a prezzi ancora più economici e dando la possibilità di collegarsi ad archivi/library ancora più grandi.
Scelta (potenzialmente) infinita. Il nostro desiderio di scoprire cose nuove non è affatto una semplice idea astratta, ha un valore economico enorme e, da sempre, è stato fonte di guadagno dell’industria dei media; ma le Big Tech – e la Apple prima fra tutte – hanno saputo sfruttarlo come mai prima, mettendo come sappiamo library infinite a disposizione di noi tutti, con le “qualità” già ricordate (prezzi economici, facile da usare, “esperienza” trasportabile ovunque in qualsiasi momento). L’iPod è stata la prima porta d’ingresso verso questo sistema, lascerà il posto all’iPhone che eleva all’ennesima potenza il suo concetto di everything in one place non solo per l’ascolto della musica ma anche per leggere news, guardare video e, anche questo lo sappiamo bene, mille altre cose. Spotify, Netflix, Google e Amazon penseranno poi a sviluppare tecnologie (algoritmi di raccomandazione soprattutto) capaci di “guidare”, nel modo più remunerativo per loro, il nostro desiderio di scelta dentro le loro library infinite.
Economico per l’utente. È una delle caratteristiche principali, come già sottolineato, ha però valore ricordare che tra gli anni Novanta del secolo scorso e i primissimi anni di questo, le major discografiche si erano ampiamente approfittate del “fascino” del CD musicale gonfiandone il costo agli utenti (cioè noi), nessuno dei ragazzi di allora si sentiva in colpa per essere salito sulla “nave pirata” Napster contro il cartello delle grandi case discografiche. Apple normalizzerà poi il mercato grazie al fatto di offrire musica scaricabile in modo sicuro e veloce a prezzi stracciati; ancora oggi Spotify o Netflix devono offrire i loro servizi tramite abbonamento al costo mensile equivalente al prezzo, più o meno, di un album musicale di iTunes o di un singolo biglietto di una sala cinematografica; la guerra dello streaming oggi è anche una guerra dei prezzi, si abbassano per conquistare una grande base di utenti, si cerca poi di aumentarli per far crescere i margini di guadagno. Ma la rivoluzione attuata venti anni fa da Apple con il sistema che aveva al centro il nostro buon vecchio iPod sembra oggi ancora legare a doppio filo i giganti dello streaming alla sua logica di offrire all’utente finale (cioè noi) prezzi estremamente (troppo?) economici.
📑 Tre cose #daleggere (su media e disruption digitale)
1️⃣ Come vengono realizzati e venduti i caratteri tipografici digitali? Al di là delle battute su Comic Sans e Palatino, c'è un'industria seria che prende a cuore la responsabilità di plasmare la cultura pixel per pixel. I caratteri sono concepiti, disegnati e prodotti da abili designer che studiano arte, programmazione informatica, linguaggi e storia. H&Co era un baluardo del type design indipendente, una pratica tanto innovativa quanto redditizia tra la concorrenza di giganti come Monotype e Adobe Fonts, nonché la proliferazione di caratteri tipografici gratuiti su Google Fonts. Vedere H&Co divorato da Monotype è stato un duro colpo per i professionisti solisti e i piccoli studi, che temono che una società orientata al profitto stia dettando sempre più i termini e le condizioni del prezzo e della distribuzione del loro lavoro.
→ A famous type foundry’s sale to a PE-backed giant has rattled the font industry (paywall), il reportage di Anne Quito per Quartz (tempo lettura 14 minuti).
2️⃣ Anche le musicassette, il formato messo da parte dal CD, sono tornate alla ribalta. Ma mentre non si può negare il brivido viscerale dei sintetizzatori in stile anni '80, il rinnovato interesse per questo formato ha lasciato perplessi gli esperti dell'audio e i proprietari di negozi di dischi; considerando la fragilità della cassetta e la qualità del suono relativamente bassa, l'ovvia ragione della sua rinascita è il suo sapore kitsch e retrò. Ma ci sono altre ragioni culturali, negli anni '80, le persone realizzavano mixtape - di solito raccolte dei loro brani preferiti di un artista o all'interno di un genere - che spesso condividevano con amici e la "cotta" del momento. Alcune persone hanno ancora quei nastri, sepolti in profondità in una scatola nel seminterrato, e potrebbero voler rivivere la gioia di ascoltare "Tainted Love" di Soft Cell mescolato a "Beat It" di Michael Jackson o "Panama" di Van Halen. C'è un problema, le musicassette hanno sempre suonato uno schifo.
→ Don’t Call It a Comeback: Cassettes Have Sounded Lousy for Years (And Still Do!), sostiene convinto Brent Butterworth senior staff writer di Wirecutter del New York Times (tempo lettura 7 minuti).
3️⃣ Il panorama del mercato culturale ha trasformato gli artisti in brand, proiettandoli in una giostra infinita di rappresentazioni di se stessi, una spirale di presentazioni, autopromozione, networking e luci di palcoscenico, in cui non è solo la loro opera ma sono loro stessi a divenire parte del prodotto venduto. Le nostre autobiografie, i racconti della nostra intimità vivono in spazi ambigui: spazi di espressione del sé cannibalizzati da infrastrutture di rete che emanano un potere diffuso. Gli effetti, in larga parte deleteri, del dilagare della cultura del sé derivata dai social network, incontrano però anche il bisogno di espressione di comunità generalmente escluse dalle rappresentazioni mainstream: l’effetto finale è un corollario positivo, la possibilità degli spazi online di ospitare narrazioni autentiche.
→ Siamo una società malata di autofiction? l'analisi di Irene Doda per L'indiscreto (tempo lettura 7 minuti).
Prima di salutarci…
Resto in tema di questa newsletter, ecco totale vendite dell’iPod che per anni ha rappresentato la “vacca da mungere” di Apple, come dimostra il suo peso percentuale su revenue totale della casa madre (dati fino al 2014 quando Apple ha cessato di indicare quelli relativi all’iPod separatamente nei bilanci economici).
#Mediastorm: una newsletter sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 18 - 31 ottobre 2021.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui trovi la sua scheda, oltre che in libreria lo puoi trovare anche su principali store online ad esempio: Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
→ Se sei interessato a seguirmi qui il mio account Twitter e su Medium, qui invece il mio portfolio.
→ Per collaborazioni e contatti professionali qui mio profilo Linkedin.
→ Se hai appunti, suggerimenti o correzioni da suggerirmi puoi scrivermi qui: leliosimi@substack.com
[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].