#Mediastorm 42 – Navigare nella tempesta
Anche se spesso ce lo dimentichiamo i modelli di business delle tech company, che oggi sono dominanti nell'industria dei media, si poggiano su delle scommesse azzardate da rinnovare continuamente.
"Non vi lasciate sconcertare, qualunque cosa accada” continuò a borbottare il capitano, piuttosto in fretta. “La prua al vento, sempre. Possono dire quello che vogliono, ma le ondate più forti sono quelle che arrivano col vento, sempre. Prua al vento, sempre prua al vento; è l’unico modo per uscirne"
Joseph Conrad, Tifone
Nella lunga intervista/ritratto dedicata a Ted Sarandos curata da una delle firme più note e importanti del New York Times, Maureen Dowd (un premio Pulitzer vinto nel 1999) pubblicata qualche giorno fa, il co-CEO di Netflix fa una di quelle citazioni che non ti aspetti.
A proposito del momento difficile dell’azienda che guida assieme al fondatore Reed Hastings, ricorda Tifone uno dei capolavori di Joseph Conrad, racconta di averlo letto molti anni fa da giovane, poi molto più di recente e, come annota Dowd:
“La prima volta, ha considerato il capitano che si è diretto senza esitare nell'occhio di un tifone nell’Oceano Pacifico ‘un leader terribile’ che ‘ha commesso un errore e mettendo le persone in una pessima situazione’. Ma leggendo di nuovo il racconto conradiano un paio di decenni dopo, il signor Sarandos ha visto la complessità della leadership necessaria per superare la tempesta, poiché il capitano fa appello a tutta la sua forza di volontà per dominare una forza superiore”.
D’accordo la seconda lettura è in questo momento per Sarandos abbastanza comoda (se non furba) ma quello che probabilmente vuole ricordare non è banale: lui e Netflix, di tempeste ne hanno già attraversate, non meno minacciose di questa.
Ad esempio quando fu creata una società separata per gestire il business dei DVD, Qwikster. Una scelta che si rivelò presto disastrosa e sulla quale Netflix dovette fare marcia indietro, ma che contribuì non poco a portare allora, era l'ottobre del 2011, a svalutare le azioni del 75%.
Poco dopo Netflix si è lanciata nelle produzioni originali, la prima stagione di House of Cards è stata pubblicata nel febbraio del 2013, quindi nemmeno un anno e mezzo dopo quel disastro, per dire.
È una notazione interessante perché, evidentemente, quello che Sarandos vuole comunicare è che attraversare una tempesta per loro non è un evento eccezionale ma la routine; ci siamo siamo già passati e ci passeremo di nuovo in futuro, niente di veramente eccezionale, ci abbiamo preso l’abitudine, sembra essere il messaggio.
E in effetti, finché tutto sembra andare bene per aziende come Netflix o Spotify, nella narrazione da vincenti alimentata da queste stesse aziende tecnologiche, ci si dimentica fin troppo facilmente che il loro successo si basa su delle scommesse molto azzardate, che nonostante la loro indiscutibile forza disruptiva, i loro modelli di business ballano sul filo del rasoio (della precarietà di quello di Spotify ne ho parlato in un numero recente di questa newsletter).
Il loro successo si basa molto sulla loro capacità di offrire le opzioni più comode, semplici ed efficaci alle persone; ma basta che mutino solo alcune delle caratteristiche del mercato in cui operano e un eccesso di semplicità, spesso, diventa un elemento estremamente difficile da gestire.
Tanto per fare un esempio: un unico abbonamento omnicomprensivo su digitale a 9.90 dollari/euro al mese è stata, per molto tempo, la risposta più economica e più semplice al desiderio delle persone di avere accesso a un’infinità di contenuti; oggi con il mutare del contesto di mercato quella è una opzione molto meno semplice da gestire (per le persone e per le aziende) e, nel complesso, nemmeno tanto economica (per le persone).
D’altronde se a Netflix sono abituati a navigare nella tempesta non si può dire che non lo siano anche i suoi diretti avversari a cominciare dai vecchi dinosauri, sul mercato da un secolo e oltre, come Disney, Warner Media o Paramount che al tifone digitale sembrano capaci, al momento, di prendere le misure (anche una delle ultime arrivate nelle guerre dello streaming come Paramount+ nel primo trimestre del 2022 ha registrato ottimi numeri, ad esempio).
A Netflix sanno bene anche questo, la cosa più difficile sarà per loro, d’ora in avanti, riuscire a fare le scelte giuste restando un “oggetto unico” nel nuovo panorama di mercato.
Ma se non dovessero riuscirci sembra possano farsene una ragione. Uno dei passaggi più importanti, secondo me, dell’intervista a Sarandos del New York Times è quando gli viene ricordato che oggi una delle critiche mosse a Netflix è che si stia “normalizzando” perdendo così il suo coraggio di innovare e che, insomma, stia diventando un po’ come la CBS. La risposta di Sarandos è significativa ma spiazza per come siamo abituati a pensare a Netflix. Può essere sintetizzata così: cosa c’è di così brutto nell'essere CBS?
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il quarantaduesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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🎯 “Bigger, better, fewer”
La scorsa settimana ho messo insieme qualche nota su cosa concretamente per Netflix e gli altri streamer significhi “produrre meno ma meglio”, bene: l’Hollywood Reporter qualche giorno fa ha pubblicato un articolo che comincia a chiarire nel dettaglio qualche punto sulle nuove politiche di Netflix a riguardo, in particolare per la divisione che cura i film, il cui nuovo mantra è “Bigger, better, fewer”.
Tra le molte cose interessanti dell’articolo segnalo questa a proposito di “bigger”:
“più grande non significa necessariamente più film da 150 milioni di dollari. Aspettatevi di vedere un cambiamento più sottile: invece di fare due film per 10 milioni di dollari, ad esempio, la società ne farà uno per 20 milioni. ‘L'obiettivo sarà quello di creare la versione migliore di qualcosa invece di farne la versione meno costosa per inseguire la quantità’, dicono le fonti interne contattate dall’Hollywood Reporter”.
Il che conferma quello che notavamo settimana scorsa: oltre ai grandi successi serve elevare la qualità dei prodotti medi perché è lì che si gioca molto della percezione della qualità avvertita dagli abbonati sull’offerta del catalogo nel suo complesso (e non vale solo per Netflix o lo streaming video).
🔥 Serie come Stranger Things e Obi-Wan Kenobi stanno diventando produzioni difficili da sostenere economicamente?
Tuttavia la corsa a realizzare grandi titoli “imperdibili” per battere la concorrenza fa lievitare i costi, nonostante i tagli annunciati per quest’anno da Netflix e Disney; un miliardo di dollari in meno può sembrare molto ma in realtà rappresenta un piccolo aggiustamento ai budget destinati alle produzioni originali, lievitati enormemente in questi ultimi anni.
La quarta stagione di Stranger Things secondo il Wall Street Journal è costata 30 milioni di dollari ad episodio ed è probabile che il budget di Obi-Wan Kenobi stanziato da Disney non sia molto distante da queste cifre.
Il punto è: nel momento in cui gli investitori finanziari cambiano atteggiamento verso queste aziende, chiedendo loro non solo di incrementare a qualunque costo la base di abbonati ma di dimostrare di poter realizzare utili significativi, queste produzioni sono ancora sostenibili?
📺 Intanto la Nielsen dice di misurare la “bingeability”
Con l’evolversi dei modelli di business nello streaming, insomma, le serie dovranno iniziare a giustificare le proprie spese contribuendo sensibilmente alla redditività delle aziende che le producono.
E aziende come Netflix o Disney dovranno comunicarlo al mercato con metodologie più chiare rispetto a quanto fatto fino ad oggi. I minuti complessivi di visione della Top 10 di Netflix ci dice poco in tale senso, servirebbe capire quanto ad esempio una serie come ST4 ha contribuito a far rinnovare per mesi gli abbonati già esistenti, incrementare il “tasso di fedeltà”, ma questa è un’informazione che Netflix si è sempre guardata bene dal comunicare. Per quanto può ancora farlo soprattutto nel momento in cui decide di aprirsi agli investitori pubblicitari?
Nel frattempo la Nielsen (che misura da decenni l’audience televisiva negli Stati Uniti) attraverso una delle sue società, Gracenote, ha lanciato nuovi strumenti che si prefiggono di misurare la “bingeability”, termine che trovo abbastanza ridicolo, ma che ci dice molto sulla necessità di nuove metriche all’interno dello streaming, come la capacità di una puntata di una serie di coinvolgere il pubblico con il resto degli episodi della stagione in corso e quelle passate.
Netflix, Disney+ e tutti gli altri streamer che hanno introdotto la pubblicità, o lo faranno a breve, si ritroveranno ad essere responsabili nei confronti degli inserzionisti, le informazioni che hanno fornite fino ad oggi in modo frammentato, inizieranno a essere un ostacolo alla loro capacità di attrarre investimenti pubblicitari, e abbassare così i costi al pubblico degli abbonamenti, un passaggio questo fondamentale nelle loro strategie future.
👋Prima di salutarci…
“Da 90 anni il giornale diretto da Baggi Sisini, insignito dell’ordine al merito del Lavoro, regala svago agli italiani. Un balsamo familiare che non delude mai, perché mai è cambiato. Ed è proprio questo il segreto della Settimana Enigmistica la cui unica concessione alla modernità è stata l’apertura al digitale. Nata in un piccolo appartamento (preso in affitto, per difficoltà economiche) in via Nöe 43 a Milano, poi passata al numero 10 di piazza Cinque Giornate, La Settimana Enigmistica è ancora lì, con una redazione rigorosissima (guai ai refusi, mai gli errori), che non supera le 30 persone, e che ancora sforna nuovi indovinelli”.
Da leggere la Settimana Enigmistica e il segreto dell’immutabilità di Antonio Carnevale su Tag43.
#Mediastorm: una newsletter di appunti e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 42 - 5 giugno 2022.
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