Qualche settimana fa ho dedicato un numero di questa newsletter alla domanda: cosa conta di più oggi per una media company, i contenuti che offre al pubblico o la tecnologia che li gestisce e distribuisce nelle sue piattaforme?
È una domanda che oggi divide in due categorie distinte le media company e lo fa in maniera nuova e più complessa che non la semplice contrapposizione aziende tecnologiche vs. aziende legacy come siamo stati abituati a considerare fino a ieri.
Torno sull'argomento perché mi sembra interessante fare qualche riflessione su questo punto per l’industria delle notizie, ma prima specifico meglio alcuni aspetti generali.
Netflix ad esempio nasce come tech company ma ormai gioca la sua partita a Hollywood contro Disney, Warner e Paramount, aziende tradizionali che d’altronde in pochi anni hanno realizzato piattaforme online di tutto rispetto. E, come quest’ultime, Netflix produce film e serie TV “tradizionalmente” per iter creativo e professionalità utilizzate.
Netflix e le piattaforme streaming sue dirette concorrenti sono aziende che puntano su: 1) contenuti dai costi produttivi molto alti 2) la loro economia è basata principalmente (anche se non più in maniera esclusiva) sui ricavi che provengono direttamente dai loro utenti attraverso le subscription 3) retribuiscono le professionalità utilizzate attraverso contratti tradizionali.
La tecnologia e l’efficienza delle piattaforme online proprietarie per queste media company conta molto ma, raggiunto il livello richiesto dagli standard di mercato, non determinano la loro competitività. Per questo le domande più importanti che devono porsi sono quelle sui contenuti.
Mentre aziende come YouTube e TikTok giocano la loro partita cercando di attrarre più creatori possibili offrendo loro feature sempre migliori per quanto riguarda editing, pubblicazione o analytics, tutte cose dove la tecnologia conta molto.
Sono aziende che puntano su 1) contenuti a costo zero realizzati da utenti 2) si basano esclusivamente su ricavi derivanti degli investitori pubblicitari che 3) condividono con i creatori come loro unica forma di retribuzione.
Le domande più importanti, per quanto i contenuti siano fondamentali, nel loro caso sono tutte sulle tecnologia.
Sono modelli distinti e opposti anche se giocano su territori comuni: l’economia dell’attenzione e i vari device con i quali interagiamo quotidianamente.
Dopo questa lunga premessa vengo al punto nel nell’industria delle notizie quali sono le domande più importanti quelle sulla tecnologia o sui contenuti?
Oggi a BuzzFeed dichiarano di voler puntare sempre di più nell’economia dei creatori e, nel frattempo come noto, hanno definitivamente chiuso la divisione giornalistiche BuzzFeed News.
Una strategia che, se la leggiamo alla luce nuove dinamiche di mercato, può essere considerata coerente con quanto a BuzzFeed hanno sempre cercato di fare: dire agli investitori finanziari che loro sono anche (se non soprattutto) un’azienda tecnologica, per diversificarsi dai loro concorrenti che, per un po’ di tempo, sono effettivamente state testate legacy come New York Times o Washington Post.
Se guardiamo però i dati economici, vediamo che le risorse impegnate in ricerca e sviluppo da BuzzFeed non superano il 5% dei costi totali (sul bilancio del 2022, cifra che scende al 4% su primo trimestre del 2023), decisamente poco per chi si atteggia a tech company.
Il buon vecchio New York Times oggi impiega in ricerca e sviluppo del prodotto una fetta molto più consistente: circa il 10% dei costi totali, una voce di bilancio che da diversi trimestri è quella con il maggior incremento tra quelle relative ai costi operativi (nel primo trimestre del 2023 è salita all’11%).
BuzzFeed ha un grosso problema di costi, dal 2020 al 2022 sono aumentati enormemente: da 309 a 620 milioni di dollari (+101%) a fronte di un aumento dei ricavi molto più ridotto nel medesimo periodo: da 321 a 436 milioni (+26%). Con questi numeri l’idea di cavalcare l’onda delle creator economy aumentando la produzione di contenuti a costo zero e riducendo drasticamente quella dei contenuti prodotti tradizionalmente può sembrare una scelta obbligata ma, anche, l’ultimo disperato tentativo di salvare il salvabile.
BuzzFeed ha prodotto fino ad oggi principalmente contenuti tradizionalmente (con giornalisti e professionisti della produzione video) ma non è riuscita a introdurre i ricavi da subscription, nonostante il suo CEO Jonah Peretti abbia più volte aperto all'idea di farlo. Restando così ancorata ai ricavi pubblicitari che sono in declino per qualsiasi editore.
Oggi non trova di meglio che dire che il suo modello è quello dove le domande che contano di più sono quelle nella tecnologia, mettendo in evidenza nelle relazioni agli investitori dati meramente quantitativi (views, interazioni social), ma è proprio il modello che nel recente passato l’ha condannata al declino.
Di contro il New York Times — che non ha certo risolto tutti i problemi che affliggono l’industria delle notizie — oggi pur capendo che investire sempre più risorse in tecnologia è per lui fondamentale, dice che il suo modello è quello dove le domande più importanti sono relative ai contenuti di qualità prodotti tradizionalmente e, grazie a questi, è riuscito a convertire molti suoi lettori in abbonati fedeli (le subscription rappresentano oltre il 70% dei ricavi totali).
Non solo. Proprio le subscription e i dati di prima parte che ne derivano, stanno dando maggior valore alla residua quota di ricavi pubblicitari. Come fa notare l’analista Ben Thompson su Stratechery:
il New York Times ha un grande vantaggio in termini di dati di prima parte, funzionale al segmento pubblicitario premium, proprio perché si è concentrato prima di tutto sull'avere un approccio editoriale guidato dagli abbonamenti.
In questo senso è esplicativa la campagna pubblicitaria lanciata dal Times in questi giorni, ne parlo alla fine di questa newsletter.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il settantasettesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando/trasformerà l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
Se dopo averla letta hai suggerimenti, domande o segnalazioni da farmi puoi scrivermi a questa email leliosimi@substack.com, altrimenti se quello che ho scritto ti suggerisce delle riflessioni puoi usare direttamente la sezione commenti, sarò felice di risponderti. Se invece vuoi consultare le altre puntate pubblicate puoi farlo da qui ► Archivio #Mediastorm.
📊 Chart, chart, chart!
📈 I numeri economici del Post, nel 2022. Rispetto al 2021 – chiuso con un attivo di 659mila euro – il bilancio del 2022 mostra un utile di un milione e 676mila euro. L’aumento dei ricavi si deve soprattutto alla crescita del numero degli abbonati, che hanno generato il 69,5% delle entrate. I ricavi pubblicitari sono diminuiti di poco rispetto al 2021 e sono passati a valere il 15,5% del totale. Quasi un quarto dei costi è dedicato da sviluppo parte tecnologica (via Il Post).
📺 Squid Game è ancora il più grande programma televisivo in streaming di sempre. Il tempo totale trascorso a guardare i 10 migliori spettacoli di Netflix per ogni settimana negli ultimi due anni. Seppure Stranger Things, Wednesday e Dahmer siano stati tutti grandi successi sono lontani da raggiungere il picco di Squid Game (via Bloomberg).
🎞️ Top 20 film per presenze in Europa (UE + UK). Il botteghino nella UE e nel Regno Unito è cresciuto del 70% nel 2022 rispetto al 2021, passando da 3 miliardi a 5,1 miliardi di euro, in calo del 28% rispetto ai livelli pre-pandemia. Top Gun: Maverick, Avatar: The Way of Water e Minions: The Rise of Gru hanno raggiunto la vetta delle classifiche nel 2022, vendendo rispettivamente 34,4, 30,6 e 30,2 milioni di biglietti durante l'anno solare. La quota di mercato dei film europei è aumentata dal 26,8% del 2021 al 28,4% del 2022 (via Osservatorio europeo audiovisivo).
🧮 Numeri notevoli
Lo streaming musicale ha un problema di frode da 2 miliardi di dollari che va oltre l'intelligenza artificiale. Con l'aumento dei contenuti generati dagli utenti sui servizi musicali, le tracce fasulle rappresentano il 10% di tutti gli stream.
Quasi il 45% delle visualizzazioni complessive di YouTube negli Stati Uniti oggi avviene sugli schermi TV, nel 2020 questa quota era al di sotto del 30%.
Un concerto di Taylor Swift può costare oltre 100 milioni di dollari. I soli costi di logistica e trasporto per il tour superano i 30 milioni. Nonostante questi costi Forbes stima che la cantante alla fine del tour guadagnerà personalmente oltre 480 milioni netti.
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👓 Un po’ di cose da leggere
E se Spotify fosse nato a Napoli? Mixed by Erry è stata la sigla dietro la quale si celavano i più grandi contraffattori partenopei di dischi (prima) e cd (poi). Un volume di affari di centinaia di milioni di lire, una rete capillare che, partendo da Forcella si era diffusa in tutto il centro Sud. I fratelli Frattasio pur non avendo studiato i meccanismi della produzione culturale ne avevano capito, prima e meglio di tanti altri, come si sarebbe sviluppato il mercato della musica, tra strategie delle raccomandazioni e una rete di distribuzione che arrivava dove gli altri non potevano o non volevano arrivare (→ CheFare).
Perché scioperano gli sceneggiatori di Hollywood. C’entra (anche) l’AI. La Writers Guild of America ha presentato una proposta per evitare che un software possa essere considerato autore di “materiale letterario” o di “materiale originale”. Ciò significherebbe che, anche se il materiale prodotto dall’intelligenza artificiale fosse usato nel processo di sceneggiatura, non dovrebbe in nessun modo incidere sul compenso o sul ruolo effettivo degli scrittori (→ Variety, tradotto da Internazionale).
La storia di come il tentativo della Disney di acquistare BuzzFeed finì malissimo. Come e perché nel 2013 l'offerta di acquisizione da parte della Disney di 450 milioni di dollari (una somma straordinaria per BuzzFeed che si era valutata meno della metà solo nove mesi prima) finì per saltare facendo infuriare i top manager di una delle media company più potenti al mondo (→ New York Times, dal libro Traffic di Ben Smith).
👋 Prima di salutarci…
Cerchi di capire il mondo e finisci per comprare delle sneakers. O almeno questo è il messaggio della campagna realizzata — oggettivamente in maniera splendida — dall’agenzia creativa Droga5 per il New York Times che mira a mettere in evidenza l’alto potenziale di conversione per gli investitori pubblicitari del pubblico di lettori del Times, per la maggior parte abbonati, nel loro percorso a valore aggiunto che parte dalla ricerca di notizie di qualità e finisce verso i prodotti dei marchi.
Come recita la presentazione di Droga5:
Vi presentiamo la nostra nuova campagna “More of Life Brought to Life” per il New York Times, che mostra come il giornalismo del Times dia vita agli argomenti, ai soggetti e alle passioni alle quali i lettori tengono di più – e ne scopre altri che non sapevano cercare. In “Sneakers”, seguiamo il viaggio che gli abbonati del Times intraprendono mentre cercano di capire il mondo che li circonda da più punti di vista.
È davvero tutto, grazie per aver letto fino a qui, alla prossima puntata.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 77 - 16 maggio 2023.
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[L’immagine di copertina di questo numero è di Brian McGowan su Unsplash quella del logo nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].