#Mediastorm 97 – Tre snodi per il 2025 dei media
Consolidamenti, contenuti "porzionabili" e l'ascesa dei creator ibridi.
Il 2025 delle industrie dei media sarà ancora (più) segnato dall'evoluzione dell'intelligenza artificiale generativa, ci sono dubbi? Direi di no: tutti gli esperti del settore sono concordi; se personalmente però devo indicare alcuni punti nodali per il prossimo anno — come si addice nell’ultima puntata dell'anno della newsletter — punto ancora nel sempiterno meccanismo dell’era digitale di aggregazione/disaggregazione che continuerà a plasmare il panorama mediatico all’interno del quale certo, una tecnologia emergente come l’AI generativa, giocherà il proprio ruolo.
Propongo, allora, indicare tre punti chiave per i prossimi dodici mesi.
1. Aziende: consolidare/separare/consolidare.
Guardando solo agli ultimi mesi del 2024: Due delle “big five” dell'industria pubblicitaria, Omnicom e Interpublic, con un fatturato aggregato di circa 20 miliardi di euro l'anno— hanno deciso di mettere in cantiere una mega-fusione per fare “massa critica”, poi invece all’opposto Axel Springer, uno dei principali gruppi editoriali europei, con significativi investimenti negli Stati Uniti si è diviso in due parti separando la parte più prettamente editoriale (testate giornalistiche) dagli asset digitali.
E ancora: un gigante come Comcast ha deciso di separare le sue reti via cavo (NBCUniversal) in modo di ripensare completamente come raggruppare e organizzare le sue attività media e internet. Alla Disney c’hanno pensato seriamente per poi tornare sui loro passi (ma per quanto ancora?).
Sono facce della stessa medaglia quando sei di fronte a una tecnologia emergente che promette/minaccia di rivoluzionare, nuovamente, il mercato mentre sei ancora impegnato a gestire le transizioni delle precedenti rivoluzioni tecnologiche (comprese quelle iniziate nel secolo scorso).
2. Formati: l’affermazione dei contenuti “porzionabili”.
Nell’era dei social sempre meno specializzati (e sempre meno “social”), sempre più “sovrapponibili” dominati dai contenuti video, il podcast si è evoluto in una direzione inaspettata, adattandosi a qualsiasi piattaforma e formato grazie al suo formato ibrido (audio/video), facilmente “scomponibile” (lungo/corto).
Il podcast, che da anni aspirava a una definitiva affermazione, soprattutto economica, potrebbe oggi raggiungerla grazie a questa sua caratteristica favorendo, più in generale, il proliferare di contenuti pensati e progettati, già pronti, per essere “porzionati” in una serie di singoli segmenti standalone.
Per il momento, e nell'immediato futuro, i podcast sono quelli che più facilmente si adattano a queste caratteristiche (alcuni, però, meglio di altri). In futuro però anche ogni altro contenuto (film, articoli, libri) potrebbero essere assoggettati a questa logica.
3. Professioni: l’ascesa del creatore “multitasking”.
L’ascesa della creator economy, all'interno delle dinamiche di “coda lunga” impone oggi la capacità di mettere assieme più fonti di ricavo e presenza su più piattaforme. Nel 2025, serviranno “creator multitasking”, la frammentazione delle competenze richiederà ai professionisti di aggregare nuove competenze per rimanere competitivi. Un esercito di Freelancer ibridi, impegnati a rispondere alle mutevoli esigenze del mercato.
Provo ad approfondire questi tre temi.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il novantasettesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando/trasformerà l’economia delle industrie dei media e il nostro rapporto con i loro “prodotti”. Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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1. Aziende: consolidare/separare/consolidare
Siamo nell’era delle transizioni permanenti, lo abbiamo capito da tempo, ma spesso sottovalutiamo un aspetto di questo contesto: tendiamo a considerare ognuna di queste transizioni — dalla carta al digitale, dalla TV lineare allo streaming e poi, dal web al mobile e oltre — come tappe una successiva all’altra, e la complessità che ognuna di queste tappe comporta come completamente risolta ogni volta che si passa a quella successiva.
Ma sappiamo che non è così, le complessità si sovrappongono: la carta per l’industria dei giornali è in declino strutturale, vero, ma ancora ha il suo peso economico, decisamente significativo, nei ricavi e accelerarne ulteriormente il declino significa sottrarre risorse economiche da destinare all’innovazione.
Vale anche per le media company dell’industria televisiva e cinematografica nei confronti della TV lineare e il circuito delle sale cinematografiche.
Inoltre ogni nuova tecnologia che promette di cambiare tutto può, certo, rappresentare “il futuro” ma nessuno sa quando quel “futuro” sarà compiuto davvero (leggi: rappresenterà concretamente un modello economico sostenibile).
Quindi cosa fare? Dov’è il migliore punto di equilibrio nella gestione di tutte queste complessità stratificate? Cercare di tenere tutto assieme o puntare con decisione nell’asset emergente e liberarsi come vecchie zavorre di quelli nella fase irreversibile di declino?
Di fronte all’emergere di uno scenario che sembra, davvero, rappresentare un punto di svolta “storico” l’esperto di marketing Scott Galloway ricorda che:
Quando un’azienda ha un business redditizio ma in declino (la TV via cavo) e un business in crescita (lo streaming), gli investitori non sanno come valutare l’asset, quindi assegnano il multiplo del suo peggior business all’intera azienda. La cessione di asset in diverse fasi del ciclo di vita fornisce maggiore chiarezza agli investitori e, in definitiva, crea un insieme più piccolo che è maggiore della somma delle sue parti.
Le mega operazioni, che indicavo poco sopra, fatte negli ultimi mesi vanno in questa direzione: accordi e fusioni per fare massa critica e sfruttare al meglio i margini di guadagno che ancora garantiscono le attività in declino e “liberare” quelle tecnologicamente più evolute in crescita (anche se non del tutto consolidate economicamente) come chiedono gli investitori finanziari attratti da attività in crescita (o che promettono di esserlo).
Nell’immediato futuro vedremo probabilmente altre operazioni del genere, e l’AI generativa agirà su queste strategie come acceleratore visto che il suo impatto è sicuramente maggiore nelle attività in crescita (streaming audio/video, pubblicità digitale, creator economy) che non su quelle in declino.
Il tutto con una principale conseguenza: consolidare ancora di più il panorama mediatico, un dato (che prendo ancora dalla newsletter di Scott Galloway):
“Negli ultimi quattro decenni, siamo passati da un ecosistema in cui il numero di aziende che controllavano il 90% dei media americani è passato da 50 a 6”.
2. Formati: l’affermazione definitiva dei contenuti “porzionabili”
Lo spacchettamento dei formati “classici” è una pratica alla base del dominio economico del digitale nelle industrie dei media, dalla commercializzazione del long play unbundled in singoli brani (da iTunes fino a Spotify) a quella del giornale in singoli articoli (Google News) e, se vogliamo, a quello del film (che una volta chiamavamo “lungometraggio”) nelle serie TV di Netflix da otto/dieci puntate a stagione.
La tendenza recente di pubblicare video sempre più lunghi (anche ben oltre le tre ore) su YouTube, la piattaforma video più importante al mondo, può sembrare in netta controtendenza allo spacchettamento digitale e in particolare con la “miniaturizzazione” di qualsiasi cosa attuata dal formato short video oggi dominante sui social (YouTube compresa).
C’è da notare che la quasi totalità di questi contenuti su YouTube sono video podcast (fruibili anche solo audio), un formato presente da decenni ma che oggi, come accennavo, si è evoluto in una direzione inaspettata grazie alla sua capacità di adattarsi alle diverse piattaforme sia audio che video e ai diversi formati sia molto lunghi che molto brevi.
In particolare i podcast costruiti su interviste con due soli protagonisti, host e ospite, con scenografie molto semplici (se non addirittura con sfondi completamente neri) sono quelli che hanno maggior successo proprio perché più facilmente segmentabili in brevi video da far viaggiare sui social: da “Hot Ones” ai nostri “BSMT” o addirittura “Belve” un format televisivo (e della “vecchia” TV lineare) le cui clip però si adattano perfettamente al flusso degli short video verticali di TikTok o Instagram o YouTube.
D’altra parte le TV connesse, ormai sempre più simili ai nostri smartphone, hanno un ruolo economicamente sempre più importante (nel mercato pubblicitario ma anche in quello degli abbonamenti digitali). Le piattaforme che le abitano con successo, YouTube su tutti, non possono giocarsi questa partita, in un’arena (gli smart TV appunto) ancora più ampia e frammentata, soltanto con i video brevi ma hanno bisogno di format più lunghi e strutturati.
I contenuti emergenti in questo senso potrebbero essere proprio quelli dal formato lungo ma pensati già pronti per essere porzionati in clip fruibili senza necessità di eccessivo contesto (o al contrario contenuti brevi pensati per essere aggregati facilmente in formati più lunghi). Insomma format pensati, fino da principio, per essere aggregati/disaggregati a secondo delle esigenze.
I podcast (e un certo tipo di podcast in particolare) sono quelli che ad oggi meglio rispondono a queste esigenze ma nell’immediato futuro possono segnare una tendenza da applicare a diverse altre tipologie di contenuto.
3. Professioni: l’ascesa del creatore digitale “multitasking”
Il ciclo digitale di aggregazione/disaggregazione ha investito anche il mondo del lavoro e le professioni. Nell'industria dell'informazione, ad esempio, non solo il giornale è stato frammentato nel suo formato tradizionale, ma anche il suo processo produttivo è stato disaggregato. La redazione, intesa come comunità professionale che collabora alla creazione del prodotto, è stata in parte sostituita da singoli giornalisti/scrittori che lavorano e pubblicano individualmente, per poi essere riaggregati sulle grandi piattaforme, in competizione tra loro per visibilità all'interno delle logiche algoritmiche.
Il 2024, secondo il New Yorker, ha segnato l'ascesa definitiva dei creatori digitali, ma all'interno di dinamiche di "coda lunga": poche superstar guadagnano molto, mentre molti, moltissimi guadagnano poco. In questo contesto, la diversificazione delle entrate diventa fondamentale. Non ci si può limitare alla quota di guadagni pubblicititari concessa dalle piattaforme come YouTube o TikTok: è necessario esplorare gli abbonamenti diretti, la vendita di servizi (come corsi online), il merchandising e le affiliazioni commerciali.
Altrettanto importante è diversificare la propria presenza su più piattaforme, riducendo la dipendenza da una sola e adattandosi alle logiche di ciascuna. Il creatore digitale del futuro dovrà essere un "multitasking", in grado di padroneggiare competenze diverse per rispondere alle mutevoli esigenze del mercato.
In sostanza: un esercito di freelance ibridi, figure professionali alle quali sarà chiesto di adattarsi al panorama mediatico in continua evoluzione, costretti a destreggiarsi tra diverse piattaforme e modelli di business, con non pochi interrogativi sul futuro del lavoro creativo, sulle competenze necessarie per emergere in questo nuovo ecosistema; con la speranza che questo possa portare a una maggiore libertà e autonomia economica il lavoro intellettuale e non a renderlo ancora più precario.
È davvero tutto per questo numero, grazie per aver letto fino a qui. Auguri di buon anno! Alla prossima puntata.
Lelio.