#Mediastorm 56 – La "miniaturizzazione" di qualsiasi cosa
Concetti complessi sintetizzati in brevi liste, romanzi e film raccontati in 30 secondi inseguendo la "brevità intelligente". Ma davvero ogni contenuto deve essere condensato nella sua miniatura?
“Scrivete per un lettore che non ha voglia di leggere” è una delle raccomandazioni che più spesso veniva fatta dai caporedattori quando ero un praticante, ovvero almeno un decennio prima dell’esplosione dei social media e con i siti dei giornali italiani ai primi vagiti.
D’altronde titolo, catenaccio, occhiello, sommarietto e regola delle cinque W sono tutti elementi nati e sviluppati per decenni nella scrittura giornalistica, proprio per dare al lettore le informazioni essenziali di un fatto, senza obbligarlo a leggere tutto un articolo dalla prima all’ultima parola (che è una cosa che ti devi conquistare, se sei bravo, paragrafo dopo paragrafo).
Nel nuovo mercato dell’attenzione sempre più affollato e dominato dal digitale, lo sappiamo bene, quella raccomandazione si è trasformata in un diktat, un ordine perentorio, e non solo riguardo a un articolo giornalistico ma —estendendone il concetto oltre lettore e leggere— praticamente per qualsiasi tipo di contenuto (testo/video/audio).
Tutto nell’era dello “spacchettamento di qualsiasi cosa” sembra debba ridursi alla sua miniatura per essere distribuito nei canali digitali in modo più efficiente e funzionale: film, romanzi, concetti complessi, fino alle ricette di cucina, tutto spiegato in pochi secondi, in brevi citazioni o in liste di quattro o cinque punti massimo. In alcuni casi, se ben fatti, sono contenuti che posso essere anche interessanti e divertenti. Eppure.
Uno dei progetti editoriali da seguire con attenzione in questi ultimi anni è sicuramente Axios Media, una rete di newsletter monotematiche nelle quali i singoli articoli di cui sono composte, lunghi tra le 300 e le 600 parole circa, sono suddivisi in brevi paragrafi introdotti da titoletti (perché è importante, il contesto generale, cosa potrebbe accadere dopo) in modo da comporre un elenco per punti.
La formula, quelli di Axios, l’hanno chiamata “smart brevity”; ne hanno fatto un marchio registrato, hanno sviluppato e messo sul mercato un software per strutturare i contenuti su questo modello e, alla fine, hanno anche pubblicato un libro — titolo ovviamente “Smart brevity” sottotitolo “The power of saying more with less”— che alla sua uscita negli Stati Uniti , lo scorso 28 settembre, ha suscitato qualche polemica nei giornali americani.
Il New Yorker recensendo il libro ha titolato: “La discutibile saggezza della ‘brevità intelligente’”, dove la giornalista Clare Malone scrive:
Axios è celebrato per aver dato ai lettori quello che vogliono: un modo per risucchiare quante più informazioni possibili con il minimo sforzo, il Soylent del giornalismo per chi è troppo occupato per fare un pasto completo con una storia più lunga. Ma in questo momento di tumulto e cambiamento è leggermente snervante che il modello di giornalismo che si fa franchising e attira investimenti sia quello votato a semplificare ciò che in realtà non può essere semplificato. I lettori possono volere brevità, ma i tempi richiedono sfumature.
The New Republic è andata giù ancora più duramente sentenziando: “L'inferno è un mondo in cui tutti scrivono come Axios” (con tanto di autore del pezzo, Timothy Noah un veterano della redazione di TNR, che si è divertito a scrivere questa stroncatura riproducendo alcuni tratti tipici dei dettami della smart brevity).
Certo è facile notare come tali critiche, così tranchant, provengano da due giornali che sono autentici monumenti al grande formato, ai lunghi reportage, alle grandi inchieste —nelle quali è bello anche “perdersi” e tornare a leggere e rileggere nel tempo— che si sono sentite, immagino, toccate nel vivo dai fautori del pragmatismo fatto stile di scrittura del “togli tutto quello che non è necessario”.
Tuttavia una delle cose che più apprezzo della brevità di Axios è quel Go deeper che molto spesso viene posto alla fine di un breve articolo: un link che rimanda a un altro articolo (o serie di articoli) sul medesimo argomento affrontandone altri aspetti, altre “sfumature”, per andare più in profondità, appunto. Un modo, intelligente, per unire brevity e longform, per circondare la miniatura di contesto (come ogni miniatura che si rispetti).
Un meccanismo a incastro messo nelle mani di chi legge affinché le singole “brevità intelligenti” si riconcilino con i formati più lunghi e approfonditi. Un modo di evitare un rischio: pensare che davvero il racconto di una qualsiasi tematica, nella sua completezza, possa essere contenuto all’interno di un pezzo lungo quanto un flash d’agenzia.
Mi sembra una strada da percorrere, da noi Will Media ad esempio (che sicuramente guarda ad Axios come uno dei suoi modelli) sta provando a fare qualcosa di simile, con risultati interessanti, aggregando più contenuti brevi (dieci o quindici) su un unico argomento in una formato tipo multimedia storytelling, dove i singoli capitoli vengono letti uno dietro l’altro facendo scrolling.
Perché certo va anche bene dare solo gli elementi essenziali su un fatto “per fare un figurone a cena” (che è il claim di Will Media e, con poche variazioni, di altri sostenitori della brevità) ma l'obiettivo vero deve essere quello di aiutare il lettore a farsi un'opinione propria sui fatti raccontati che abbia basi solide, per raggiungerlo vanno cercati strumenti e strategie per far convivere e interagire felicemente i due formati, non certo dividerci in una nuova polemica tra due fazioni distinte.
Benvenuta, benvenuto, sono Lelio Simi e questo è il cinquantaseiesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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📊 Chart, chart, chart!
📺 A proposito della dittatura dei franchise (ne ho scritto un paio di settimane fa) ecco un grafico realizzato da Parrot Analytics relativo a mercato americano delle principali piattaforme streaming su domanda di contenuti (una metrica realizzata dalla stessa società). In percentuale si nota che la domanda di contenuti di Disney+ dipende per quasi il 50% da franchise (originali o in licenza).
📱 L’agenzia Magna (gruppo IPG) ha aggiornato le sue previsioni su ricavi da pubblicità per il 2022, una cosa interessante sono quelle relative alle digital adv con le crescite più significative della search e del formato video, rallentano molto la loro corsa (a causa delle limitazioni del targeting delle app su iOS) quella sui social.
🎶 Il mercato discografico italiano nel primo semestre del 2022 in dettaglio, via account twitter di Enzo Mazza il CEO di FIMI Italia.
➤ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋Prima di salutarci…
Alla fine doveva succedere, Netflix ha prodotto una serie tv (genere sitcom) su Blockbuster, l’azienda che ha contribuito a far chiudere. Dalla scheda di presentazione: “Un manager diligente alle prese con la concorrenza e i propri sentimenti complessi lotta per tenere aperto l'ultimo Blockbuster rimasto e rendere felice il suo staff”. Nelle “caratteristiche” indicate dalla scheda di Netflix si legge oltre che: spiritoso e irriverente, anche “ottimista”. Chissà per chi.
È davvero tutto per questa settimana, alla prossima.
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 56- 9 ottobre 2022.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].