#Mediastorm 22 – "Spacchettare"
Disney, Warner Media e Adele: cosa ci dicono sull'industria dei media le storie di questa settimana in merito all'era dello "spacchettamento di qualsiasi cosa".
“Ci sono solo due modi per fare soldi negli affari: aggregare e disaggregare” è una frase molto famosa e, ormai, citatissima ma è interessante guardare come ancora nell’ecosistema digitale debba essere aggiornata. Ad esempio nell’ultima settimana ci sono stati due “eventi” che in qualche modo ci dicono come l’impacchettamento e lo spacchettamento di qualsiasi cosa, ponga continuamente nuove questioni, nuovi nodi da sciogliere dentro l’industria dei media.
Mi riferisco in particolare all’accordo tra due dei principali concorrenti nelle guerre dello streaming come Disney e Warner Media per continuare a distribuire nelle loro piattaforme in “esclusiva” alcuni film e, infine, la scelta della cantante Adele di chiedere (e ottenere) che il suo ultimo lavoro venga distribuito nelle streaming privo dell’opzione “shuffle” (riproduzione casuale dei brani).
Benvenuta, benvenuto io sono Lelio Simi e questo è il ventiduesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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📺 Il dilemma dei “pacchetti” nello streaming
In settimana Warner Media e Disney hanno modificato il loro attuale accordo di produzione per i film di Fox (oggi 20th Century Studios) su HBO e HBO Max, che durerà fino al 2022. “In questo modo – si legge nel comunicato riportato da Variety – HBO e HBO Max condivideranno i diritti di co-esclusiva con Disney+ e Hulu su una selezione di titoli di 20th Century Studios e Searchlight Pictures. HBO/HBO Max manterrà l'esclusività della finestra pay-one TV su circa metà della lista fino al 2022”.
L’idea di “co-esclusiva” per giunta condivisa su piattaforme rivali, è del tutto nuova e, diciamolo, decisamente ridicola: una contraddizione in termini che però ci dice come oggi le grandi media company debbano fare dei doppi salti mortali (anche a livello comunicativo) per coniugare alcune esigenze opposte.
La prima è quella di proporre contenuti originali in esclusiva per attrarre sempre più persone alle quali non dare altra scelta che abbonarsi alle loro piattaforme per vederli; dall’altra però per mantenere nel tempo quegli stessi abbonati c’è bisogno di sterminate library le cui dimensioni difficilmente possono essere mantenute tali solo da contenuti in esclusiva. Proprio per quest’ultimo aspetto molte grandi media company sono disposte a pagare molti soldi i diritti di licensing di film e serie TV vecchi e nuove (Netflix ad esempio ha pagato 100 milioni di dollari per mantenere un solo, ulteriore, anno Friends).
Che fare in questo momento nel quale la concorrenza aumenta continuamente e le guerre dello streaming si fanno sempre più difficili? Prendere i (tanti) soldi dai propri rivali o puntare tutto sulla “esclusiva” per tentare di aumentare la propria base di abbonati? La linea strategica che sembra predominare oggi è quest’ultima: l’accordo tra Disney e Warner ha durata di un solo anno, quindi tutto tornerà, diciamo così, nella normalità del nuovo scenario del “tutti contro tutti” predominante oggi nella Subscription economy.
Eppure andrà fatta una seria riflessione sul valore del “vecchio” pacchetto televisivo (che permette di raggruppare più canali a pagamento), nel momento in cui le persone sembrano sempre più in difficoltà a sottoscrivere, e pagare, continuamente nuovi abbonamenti su qualsiasi cosa (l’ho già sottolineato spesso, è un tutti contro tutti che mette piattaforme video, quelle musicali, i giornali e altri ancora in competizione). Davvero la scelta giusta è puntare sulle esclusive e scartare l’idea di accordi a medio (lungo?) termine anche tra rivali?
💿 Non spacchettate quel disco!
Adele ha chiesto e ottenuto che il suo ultimo lavoro non fosse distribuito su Spotify con l’opzione shuffle, ovvero la lettura casuale dei singoli brani: “Non abbiamo creato un album con così tanta cura e pensato alla nostra tracklist senza motivo... la nostra arte racconta una storia e le nostre storie dovrebbero essere ascoltate come noi le abbiamo concepite” ha scritto la cantante.
Una delle cose più interessanti su questa vicenda l’ha scritta, a mio giudizio, il sito The Information, che sottolinea anche come questo “evento” possa avere conseguenze per i musicisti e l’industria della musica:
“A partire dal 2014, Billboard ha iniziato a calcolare le unità equivalenti dell'album o il numero di streaming che possono essere contati come una vendita di album. Avere più canzoni su un album significa più stream, che potrebbero tradursi in una posizione più alta in classifica. Significa anche più soldi. L'insistenza di Adele sull’importanza di trasmettere in streaming le dodici tracce del suo album “30” nel loro giusto ordine e la capitolazione di Spotify alla sua richiesta, solleciteranno artisti, etichette ed editori a creare singoli ‘playlistable’ o album più lunghi”.
Torniamo all’idea dello “spacchettamento” dei vecchi formati fisici nell’era di Internet, che non è solo dell’album musicale ma anche del film, del giornale e di ogni altro prodotto dell’industria dei media (e non solo quella). È un punto fondamentale perché cambia radicalmente il nostro rapporto con questi “oggetti”, scusate l’autocitazione, ma è un punto sempre più centrale che ho sottolineato anche nel mio Mediastorm:
Il valore economico di un contenuto dell’industria dei media – e di tutta l’industria culturale – dipende sempre più dalla sua condivisibilità nella Rete, dalla sua capacità di diventare “un’esperienza della comunità” ; ma così, nell’eccesso opposto, un libro diventa soltanto una serie di citazioni da postare su Instagram, Facebook o Twitter, un giornale perde la sua dimensione di un lavoro pensato e sviluppato da una redazione diventando soltanto una serie di articoli da leggere in un aggregatore. Tutto rischia di diventare “Una nuvola scintillante di frammenti” senza più cuciture, come ha avvertito lo scrittore John Updike. Su Internet per rendere più comoda la loro distribuzione è stato “spacchettato” ogni prodotto delle industrie dei media, rendendo più semplice scaricarli, acquistarli e condividerli, ma così sono stati anche trasformati in singole porzioni da consumare in una “playlist infinita” che sembra voler contenere tutto il mondo, con il rischio che niente ci venga restituito per intero, nel suo reale contesto.
📝Tre storie da leggere (su media e disruption digitale)
1️⃣ Benvenuti nell'era della ridondanza
Ogni servizio di streaming che cattura un certo interesse generale ha, in un'altra piattaforma, un programma che lo imita a cominciare dal titolo. Ma gli streamers non stanno solo effettuando il reverse engineering dei successi l'uno dell'altro, stanno anche emulando il mix di contenuti in continua espansione l'uno dell'altro. È estenuante. E ora che i franchise da Star Wars a The Witcher, proliferano sui servizi di streaming, tutto contribuisce alla sensazione strisciante che dall'era del cosiddetta “peak TV” la televisione si stia spostando nell'era del sovrabbondante. Possiamo scegliere tra un’infinità di titoli, molti di qualità ottima. Ma abbiamo anche troppi spettacoli che sembrano intercambiabili.
→ Welcome to TV’s Era of Peak Redundancy, Judy Berman su Time Magazine (tempo lettura 17 minuti).
2️⃣ Benvenuti nell'era dell’overload
“C’è stato un momento nel 2012 in cui ho pensato che sarei stata in grado di tenere il passo con tutto. E per “tutto”, intendo tutti i buoni programmi TV, tutti i bei film, tutta la buona musica. La tecnologia ha reso più facile produrre più televisione e, tramite l’on-demand, ha permesso alle persone di guardarne di più; 389 programmi TV in onda solo negli Stati Uniti nel 2014, rispetto ai soli 182 del 2002. Il risultato finale è stato un misto di risentimento e paralisi. Guardavo due episodi di uno show e me ne liberavo, semplicemente perché non volevo impegnarmi per l'intera stagione. Oggi guadare attraverso i menu in streaming è come fare da babysitter a centinaia di bambini piccoli, tutti alla disperata ricerca della mia attenzione”.
→ Overloaded: is there simply too much culture? Anne Helen Petersen sul Guardian (tempo lettura 8 minuti).
3️⃣ La supremazia tecnologica di Netflix
Ci sono molte ragioni per spiegare l’impatto e il successo che Netflix ha avuto e continua ad avere nonostante abbia rivali ricchi e potenti come Amazon, Apple e Disney. Tra le più citate ci sono il fatto che iniziò a occuparsi di streaming prima di tutti. C’è però un aspetto tecnologico che spesso viene trascurato – o dato per scontato da molti – che è determinante e quasi imprescindibile per il suo successo. Finora Netflix non ha mai avuto rilevanti problemi che ne impedissero l’uso a un considerevole numero di utenti. In genere, se c’è una connessione almeno decente, Netflix risulta sempre accessibile.
→ Perché Netflix funziona così bene, lo spiega Il Post (tempo lettura 8 minuti).
📈 Chart, chart, chart
📱 YouTube sta cercando di imitare TikTok. L'app di YouTube sta sempre più privilegiando video molto corti e verticali in stile TikTok che durano 60 secondi o anche meno, rispetto ai tradizionali video YouTube più lunghi. Alcuni creatori di video sono passati al nuovo formato, mentre altri affermano che stanno ripensando alla loro strategia di YouTube dopo aver notato un calo delle visualizzazioni dei loro video più lunghi. (via The Information).
📺 I contenuti per bambini una volta erano principalmente uno strumento per impedire agli utenti di cancellare gli account di streaming. Ora è un fattore chiave per la crescita di nuovi utenti. Nell'ultimo mese, tre dei primi 15 programmi su tutte le piattaforme di streaming sono stati serie per bambini (via Axios).
🎵 Il valore globale del copyright musicale è aumentato del 2,7% a 32,5 miliardi di dollari nel 2020; la bilancia pende a favore delle etichette il cui boom nella crescita dello streaming ha compensato il crollo della performance dal vivo. Il motore di questi cambiamenti è lo streaming: il suo contributo alle etichette, agli editori è aumentato, dal 22% nel 2016 al 54% nel 2020. Lo streaming ora rappresenta la maggior parte del valore del diritto d'autore. (via Tarzan Economy).
👋Prima di salutarci…
“Mobile TV tape recorder…tape and roll!” (pubblicità RCA del 1965, via A Word from Our Sponsor)
#Mediastorm: una newsletter sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 22 - 28 novembre 2021.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online:
Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].