#Mediastorm 96 – I social si mangeranno (definitivamente) l'industria dell'intrattenimento?
Più o meno un mese fa TikTok ha annunciato una nuova funzionalità rivolta ai creatori che permette di proporre un abbonamento all’interno del profilo personale in modo, così, da poter aggiungere una nuova fonte di ricavo direttamente dai loro follower: “offrendo esperienze premium, i creator possono rafforzare la loro community e, allo stesso tempo, potenziare la loro crescita su TikTok per aumentare le entrate mensili” precisa in un comunicato la stessa TikTok.
La piattaforma in questi ultimi mesi sta dimostrando di essere molto interessata a sperimentare nuove forme di abbonamento di cui questa —riservata ai creatori con un seguito consistente e limitata solo ad alcuni Paesi — è per il momento soltanto un nuovo “test”.
Qualunque sia il futuro di questa iniziativa va vista come l’indicatore più recente di come — in generale — le piattaforme social siano oggi impegnate, da una parte, a intensificare la corsa ad attrarre sempre più creatori (anche) attraverso la proposta di nuovi prodotti e feature pensate per loro e, dall’altra, a introdurre nuove tipologie di ricavi, come varie forme di abbonamenti, fino a ieri asse portante esclusivo delle media company che operano nello streaming o nella TV via cavo/satellite.
Si sta delineando, insomma, un nuovo scenario all’interno dell’industria dell’intrattenimento, dove le piattaforme social cercano di espandere i propri flussi di entrate per adattarsi a un focus più incentrato sull'intrattenimento.
I creatori digitali — nel bene e nel male — stanno ampliando il “concetto”, quello che intendiamo per intrattenimento e, cosa affatto secondaria, ne stanno affollando sempre più l’offerta.
Come ha fatto giustamente notare l’agenzia Midia Research in un suo recente report:
L'intrattenimento è ora una delle ragioni principali per cui i consumatori interagiscono con le piattaforme social, e questo apre loro nuove opportunità e pone nuove sfide per l’intrattenimento tradizionale. Le piattaforme social offrono non solo un luogo nel quale consumare contenuti originali, ma anche per creare contenuti attorno ad essi, interagire con i contenuti discutendone e analizzandoli, e interagire con altri fan e spettatori.
E ancora:
Ma man mano che le piattaforme social diventano sempre più importanti nel più ampio mercato dell’intrattenimento, cercheranno sempre più di assorbire una quota maggiore della spesa per l’intrattenimento dal loro pubblico, con il vantaggio di non doversi preoccupare dei diritti o della concorrenza diretta che deriverebbe dal paywalling dell'intera piattaforma.
Tutto questo porta in rotta di collisione i social —soprattutto quelli a preponderante contenuto video realizzati da creatori digitali— con le media company mainstream, da Disney a Netflix, che operano nel campo dell’intrattenimento “professionale”.
E i social hanno ottime carte da giocare per vincere questa nuova partita per ritagliarsi la fetta più consistente (anche) delle risorse economiche (ricavi pubblicitari e spesa delle famiglie in abbonamenti) destinate oggi all’intrattenimento “mainstream”.
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Se il televisore somiglia sempre più a uno smartphone e lo smartphone a un televisore
Generalmente tendiamo a pensare alle competizioni all’interno dell’industria dell’intrattenimento ancora per scompartimenti: la vecchia TV lineare contro gli streamer, gli streamer in guerra tra di loro e via di questo passo; ma ormai queste sono guerre “di provincia” il campo della competizione è sempre più complesso ed è un errore guardarne solo una porzione.
E sebbene sia corretto affermare che la nuova TV assomiglia sempre più a quella vecchia, bisogna però tenere conto che, rispetto alla vecchia, anche nei televisori connessi oggi possiamo guardare i video di YouTube, oggi lo streamer più visto sullo schermo televisivo negli Stati Uniti con il 10,6% dello screentime: una quota che da sola vale circa la metà di quanto tutti i canali broadcaster mettono assieme.
Ma nelle smart TV troviamo anche i video brevi di TikTok (che non a caso fin da subito ha voluto occupare anche quello spazio), come d’altronde possiamo ascoltare musica o podcast di Spotify (che oggi sta implementando anche video).
Così se per un po’ di tempo i confini sono stati netti e definiti: nel televisore le cose da televisione (show, serie, film, tiggì) e nello smartphone le cose che consumavamo fino ad allora dallo schermo del computer (blog e siti web, social media, giornali digitali, video generati dagli utenti); ma oggi dalla nostra TV abbiamo accesso ai social dominati dalla creator economy e, al contempo, lo smartphone si è “televizzato” adattandosi sempre più a una dimensione broadcasting (io trasmetto tu guardi).
La competizione, alla fine, ha trovato un unico territorio con i medesimi contendenti che, senza interruzioni, dallo schermo televisivo va a quello dello smartphone (passando per quello del pc) senza praticamente soluzione di continuità.
Ma, come fa notare, l’esperto di marketing Scott Galloway:
I contenuti di piccole dimensioni hanno vantaggi intrinseci: sono economici da produrre e facili da consumare, con piattaforme come TikTok che offrono una mancanza di scelta senza attriti. Gli spettatori di Netflix trascorrono 78 ore all’anno solo a decidere cosa guardare: TikTok ti consente di trascorrere quel tempo a guardare. E la sua sbalorditiva liquidità lo rende migliore di te nel decidere cosa vuoi guardare.
Una serie di fattori che ha portato chi opera nelle diverse industrie dei media (settore delle notizie compreso, va detto) a convincersi che l’intrattenimento sia la principale — se non l’unica — modalità con la quale concepire un qualsiasi contenuto per tentare di emergere nel nuovo mercato dell’attenzione.
Quella più efficace per intercettare sia i budget degli investitori pubblicitari sia quello stanziato delle famiglie in abbonamenti e acquisto di merchandising. Budget che, ha valore ricordare, hanno margini di crescita limitati o, quanto meno, non tali da assicurare una torta abbastanza grande perché tutti i contendenti possano averne un fetta.
Due punti chiave a favore dei social
In questa competizione i social vantano due punti chiave a loro vantaggio:
non dover sostenere i costi di produzione dei contenuti;
essere oggi il “luogo” più importante e irrinunciabile per la promozione di qualsiasi contenuto.
1.
In effetti per i creatori digitali i costi produttivi sono a totale carico loro, così come, i costi per la promozione dei loro contenuti, i social media mettono a disposizione una piattaforma dalla straordinaria capacità di distribuzione in ogni pertugio digitale, e degli strumenti “creativi” per confezionare al meglio i contenuti, poi sta ai creatori sfruttarne le potenzialità (adeguandosi alle logiche degli algoritmi che li governano).
Mentre le media company, dopo le spese fuori controllo richieste dallo streaming negli ultimi anni (una quantità enorme di costosissime produzioni originali alle quali aggiungere cifre a otto zeri per assicurarsi i diritti di quelle prodotte da altri), oggi devono rientrare in una logica costi/ricavi più equilibrata per dimostrare agli investitori finanziari di essere capaci di costruire un futuro economicamente sostenibile.
Produrre meno ma meglio, razionalizzare i costi: sono i buoni propositi che le media company cercano oggi faticosamente di perseguire, dovendo comunque ad ogni trimestrale presentare, in un mercato tendente alla saturazione, numeri in crescita per quanto riguarda la base abbonati.
2.
Nel frattempo invece le piattaforme social attraggono sempre più creatori mettendoli in competizione tra loro e aumentando — con il minimo sforzo —ogni giorno i volumi di contenuti che questi caricano nelle loro library (invadendo l’offerta di intrattenimento che va ad erodere il tempo speso dalle persone nel guardare quello più tradizionale) .
Un modello quest’ultimo che piace molto anche a una piattaforma come Spotify, che si trova a metà del guado tra contenuti professionali e quelli dei creatori digitali (variamente “professionalizzati”).
Il messaggio del CEO Daniel Ek rivolto agli artisti (che comprensibilmente li ha fatti imbestialire) è stato sostanzialmente: non lamentatevi con noi per i bassi margini di guadagno realizzati sulla nostra piattaforma, sfruttatene le enormi potenzialità e siate voi bravi a promuovere la vostra musica in modo da avere più ascolti e quindi più soldi.
Una cosa che, qualche anno fa, mi aveva molto colpito è stata quando Netflix nella lettera agli investitori (non un comunicato corporate qualunque, quindi) ha messo in bella evidenza un’infografica che sottolineava la crescita dei follower su Instagram di alcuni attori dopo il lancio di una serie targata, appunto, Netflix: il successo sui social assurto, addirittura, come misura del proprio successo per convincere gli azionisti a continuare a investire su di te.
Tutti trasformati, insomma, in “brand di te stesso” a spingere sui pedali dell’autopromozione che, però, ha come pista principale proprio le piattaforme social, in particolare oggi YouTube, TikTok e Instagram.
E questo che si tratti di una superstar miliardaria come Selena Gomez che su Instagram promuove il suo ultimo film (prodotto da Netflix) contemporaneamente a un brano della colonna sonora (da ascoltare in anteprima su Spotify), oppure una foodblogger di provincia che promuove su TikTok un video di YouTube dove recensisce dei ristoranti della sua città.
Una “giostra” che gira senza sosta continuamente alimentata (anche) dalle media company obbligate, in questo modo, a giocare in casa dei “nemici” contribuendo a rafforzarli ulteriormente.
Un’ultima nota
Visto che si parla molto dell’impatto della AI generativa sull’industria dei media e dell’intrattenimento sarà interessante vedere come impatterà anche in questa competizione.
Perché, da una parte, l’AI generativa darà agli studios la possibilità, piaccia o meno, di ridurre i costi di produzione; dall’altra però offrirà ai creator (ai quali probabilmente si aggiungeranno tutti quei professionisti fatti fuori dai quei tagli dei costi) che potranno utilizzarla per realizzare contenuti con “effetti speciali” che fino ad allora potevano permettersi solo le produzioni professionali.
“Effetti speciali” che i creatori potranno utilizzare tramite strumenti sviluppati, implementati e offerti loro, ovviamente, dalle piattaforme social.
È davvero tutto per questo numero, grazie per aver letto fino a qui. Alla prossima puntata.
Lelio.