#Mediastorm 62 – Social vs. broadcaster
L'idea che il valore di un contenuto è dato dalla qualità delle relazioni che genera è ancora valida o anche nel digitale si sta strutturando un rapporto a una direzione con il proprio pubblico?
In questo numero:
Chart, chart, chart! Vendite copie primi nove mesi 2022 industria dei quotidiani italiana.
Il caos nel quale Elon Musk sta gettando Twitter sembra poter condurre il social all’implosione; se non in modo così drammatico, anche la profonda crisi di identità che ha colto Zuckerberg sta conducendo Facebook verso territori dai confini incerti.
Tra le molte conseguenze di tutto questo c’è anche il fatto che i due principali “luoghi” eletti dalle industrie dei media per creare conversazioni e relazioni (quindi valore) attorno ai i loro “prodotti” difficilmente potranno ancora assolvere a questa funzione come in passato.
Anche TikTok che oggi vive il suo momento di straordinario successo non sembra il luogo ideale per generare conversazioni e relazioni di qualità, il rapporto con il suo feed video è molto più vicino a quello (passivo/mono direzione) tra spettatore e broadcaster che non quello (attivo/multi direzione) di una piattaforma social.
Per carità i problemi sulla qualità delle interazioni e delle conversazioni generate dai media sociali non li scopriamo certo adesso, esistono da tempo e non sono di poco conto. Ma i recenti sviluppi pongono, mi sembra, un problema di difficile soluzione.
La necessità di dare valore ai contenuti attraverso le interazioni che si creano grazie alla Rete è centrale da quasi un decennio. Jeff Jarvis nel 2013 nel suo famoso blog BuzzMachine scriveva che:
I media dovrebbero investire nel business delle relazioni e non solo in quello dei contenuti. In altre parole, il valore dei media non è necessariamente intrinseco nei contenuti – nel senso che “devi pagare per questo prodotto perché il lavoro nel crearlo ha un valore” – ma può essere realizzato nelle relazioni che si formano intorno a quel contenuto.
È passato un po’ di tempo da allora, certo, in molti proprio in quegli anni hanno scelto di delegare alle piattaforme social come, appunto, Facebook e Twitter lo sviluppo delle relazioni (e quindi del valore) di un loro contenuto con le persone perché “tanto le conversazioni sono già tutte lì”, rinunciando così a costruire e coltivare quelle relazioni direttamente, senza intermediari che, tra l’altro, sono abituati a prendere decisioni unilateralmente su come gestirle e sfruttarle a proprio tornaconto.
È stata, quella per gli editori ad esempio, una scelta scellerata e non bisognava certo arrivare fino ad oggi, quando a Meta/Facebook ha deciso di porre definitivamente la pietra tombale nel rapporto tra loro e l’industria delle notizie, per capirlo.
Oggi che di quelle scelte strategiche si raccolgono i cocci, che alternative restano per le media company di aggiungere valore ai loro “prodotti” attraverso le relazioni che generano?
Muoversi lateralmente?
Il mese scorso Jimmy Iovine, lo storico produttore musicale, in una lunga intervista a Variety ha affermato che vorrebbe che l’industria musicale — e per prima Spotify — oggi “si muovesse in senso laterale”:
Lo streaming musicale non deve essere soltato un’utility, deve avere una sorta di elemento sociale, in cui gli artisti possono interagire con il pubblico. Le due attività sono separate e non dovrebbero: la musica e la distribuzione dovrebbero essere insieme [... ] Lo streaming dovrebbe essere social! Lo streaming non sarà mai quello che può essere senza i social. Ci deve essere una certa interazione tra l'artista e il pubblico. Perché devi andare da qualche altra parte per farlo?
Quello di “muoversi in senso laterale” ovvero appropriarsi direttamente della dimensione sociale da parte delle media company (major discografiche, in questo caso ma allargando la prospettiva anche editori o piattaforme/editori come Netflix e, almeno nelle ambizioni, Spotify) è sicuramente una strada, caldeggiata anche da importanti investitori della Silicon Valley come Andreessen Horowitz che già qualche anno fa portavano l’esempio delle super-app dell’Estremo Oriente come modello da seguire anche per le piattaforme Occidentali (un modello che però ha non poche controindicazioni).
Però ho un dubbio e, credo, sia un importante nodo da sciogliere per comprendere gli scenari futuri nell’ecosistema dei media: quanto quell’idea che il valore di un contenuto sia “direttamente proporzionale alla qualità delle relazioni che genera” è oggi ancora valida per la maggior parte delle media company?
Quanto insomma non prevalga invece l’idea che oggi sia meglio (per le media company, per le piattaforme) promuovere un rapporto da broadcaster dove quello che si chiede al proprio pubblico (alle persone) non è tanto generare conversazioni di qualità attorno ai contenuti ma, semplicemente, niente di più che fare scorrere con il pollice il feed video sullo schermo dello smartphone o accreditare con la propria carta di credito il rinnovo dell'abbonamento per il mese successivo.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il sessantaduesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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📊 Chart, chart, chart!
📰 L’industria dei quotidiani italiana. Con la pubblicazione dei dati di settembre da parte di ADS (la società che certifica vendite e diffusione dei giornali italiani) è possibile fare un bilancio dei primi nove mesi di quest’anno e metterli a confronto con quelli del 2021. Per il momento ho preso in considerazione, per realizzare questa prima infografica, l’aggregato di tutte le 60 testate certificate, ma nei prossimi numeri mi prometto di farne altre su singole testate.
Come tengo a precisare spesso oggi i dati su vendite copie sono molto importanti ed ha valore analizzarli attentamente per capire lo stato di salute dell’industria dei giornali ma non ci dicono tutto, o quasi tutto, come in passato.
Detto questo, veniamo ai dati, quante copie hanno venduto i quotidiani italiani nei primi nove mesi del 2022? Mediamente ogni giorno di uscita 1,62 milioni di copie, 124mila in meno rispetto al 2021, con una flessione anno su anno del 7%, considerando tutte le testate aggregate e soltanto le “vendite individuali” cioè quelle alle singole persone e non quelle “multiple” fatte cioè “a pacchetto” a prezzi speciali ad aziende, enti e associazioni
Più nel dettaglio: le vendite cartacee (quindi principalmente attraverso il canale delle edicole, ma in misura nettamente minore anche la GDO), continuano a calare, -9,4% sul medesimo periodo del 2022, ovvero oltre 122mila copie in meno nel giorno medio.
Flettono anche le copie cartacee vendute per abbonamento, -11,6%, non certo una sorpresa visto che da noi sono sempre state pressoché residuali, un problema visto che gli abbonamenti, banalmente, riducono il volume delle copie rese e, quindi, lo spreco della carta che oggi ha raggiunto costi stellari.
Meno scontato (forse) è la conferma della flessione delle vendite delle copie digitali vendute a un prezzo superiore al 30% del prezzo intero (-10.700 copie in meno nel giorno medio rispetto al 2021).
Crescono invece le vendite delle copie digitali a prezzo stracciato (cioè tra 10 e 30% di quello intero), +22mila copie rispetto anno scorso.
Teniamo presente che le copie digitali sono soprattutto un indicatore degli abbonamenti (carta + digitale o solo digitale) e delle membership (accesso a tutti gli articoli del sito + copia digitale del quotidiano), è facile notare come gli editori, anche da noi, stiano sempre più puntando ad aumentare la base di abbonati digitali con offerte molto economiche.
Per questo sarebbe molto interessante avere i dati sui reali ricavi generati da queste tipologie di abbonamento e non soltanto, come spesso avviene, i dati sul loro numero, magari enunciati con toni trionfalistici.
Per concludere: le edicole rappresentano oggi il 73% sull’intero aggregato di copie vendute, gli abbonamenti cartacei il 6%, le copie digitali (vendute a più del 30% prezzo intero) il 12% e il 9% quelle vendute a un prezzo rispetto a quello intero compreso tra il 10 e il 30%.
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋Prima di salutarci…
I sandali di Jobs. La notizia che delle vecchie Birkenstock indossate da Steve Jobs sono state vendute all'asta per quasi 220.000 dollari, questa settimana, ha fatto il giro del mondo (come si dice in questi casi), una delle migliore letture di questo evento l’ha data, a mio giudizio, Drake Bennett su Bloomberg, ne propongo qui qualche breve passaggio del suo articolo:
“C'è una risonanza religiosa in queste Birks malridotte. I sandali, a differenza delle Air Jordan, hanno un’aura nazarena, ancora di più quando, come la Sindone di Torino, portano l'impronta del corpo che una volta hanno toccato (notoriamente nel caso di Jobs non eccessivamente deterso). […]
I sogni riposti su Meta da Mark Zuckerberg sembrano non andare da nessuna parte. Elon Musk sembra molto più bravo a trollare Twitter che a risolverlo. Sam Bankman-Fried ci ha ingannati tutti. Anche Apple Inc. ora deve gran parte del suo successo al connubio tra il suo imbarazzante matrimonio con l’industria manifatturiera cinese e indurre spietatamente i clienti affezionati ad acquistare continuamente i suoi prodotti.
Jobs, al contrario, era un genio ossessivo che amava circondarsi del lavoro di un artigiano. Secondo la casa d'aste che ha venduto i sandali, ha persino chiamato Birkenstock per avere maggiori informazioni su come erano stati realizzati e progettati. Jobs ha utilizzato quella sensibilità per trasformare la nostra esperienza di uomini moderni, non tanto per trovare modi migliori per rendere più efficiente la pubblicità […]
È anche vero che quegli splendidi gadget che Jobs ha portato nel mondo oggi sono quelli che ce ne tengono lontano, le seducenti condutture dove scorre quel flusso digitale nel quale immergiamo le nostre menti. Immaginare un giovane Steve Jobs che fa cadere un po’ di “acido” sulle sue Birkenstock ci riporta a un’era tecnologica passata e oggi idealizzata. Ma è un’era che lui stesso ha aiutato a fare finire”.
È davvero tutto per questa settimana, alla prossima.
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 62 - 20 novembre 2022.
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