#Mediastorm 59 – Quotidiani e lettori in Italia
Qual è la metrica giusta per capire se un giornale “funziona”? Qualche riflessione e dato su readership quotidiani italiani.
Qual è il dato più importante o la metrica giusta per capire se un giornale “funziona”? Una volta era tutto abbastanza semplice, il giornale di carta era l’unico prodotto di un’impresa editoriale legata alle notizie e, di conseguenza, il numero complessivo dei suoi lettori — ancor più delle copie vendute in un sistema che si reggeva principalmente sui ricavi pubblicitari — diceva, se non tutto, quasi tutto di quanto quel giornale, appunto, “funzionasse” economicamente e non.
Oggi è tutto decisamente molto complicato, il giornale è molte più “cose” che non la sua versione di carta e, in generale, la difficoltà nell’individuare le metriche giuste per capire l’ecosistema dei media è diventata una questione fondamentale (ne ho scritto spesso in questa newsletter e anche per Link che ne ha fatto anche uno speciale con molti ottimi interventi).
Ad esempio: le concessionarie dei giornali hanno tenuto a sottolineare per decenni (e in molte realtà anche adesso) ai potenziali clienti, facendosene un vanto, il numero di lettori generato da una singola copia venduta. Tutto abbastanza logico se si pensa che il sistema si reggeva (si regge in alcuni casi anche adesso) per una quota tra il 60 e l’80% sui ricavi pubblicitari: mettere in evidenza la readership significava dire: “ehi investite su di noi, pensate la vostra pubblicità verrà vista mediamente da almeno cinque persone per ogni copia venduta!”.
Che poi quella frase, letta nell’altro verso, volesse anche dire che di quel giornale solo il 20% delle persone che lo leggeva lo aveva pagato era, tutto sommato in quello scenario, un dettaglio. Ma in un contesto rivoluzionato dal digitale con la pubblicità, per i giornali, in caduta libera da anni e la subscription economy (convertire i lettori occasionali in abbonati fedeli) come strategia principale per cercare di risollevarsi, quello non è certo più un dettaglio, e continuare a ragionare in quel modo può essere deleterio.
Così per quanto riguarda le metriche giuste da seguire, anche all’interno di una stessa organizzazione editoriale, è facile trovarsi di fronte ad approcci molto diversi, addirittura in contrasto uno con l’altro.
Gli analisti dei dati, oggi figure chiave in molte redazioni, preposti a far crescere gli abbonamenti guarderanno principalmente le “metriche di qualità” relative alle subscription (ad esempio: nuovi abbonati digitali, tassi di fedeltà o di abbandono, quanto un singolo articolo o una tematica ha generato nuovi abbonati), la parte marketing quelle “quantitative” (numero lettori nel giorno medio, impression, clic) e i giornalisti faranno attenzione alle cosiddette vanity metrics (pubblicazione nella prima pagina o nella home page dei loro articoli, citazioni nelle rassegne stampa o numero delle condivisioni sui social).
Ognuno di questi settori, insomma, tenderà a dare importanza a quello che ha sempre fatto, molti di loro (marketing e redazione) prendendo come riferimento una “cultura” analogica passata pressoché identica anche nel mondo digitale. Risolvere un inevitabile scontro “culturale”, è assolutamente necessario in una fase di passaggio da un sistema con al centro la carta e la pubblicità a uno con al centro il web e gli abbonamenti.
C’è un secondo aspetto: chi legge il mondo dei media, per professione o come semplice cittadino, tende a dare importanza (quasi) esclusivamente alle metriche quantitative: ad esempio se un giornale acquista o perde complessivamente lettori.
Non necessariamente questi elementi — per quanto importanti possano essere — decretano il fallimento o il successo di un editore, che magari sta riparametrando il proprio modello di business su altre metriche di “qualità” e non solo di “quantità” (che poi lo faccia efficacemente o meno è ancora un altro paio di maniche).
Mi riprometto di approfondire questo tema in prossime puntate di questa newsletter, intanto trovo utile analizzare velocemente qualche dato sulle readership di alcune testate quotidiane italiane, giusto per mettere qualche altro dato sul quale riflettere.
Benvenuta, benvenuto, sono Lelio Simi e questo è il cinquantanovesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
Se dopo averla letta hai suggerimenti, domande o segnalazioni da farmi puoi scrivermi a questa email leliosimi@substack.com, altrimenti se quello che ho scritto ti suggerisce delle riflessioni puoi usare direttamente la sezione commenti, sarò felice di risponderti. Se invece vuoi consultare le altre puntate pubblicate puoi farlo da qui ► Archivio #Mediastorm.
Lettori paganti e non (nei quotidiani italiani)
Se guardiamo la readership dei quotidiani italiani un dato interessante è sicuramente quello relativo alla provenienza delle copie lette. Ovvero se comprate direttamente dal lettore (o da un suo familiare) o se, invece, la copia è stata trovata (ad esempio in un bar) o ricevuta gratuitamente (ad esempio in promozione).
Per quanto riguarda i dati in generale (il complesso dei quotidiani italiani) ho fatto un grafico la scorsa settimana, oggi vediamo le singole testate.
Audipress specifica ancora meglio i dati relativi alla provenienza delle copie indicando in dettaglio, per singole testate, anche se la copia è stata acquistata direttamente, per abbonamento, da un familiare, oppure al contrario, trovata (su luogo di lavoro a altro luogo) o avuta da altri.
Ho fatto un grafico relativo ai primi quattro quotidiani nazionali (esclusi quelli sportivi) ovvero Corsera, Repubblica la Stampa e il Sole 24 ore (i dati sono riferiti al primo report del 2022 di Audipress).
Il Corriere della Sera ha il numero di lettori (la readership) nel giorno medio maggiore 1,7 milioni; nel confronto con Repubblica (1,48 milioni) il distacco è di 225mila lettori medi. È interessante però notare che i lettori che hanno acquistato direttamente la copia sono, per entrambe le testate, 692mila con un peso sulla readership totale del 40% (Corsera) e del 46% (Repubblica). Per La Stampa questo valore è al 41% mentre per Il Sole scende al 36%.
Una cosa importante: ovviamente non è da confondere la voce “comprata direttamente” riferito ai lettori nel giorno medio di Audipress con le copie medie vendute certificate ADS. Per Audipress questa è la definizione di lettori giorno medio: “Quanti leggono o sfogliano il quotidiano X (non importa quale numero), almeno una volta in media (nel corso di una settimana), in un giorno”.
Quindi due grandezze molto diverse ma i dati di Audipress ci danno delle indicazioni sulle abitudini di lettura e il coinvolgimento dei lettori e, alla fine, sulla (potenziale) probabilità di convertirli in lettori o abbonati fedeli.
[Se volete confrontarli con i dati sulle copie vendute da queste quattro, e altre, testate che ho elaborato per i primi sei mesi del 2022 → potete trovarli qui].
Per avere un’idea del quadro generale ho messo in un unico grafico le 38 testate nazionali e locali monitorate da Audipress ponendo sull’asse delle y il numero dei lettori relativi alle voci “acquistata direttamente”, “abbonamento personale”, “abbonamento aziendale intestato a me”, “comprata da/abbonamento intestato a altri membro della famiglia” e sull’asse delle x tutte le voci relative ai lettori che non hanno acquistato la copia (né loro né un familiare).
Ho poi tracciato una linea che definisce il rapporto 1 a 1 tra copie pagate e non, per dare un’idea di quanto la readership sia più o meno composta da lettori che ha acquistato o meno la copia ricevuta.
Come è facile notare le principali testate nazionali si distaccano dalle altre tutte circoscritte in quel piccolo quadrante che ho ingrandito per facilitarne la lettura qui sotto.
[La versione interattiva di questi grafici → la trovate qui]
Il senso del digitale per Repubblica
A proposito di modelli di business in trasformazione: non c’è editore, piccolo o grande, che non dichiari di puntare su razionalizzazione e digitale. Repubblica non fa certo eccezione, nella storia di copertina di Prima Comunicazione si legge che la nuova riorganizzazione voluta dalla direzione punta su “digital first” che “rimane la base organizzativa e produttiva della redazione”.
Al di là di queste dichiarazioni di intento, mi ha colpito in modo particolare questo passaggio nel documento votato dall'assemblea dei giornalisti di Repubblica che sembra riportare il tutto alla dura realtà dello stato delle cose quando si parla di innovazione nelle redazioni italiane (o almeno nella maggior parte di queste):
L’edizione digitale, pur focus del rinnovamento, non gode di investimenti concreti. Persino la strumentazione tecnica è incompatibile con le esigenze di un giornale che sostiene di scommettere sull’innovazione. A tal scopo, chiediamo un dettagliato programma d’investimenti che riguarda i miglioramenti tecnologici. E quale sia il piano di sostegno alla nostra offerta su carta sia in termini di politiche di prezzo che di investimento.
📖 #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋Prima di salutarci…
Quel genio di Paul Noth per il New Yorker
È davvero tutto per questa settimana, alla prossima.
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 59 - 30 ottobre 2022.
→ Per collaborazioni e contatti professionali qui mio profilo LinkedIn (oppure scrivetemi all’email leliosimi@gmail.com).
→ Se sei interessato a seguirmi qui il mio account Twitter, e quello Instagram qui invece il mio portfolio (aggiornato sempre in grande ritardo).
→ Se hai appunti, suggerimenti o correzioni da suggerirmi puoi scrivermi qui: leliosimi@substack.com.
[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].