#Mediastorm 92 – Fare concorrenza a Netflix è stato uno sbaglio?
E insistere a farla per Disney e co. un errore, forse, peggiore. Ma è possibile ripensare completamente questa strategia?
Ad inizio di questo mese il management della Disney, capitanato dal suo storico CEO Bob Iger, ha mantenuto il totale controllo della società respingendo il tentativo di ingresso nel consiglio di amministrazione dell’investitore attivista Nelson Peltz critico su tutta la linea nei confronti dell’attuale gestione.
Peltz, che possiede azioni Disney per 3,5 miliardi di dollari, è convinto che serva un radicale cambio di strategia per rilanciare l’azienda, per questo ha intrapreso una durissima battaglia da ormai parecchi mesi per la conquista di due posti nella centrale di comando della Disney (in caso di vittoria avrebbe portato con sé Jay Rasulo ex direttore finanziario della Disney). Peltz era riuscito ad avere importanti sostenitori nella sua campagna, la decisione dell’assemblea degli azionisti per questo non era del tutto scontata a favore di Iger.
Una battaglia che, al di là del suo epilogo, ci dice molto sui mille dubbi che oggi alimentano gli investitori dei giganti dell’industria cinematografica e televisiva di fronte a scelte strategiche che non tolgono Disney, e gli altri incumbent, dall’impasse di fronte agli stravolgimenti del mercato nonostante, ormai, siano passati diciassette anni dallo sbarco di Netflix nello streaming (eh sì, era il 2007) e undici da quando il gigante dello streaming ha cominciato a produrre contenuti originali (House of Cards e Orange is the New Black sono infatti del 2013).
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il novantaduesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando/trasformerà l’economia delle industrie dei media e il nostro rapporto con i loro “prodotti”. Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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🟠 Se l’unica strategia è “insistere”
Trian Partners, il fondo d’investimento guidato da Peltz per sostenere la campagna elettorale del suo fondatore e convincere l’assemblea degli investitori che una svolta era davvero necessaria nella più importante azienda dell’industria dell’intrattenimento, ha prodotto un lungo report: titolo quanto mai suggestivo “Restor the magic” e ben 133 pagine (nelle quali il nome di Netflix ricorre per ben 47 volte) piene di grafici e numeri; più che tracciare soluzioni concrete il report sciorina dati e analisi, spesso del tutto condivisibili, sullo stato dell’arte e, alla fine, si limita a una serie di dichiarazioni di buoni propositi.
In merito a un punto fondamentale – accelerare la redditiva dei media di proprietà della Disney – la soluzione indicata è: “Insistere sul fatto che il management sviluppi una chiara strategia DTC [cioè lo streaming] con obiettivi tangibili che permettano di raggiungere margini simili a quelli di Netflix del 15-20% entro il 2027”.
Come ha fatto notare il Los Angeles Times (che ovviamente segue la vicenda da vicino): “insistere” è diventata, ormai, la parola chiave.
Ovvero: prendiamo atto che su uno snodo fondamentale per il futuro di Disney come lo streaming, anche i più accaniti detrattori delle strategie messe in atto dall’attuale gruppo dirigente, non sanno trovare niente di meglio che, appunto, “insistere” e incrociare le dita con la speranza che le cose magicamente (Restor the magic, appunto) si mettano per il meglio trasformando una voce costantemente in perdita in un’attività capace di produrre reddito.
Una questione fondamentale oggi è: quanto ancora l’appuntamento con la redditività dello streaming può essere rimandato per la Disney e gli altri giganti dell’intrattenimento?
Iger per la Disney lo ha fissato per la fine del 2024, mentre alla Paramount l’obiettivo dichiarato è di raggiungerlo entro il prossimo anno. Ma è facile immaginare che malumori e profondi ripensamenti torneranno a manifestarsi dentro queste aziende se questi obiettivi, dopo continui rinvii, non saranno finalmente centrati nei tempi dichiarati. Insomma siamo all’ultima chiamata.
Nel frattempo Netflix ha aggiunto oltre 9 milioni di abbonati nel primo trimestre del 2024, la migliore performance dal 2020. La società ha superato le aspettative di Wall Street per quasi tutti i parametri finanziari rilevanti, segnalando incrementi a due cifre nelle vendite, nei profitti e nel margine operativo. E una previsione sull’intero 2024 di un flusso di cassa positivo per 6 miliardi di dollari.
🟠 La questione di fondo (in quattro punti)
È davvero la cosa più logica, per i concorrenti di Netflix, continuare a “insistere” sperando di trovare la soluzione per rendere lo streaming economicamente sostenibile, oppure è un’opzione da mettere sul tavolo quella di arrendersi all’evidenza e guardare a Netflix più come a una “risorsa” che come un nemico?
Provo a fare qualche considerazione generale:
Siamo in una nuova fase della competizione di mercato, dove quella della tecnologica non è più la “questione” da mettere sul tavolo, i valori a livello di tecnologie si sono ormai livellati, nel senso che le principali media company tradizionali (Disney, Paramount, Warner-Discovery-HBO) hanno messo in piedi, in pochi anni, piattaforme streaming efficienti per quanto riguarda l’esperienza utente; ormai non è più questo elemento a fare la reale differenza tra loro e Netflix.
La partita si gioca semmai sulla la capacità di rendere le piattaforme streaming efficienti economicamente con rapporto costi/ricavi in grado di generare reddito (come riesce a fare Netflix). Già ma come?
Il problema è che riuscirci resta un rebus per tutte le major. Continuare a trasferire risorse sullo streaming prelevandole dai budget destinati ad altre attività come cinema e televisione vuol dire accelerare il declino di queste (e di conseguenza avere ancora meno risorse da trasferire nello streaming). Per quanto tempo questa strategia è sostenibile economicamente?
E se le media company tradizionali si limitassero a utilizzare al meglio il loro asset più prezioso? Ovvero continuare a valorizzare il loro immenso patrimonio in proprietà intellettuale, che può essere utilizzato in modo proficuo in vari ambiti (parchi a tema, merchandising, serialità etc.).
Un patrimonio che ha superato la prova del tempo, “stratificato” su più generazioni di spettatori, di rilevanza globale. Un cosa che per chi è entrato in questo mercato da poco, come Netflix, fatica enormemente a costruire da zero.
I ricavi da cessione di contenuti in licenza da parte delle media company sono cresciuti di circa 130 milioni di dollari, ovvero del 18%, nel 2023. Questo propone una questione fondamentale oggi nel mercato dello streaming video per molte di loro: smettere del tutto di competere nello streaming (con Netflix) e vendere semplicemente programmi come fa Sony? Gli studios della Sony sono cresciuti di circa il 50% negli ultimi dieci anni, e i suoi profitti sono in aumento, ha fatto notare nella sua newsletter Screentime Lucas Shaw di Bloomberg.
🟠 Contenuto vs. distribuzione
Nella puntata di questa newsletter dedicata all’inizio della fine delle guerre dello streaming ho fatto riferimento al clamoroso successo della serie Suits (di proprietà della NBCUniversal) una volta sbarcata su Netflix, diventato lo scorso anno lo show più visto negli Stati Uniti, a cinque anni dalla messa in onda della sua ultima puntata.
Il fatto che una “vecchia” serie che durante il suo normale periodo di programmazione aveva ottenuto un discreto (ma non straordinario) successo, dopo anni venga rilanciata con numeri del tutto fuori scala per merito di Netflix, ci dice che ci sono rapporti di forza ancora ben definiti tra le piattaforme streaming.
Come a suo tempo ha fatto notare Midia Research
La recente popolarità di Suits ha dimostrato inoltre che, sebbene il contenuto possa essere fondamentale, la distribuzione è ancora più fondamentale affinché la proprietà intellettuale raggiunga il suo vero potenziale. Il suo successo nello streaming statunitense è prevalentemente il risultato dell'esposizione ai 75 milioni di abbonati nordamericani di Netflix, un’audience oggi superiore dell'intera base di abbonati della pay-TV negli Stati Uniti.
Ho scritto che la tecnologia non è più “IL” fattore dominante per le persone al momento di scegliere quale piattaforma abbonarsi; gioca però un ruolo fondamentale in questa partita il mix tra qualità della tecnologia (algoritmi di raccomandazione, esperienza utente), qualità del catalogo nel quale un singolo titolo viene inserito, dimensione della base abbonati e –fattore determinante— l’abitudine consolidata nel tempo degli utenti, soprattutto nel mercato americano, ad avere di base Netflix nel proprio pacchetto (la scelta sta semmai nel decidere, di volta in volta, quante e quali offerte di altre piattaforme aggiungere a Netflix).
🟠 A questo punto, su cosa rischiare?
Al punto finale delle guerre dello streaming la strada migliore per tutti potrebbe essere quella di ammettere, pragmaticamente, il ruolo dominante di Netflix nella catena di valore come piattaforma di distribuzione: a lui l’onere di distribuire i contenuti attraverso una piattaforma che funziona agli altri di utilizzare al meglio gli asset (principalmente le loro proprietà intellettuali) che rappresentano ancora un vantaggio competitivo con Netflix.
Come hanno scritto nel loro suo blog gli analisti della società Midia Research:
Finora Netflix ha ignorato l’opportunità commerciale di distribuire canali rivali attraverso il suo servizio, lasciando il compito a titoli del calibro di Apple TV+ e Prime Video di Amazon. Tuttavia, come dimostra Suits, Netflix ha la capacità di potenziare il coinvolgimento delle proprietà intellettuali rivali attraverso l’accesso al suo vasto pubblico.
Un servizio di canali Netflix offrirebbe agli streamer rivali l’accesso diretto a quel pubblico, con l’opportunità di convertire alcuni di quei milioni in abbonati propri. Ci sarebbero aspetti positivi anche per Netflix. Incorporare canali rivali nell’ecosistema Netflix potrebbe aumentare la fidelizzazione impedendo agli utenti di uscire dall’app per guardare uno spettacolo su una piattaforma rivale.
Potrebbe oggettivamente essere una scelta vantaggiosa per tutti anche se, altrettanto oggettivamente, presenta dei rischi se non si dovesse trovare un giusto equilibrio tra i vantaggi e gli svantaggi di questa soluzione tra tutte le parti in causa.
Ma d’altronde per Disney e co. un bel rischio è anche continuare a “insistere” nel cercare di rendere profittevoli, nel breve periodo, le proprie piattaforme streaming, tagliando i costi dai budget di produzione dei contenuti; come ha fatto notare l’Economist: “oltre la metà dei 7,5 miliardi di dollari di costi che Iger si è impegnato a tagliare proverranno dal budget per i contenuti. Ciò difficilmente aiuterà l'azienda a crescere e potrebbe minare anche l’altra grande promessa di Iger: ripristinare la magia creativa della Disney”.
Su questo tema su #Mediastorm puoi leggere anche:
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
È davvero tutto per questo numero, grazie per aver letto fino a qui.
Alla prossima puntata.
Lelio.
A leggere questi grafici sembrano esserci pochi dubbi sulla strada da intraprendere, ma temo il problema sia rimangiarsi un piano portato avanti per anni. Un problema non solo di costi-benefici, ma anche di leadership, come hai sottolineato in apertura (che.mi ha ricordato un clima tipo quello della serie Succession).