#Mediastorm 81 – Ecosistemi
Apple vale 3.000 miliardi, non per merito di Vision Pro ma grazie alla forza del suo ecosistema in continua espansione. Con quali conseguenze per gli altri media?
Apple ha raggiunto un valore di 3.000 miliardi di dollari a fine giugno (che ha mantenuto fino al momento in cui invio questa newsletter). La cosa sembra nemmeno fare più di tanto notizia, dopo che nel 2018 la capitalizzazione di Apple aveva superato i 1.000 miliardi e, soltanto due anni dopo i 2.000 miliardi (ma con un balzo di 1.000 miliardi compiuto in soli sei mesi). Vero che quota 3.000 era già stata raggiunta per brevissimo tempo nel 2022, ma una crescita a questi ritmi, sembra davvero “fuori scala”.
Va detto subito che il nuovo “fantastico” gadget presentato ad inizio giugno, Vision Pro, sembra avere a che fare davvero ben poco con questa nuova pietra miliare, nonostante sia stata raggiunta soltanto tre settimane dopo la sua presentazione. La stessa Apple è molto cauta sul reale impatto del super-visore sui conti economici sul quale, tra l’altro, sono già previsti pesanti tagli alle prime previsioni di produzione.
No, la ragione vera sul fatto che gli investitori puntano sulla crescita continua di Apple, come ha fatto notare Mark Gurman di Bloomberg nella newsletter Tech daily, va trovata altrove e, in fondo, ce l’abbiamo tutti sotto gli occhi:
“La valutazione di 3.000 miliardi è legata all’ecosistema in continua espansione di Apple. Il sogno del suo CEO, Tim Cook, è che i consumatori trascorrano le loro giornate tra iPhone, e iPad, tra Mac e Apple Watch e, un giorno, Vision Pro, per poi attraverso tutti questi dispositivi abbonarsi a servizi come iCloud e Apple Music. Di sera, possono rilassarsi sul divano, guardare in streaming Apple TV+ e noleggiare film su iTunes tramite un box Apple TV”.
E magari, molte di queste transazioni posso essere direttamente fatte grazie ai servizi finanziari che Apple sta sempre più rafforzando (perché sì, oggi Apple è anche un gigante del settore fintech).
Quella di Bloomberg è una notazione interessante perché molto si dibatte (e molto ci si preoccupa) a proposito dei “giardini recintati” online, della dittatura delle piattaforme che hanno come principale obiettivo trattenerci il più possibile al loro interno; ma bisogna sempre considerare che queste singole piattaforme — da Netflix a Spotify, da Facebook a TikTok — non potrebbero esistere se non “contenute” a loro volta nei nostri telefonini, tablet, TV connesse, e aggeggi vari.
È una considerazione estremamente ovvia, lo so, ma le cose estremamente ovvie spesso sono un buon punto di partenza per fare alcune considerazioni generali. Ad esempio: quante aziende hanno un ecosistema così completo e integrato che abilita anche “tutto il resto” come quello costruito da Apple e che potere ne deriva?
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è l’ottantunesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando/trasformerà l’economia delle industrie dei media e il nostro rapporto con i loro “prodotti”. Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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Quando tutto è cominciato
Due decenni fa Apple ha costruito il suo primo ecosistema mediatico — iPod (device fisico)-iTunes (archivio e gestione file)-iTunes Store (negozio online) — sul quale ha basato la sua incredibile crescita economica trasformandosi come azienda, con un impatto enorme prima sull’industria della musica e, poi, su tutti gli altri media. Ne avevo già scritto in una precedente puntata di questa newsletter:
Proprio il lavoro svolto dal gruppo di sviluppo dell'iPod e di quel primo ecosistema è stato alla base, poi, per realizzare l'iPhone: il device che, davvero, ha cambiato tutto.
È molto probabile che se l’iPhone fosse stato presentato e messo sul mercato come un efficientissimo computer multimediale tascabile (cosa che effettivamente era, ed è tutt’oggi), invece che come un nuovo “favoloso” telefonino estremamente potenziato e con nuove “meravigliose” funzioni, il suo destino commerciale sarebbe stato molto diverso (o comunque la sua diffusione sarebbe stata molto più lenta).
E qui veniamo a un primo punto. Apple, in particolare dall’iPod in poi, è molto brava a spingere le persone a fare sempre un passo avanti partendo, però, da qualcosa che già conoscono, guardandosi bene da prospettare loro di compiere un salto nel buio, verso qualcosa che non conoscono o che la maggior parte reputa difficile da gestire (perché roba da smanettoni).
Insomma una scommessa calcolata. Una differenza netta con Meta/Facebook che oggi, invece, chiede alle persone di seguirlo (grazie anche al suo visore che si troverà a competere con quello di Apple) verso qualcosa di completamente nuovo, il metaverso, senza saper nemmeno spiegare bene cosa concretamente davvero sia.
Ci si aspetta da anni che Apple lanci il “nuovo” iPhone, inteso come un nuovo device che rinnovi quell'enorme successo commerciale e che ne diventi il nuovo pilastro economico.
Una delle grandi domande poste dagli addetti ai lavori e se l'iPhone che ormai ha quindici anni di vita, effettivamente un'enormità nel ciclo di vita commerciale di un prodotto nell'era di internet, possa ancora per molto essere il pilastro economico sul quale poggiare il futuro dell’azienda.
Servizi ad alta redditività,
In realtà Apple in questi anni è molto cambiata: il peso dell’iPhone sul totale dei ricavi dell’azienda dal 61% del 2017 è sceso al 55% del 2022 (nel primo trimestre del 2023 è al 54%). Nello stesso periodo il peso dei servizi (App Store, Apple Music, Apple TV+, iCloud, iMessage e moltissimi altri) è aumentato dal 14% al 20% (22% nel primo trimestre 2023). Il tutto con i ricavi totali che, sempre tra 2017 e 2022, sono passati dai 229 ai 394 miliardi di dollari (+72%).
Ma ancora più interessante da notare: la redditività di Apple nei cinque anni presi a riferimento, è cresciuta soprattutto grazie ai servizi che hanno visto crescere il loro margine lordo (il rapporto tra costi e ricavi, un indice sulla efficienza dell’azienda espresso in percentuale) dal 55% al 71%.
Scommettere sull’ecosistema più che sui singoli prodotti
Apple ha costruito un ecosistema in continua espansione nel quale decine e decine di servizi (per la maggior parte in abbonamento) ad altissima redditività ne rappresentano il collante con il quale aggrega e coinvolge sempre più la sua comunità di clienti.
È possibile che la redditività della rete dei servizi non sempre riuscirà a mantenersi su questi livelli (sul documento di bilancio di fine 2022 la stessa Apple scrive che: “i margini lordi saranno soggetti a volatilità e pressioni al ribasso”), ma la scommessa resta comunque più sull’ecosistema che non sui singoli prodotti.
Sebbene ad ogni presentazione ci si aspetti il nuovo game changer, in realtà ad Apple in questi anni sono bastati dei “quasi” successi — ma perfettamente capaci di integrarsi con gli altri prodotti e servizi della casa — per fare in modo che, comunque, ad esempio, i fatturati dell’Apple Watch superino quella di tutta l’orologeria svizzera messa assieme e le AirPod quelli di tech company come Spotify, Shopify e Snapchat (due prodotti gli orologi e gli auricolari che nei bilanci di Apple non si sono meritati ancora una voce tutta loro ma, genericamente, indicati dentro la voce “Wearables, Home and Accessories”).
Apple infine ha dimostrato che il “potere” del suo ecosistema va oltre i suoi confini con le decisioni prese sul blocco dei dati su terze parti ha sconvolto un intero settore, quello della pubblicità, con dei giganti come Meta/Facebbok che hanno dovuto, loro malgrado, assoggettarsi alle decisioni prese a Cupertino.
📊 Chart, chart, chart!
Si sta parlando molto del recentissimo lancio di Threads il concorrente di Twitter, ma come ricorda Axios, Meta/Facebook ha una lunga storia nel lancio di app e funzionalità che imitano le offerte dei suoi rivali, chiuse poi dopo pochi mesi (la maggior parte prima di due anni). Meta ha provato di tutto, dalle app di appuntamenti al fitness alle news. Mentre alcuni dei prodotti che hanno fallito hanno fatto subire solo piccole perdite altre hanno richiesto investimenti molto pesanti.
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👓 Letture
TikTok vuole conquistare (o distruggere?) l’editoria. ByteDance, la società madre di TikTok, ha annunciato l'apertura di una sua casa editrice: cosa succederà ora che un social così popolare, influente e potente ha deciso di mettersi a fare libri? Qualche considerazione di Rivista Studio.
Come stanno andando i fumetti su Substack? Con la crescente popolarità delle newsletter in abbonamento anche per i fumettisti si è aperta una nuova opportunità per monetizzare il loro lavoro, in particolare da quando Substack è diventata per loro una sorta di casa editrice, sovvenzionando un gruppo di autori di come Tom King, Jeff Lemire, Grant Morrison, Brian K. Vaughan. Ma davvero i fumetti possono funzionare sulle newsletter? Un primo bilancio di Andrea Fiamma su Fumettologica.
In difesa di YouTube. Demonizzarla a partire da un fatto di cronaca è senza senso: la piattaforma è nata e si è sviluppata con contenuti molto diversi. La promessa di fortuna e fama, dei quindici minuti di celebrità, è arrivata prima di tutto dalla televisione, da particolari tipi di programmi. Eppure nessuno ha mai proposto di “demonetizzare” interi canali. Nessuno ha mai proposto di chiudere la Rai o Mediaset per i messaggi sbagliati che offrivano. Un’arringa appassionata di Gianmaria Tammaro su Indiscreto.
Verità e bugie sul mercato cinematografico. I cinecomic sono in crisi, sia quelli DC che quelli Marvel? L’animazione Disney ottiene brutti risultati? Gli incassi della Sirenetta sono veramente deludenti? O in generale è colpa della pandemia e dei cambiamenti avvenuti? Le risposte a queste domande potrebbero non essere così scontate secondo Robert Bernocchi su Cineguru.
Chi ha ucciso Google Reader? Lo strumento di lettura dei feed di Google offriva un modo potente per curare e leggere Internet ed era amato dai suoi utenti. Lanciato nel 2005, proprio quando l'era dei blog è diventata mainstream; ha fatto sembrare piccola e accessibile una rete improvvisamente enorme e tentacolare. Ma poi Google ha deciso di chiuderlo. Un’analisi di David Pierce su The Verge.
👋 Prima di salutarci…
Architettura del codice a barre dell’albicocca, immaginate che un libro con questo titolo possa esistere? Acquistereste un romanzo dal titolo “Aspetta tu mi ami” con in copertina un gabbiano che ti guarda fisso negli occhi?
Eppure sono due titoli apparsi nella classifica dei primi 100 titoli (in inglese) più venduti nella categoria “giovani adulti” di Kindle Unlimited di Amazon ad inizio dell’ultima settimana di giugno, ed erano in buona compagnia con altre decine di titoli del tipo: Department of Vinh Du Stands in Front of His Parents’ Tombstone (Il dipartimento di Vinh Du si trova di fronte alla lapide dei suoi genitori), The God Tu mutters (Il dio Tu borbotta), Ma La Er snorted scornfully (Ma La Er sbuffò con disprezzo).
In realtà il tutto è stato generato utilizzando intelligenza artificiale. Amazon sembra aver preso provvedimenti, ad oggi, questi titoli sono rimossi dalla piattaforma. L’episodio però mostra — come ha fatto notare la rivista Motherboard — che c’è chi sta utilizzando programmi di intelligenza artificiale per inviare alla piattaforma spam e, soprattutto, sembra aver trovato un modo per monetizzare il tutto.
È davvero tutto per questo numero, grazie per aver letto fino a qui, alla prossima puntata.