#Mediastorm 48 – L'economia della scoperta
Grazie a straordinaria capacità di monetizzare il nostro desiderio di scoprire cose nuove alcune tech company hanno conquistato l'industria dei media. È ancora questo che determina il loro successo?
Chi ha il miglior modello di business tra Spotify e Netflix? Qualche settimana fa Ben Thompson — uno degli analisti più letti e apprezzati su temi legati alle industrie dei media e della tecnologia — nella sua newsletter Stratechery ha ammesso di essersi sbagliato su un punto fondamentale nel giudicare le due aziende tecnologiche.
“Quando Spotify ha presentato domanda per la sua quotazione in Borsa nel 2018, era popolare confrontare il servizio di musica in streaming con Netflix; dopotutto, entrambe le aziende stavano rapidamente sviluppando servizi basati su abbonamento che offrivano ai consumatori media on demand. Questo confronto era inteso come rialzista per Spotify, dato che le azioni di Netflix erano aumentate del 1.113% nei cinque anni precedenti”.
Sì, ma:
“Il problema di questo confronto è che Spotify chiaramente era una tipologia di attività diversa da Netflix; perché mentre Netflix ha sempre acquisito contenuti su base all'ingrosso, prima attraverso accordi di licenza con i proprietari di contenuti e successivamente creando i propri contenuti, Spotify ha concesso in licenza i contenuti sulla base di una quota di compartecipazione alle entrate”.
Proprio per quest’ultimo punto Ben Thompson, allora, giudicava senza molti dubbi migliore Netflix, mentre ne sollevava sulla tenuta nel medio-lungo periodo di Spotify.
Oggi però, come accennavo, Thomson addirittura ribalta la sua affermazione e dice di vedere molto meglio Spotify; in un momento, tra l’altro, nel quale non pochi sollevano dei dubbi sullo streamer audio (tra questi, molto modestamente anche io, ne ho anche scritto in questa newsletter).
Thompson spiega le sue nuove posizioni con un’analisi molto ampia nel quale corregge, in parte, anche la sua definizione di aggregatori di contenuti (non a caso il pezzo si intitola Spotify, Netflix, and Aggregation).
Trovo molto interessante notare però che uno dei punti fondamentali, anzi probabilmente quello che fra di tutti pesa di più nel cambio di prospettiva per Thompson, è il “fattore scoperta”, la capacità di Spotify di far scoprire cose nuove alle persone.
O meglio: la sua capacità di continuare ancora oggi a farlo mentre per Netflix questo potrebbe diventare meno ovvio.
In sostanza: nel mercato dello streaming video stiamo assistendo a un frazionamento sempre più evidente in singole “particelle” (da Netflix a Disney+, da Amazon Prime Video a Apple TV+ e, almeno, un’altra decina di piattaforme) tutte, tendenzialmente, con un catalogo con sempre meno sovrapposizioni di titoli con gli altri concorrenti e sempre più produzioni originali in esclusiva; il desiderio di scoperta delle persone, inevitabilmente, viene limitato. Anzi peggio: mortificato.
Perché per seguire una nuova serie o film o rivedere (riscoprire) una vecchia produzione si è costretti a sottoscrivere due, tre o quattro abbonamenti (se va bene).
Lo stesso però non è successo nella musica: i cataloghi sono saldamente in mano alle major che — dopo il grande spavento causato da Napster ad inizio anni Duemila — si sono affidate ad Apple mantenendo il controllo dei loro asset musicali visto che ad Apple interessava soprattutto vendere gadget elettronici (prima iPod e poi iPhone) e sviluppare il suo store online.
In questo modo le piattaforme di audio on demand hanno tutte, sostanzialmente, lo stesso catalogo. La differenza non la fa l’offerta ma la capacità guidare gli abbonati nel loro percorso di scoperta (la loro esperienza di scoperta, per usare un termine, “esperienza”, fin tropo abusato).
Come ha affermato all’incontro con gli investitori nel giugno scorso il responsabile a Spotify del prodotto musicale Charlie Hellman:
È importante ricordare che prima di tutto Spotify è un'azienda musicale. Tutte le strategie del nostro team musicale raggiungono due obiettivi primari: creare un'esperienza musicale unica e superiore per i fan e creare un ecosistema più aperto e prezioso per gli artisti. […] Qualunque sia il tuo umore, il tuo stile, qualunque sia l'occasione, Spotify ha qualcosa per te. Inoltre, un terzo di tutte le scoperte di nuovi artisti avviene su playlist algoritmiche personalizzate. Gli ascoltatori adorano questa esposizione alla nuova musica, così come il tocco personalizzato. La scoperta è il nostro pane quotidiano.
A questo punto Thompson fa notare che:
Questa è la caratteristica numero uno di un Aggregatore: in un mondo di scarsità la distribuzione era la cosa più preziosa; in un mondo di abbondanza è la scoperta ciò che ha più valore.
È perfino sorprendente che un concetto simile, oggi, debba essere ribadito: le strategie di raccomandazione sono state alla base della conquista delle industrie dei media da parte di alcune aziende tecnologiche a cominciare proprio da Netflix.
Più in generale: come ho scritto spesso anche in questa newsletter:
la semplicità è un’ottima cosa ma un suo eccesso spesso ha un effetto contrario, genera “attrito” quindi complessità per gli utenti (cioè noi).
Così oggi nel video on demand si passa alle offerte di abbonamenti a basso costo sostenute da pubblicità, in questo modo le persone potranno più serenamente sottoscrivere tre o quattro abbonamenti è ricostruire, di fatto, una sorta di pacchetti unendo più cataloghi (facendo però, verosimilmente, perdere efficacia ai singoli algoritmi di raccomandazione delle singole piattaforme, ognuno impegnato, per come si sta strutturando il mercato dei video on demand, a operare esclusivamente nel perimetro di sua competenza).
Tra le righe, c’è una cosa da notare, per certi versi, sorprendente nell’intervento che ho citato del responsabile del prodotto musicale a Spotify quel: “È importante ricordare che prima di tutto Spotify è un'azienda musicale”.
Sorprendente perché ormai qualche anno fa Daniel Ek, il fondatore e CEO di Spotify, aveva tenuto molto a sottolineare che la sua azienda non era più da considerarsi semplicemente come operante nel settore musicale ma, più in generale, in quello audio.
Ovviamente tutto questo perché a Ek e soci interessava, molto, crescere nel settore podcast privo dei pesanti vincoli imposti dalle case discografiche.
C’è un cambio di strategia? Molti dei problemi per Spotify nascono dall’attrito tra le due “anime” dell’azienda: quella musicale e quella dei podcast con margini di guadagno potenzialmente ottimi nel futuro ma, ad oggi, ancora pessimi (come ho scritto poco tempo fa).
Come nota anche Thompson:
“Il potenziale guadagno in termini di condivisione di podcast è ovvio; essere un aggregatore significa essere il più grande attore in uno spazio particolare e, a detta di tutti, la strategia di Spotify ha fornito esattamente questo. Ci sono, tuttavia, dei rischi nell'approccio: i creatori di contenuti esclusivi rischiano di diventare sempre più costosi nel tempo mentre cercano di cogliere la loro parte del valore che creano. […] E questo è un male per gli aggregatori (da notare, il più grande concorrente a lungo termine [nei podcast] di Spotify non è Apple ma YouTube, un formidabile aggregatore a sé stante”.
Non è questo un limite da poco, per Spotify. Resto dell’idea che Netflix con tutti i suoi attuali limiti possa costruire, rispetto a Spotify, un modello di business più stabile se corretto in corsa (come Reed Hastings e soci hanno già fatto in passato).
Detto questo credo che i principali concorrenti di Spotify e Netflix siano, nel medio-lungo periodo, Apple e Amazon perché possono permettersi di investire e crescere nelle industrie dei media senza particolari urgenze (o se preferite: facendo scommesse che possono permettersi di perdere) perché le loro fonti di guadagnano provengono da settori esterni all’industrie dei media (la vendita di iPhone, i servizi cloud).
Nota a margine: È comunque interessante notare come all'investor day 2022 Daniel Ek abbia ribadito che i tre pilastri su cui si basa la sua “creatura”, oggi come in passato, siano: Ubiquity / Personalization / Freemium.
Ovvero:
1) rendere Spotify disponibile a chiunque su qualsiasi dispositivo, con integrazioni che vanno da dispositivi indossabili a tutti gli aspetti della vita connessa, comprese automobili ed elettrodomestici da cucina,
2) capacità di presentare a un utente la sua prossima canzone e artista preferito,
3) combinazione del livello gratuito e abbonamento premium per consentire agli ascoltatori la possibilità di provare Spotify senza rischi, costruendo un funnel per creare una base di abbonati più ampia e in crescita.
Oggettivamente sono tutti elementi che vanno in direzione dell’economia della scoperta così come il recentissimo acquisto del trivia musicale Heardle.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il quarantottesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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📊 Chart, chart, chart!
💰 Una manciata di aziende americane dominano la produzione di contenuti a livello globale. Il loro investimento non è solo in contenuti in lingua inglese, una quota significativa e crescente va in contenuti prodotti in modo specifico per altri paesi. Nel conteggio è compreso tutto il mix di costi, dalla produzione di contenuti originali al licensing di quelli prodotti da altri. (via GroupM, “This Year, next year” giugno 2022).
🍎 La redditività dei servizi Apple. In questo grafico su architettura ricavi di Apple è particolarmente interessante per i temi che tratta #Mediastorm seguire il “percorso” della voce “Service” (dove troviamo tra le altre Apple TV+, Apple News, o Apple Music) che nel secondo trimestre del 2022 ha raggiunto un utile lordo di 14,4 miliardi di dollari (poco più della metà di quello dei device) e uno stratosferico margine del 73% (via Genuine Impact).
📉 Il coinvolgimento sui social media degli articoli di notizie negli Stati Uniti è diminuito negli ultimi sei mesi del 50% dalla prima metà dello scorso anno, nonostante siano stati pubblicati più articoli, secondo i dati di Newswhip. Il forte calo del coinvolgimento nei social è stato probabilmente influenzato dal minor coinvolgimento attuato da Facebook nel tentativo di spostare il consumo di notizie nella sua scheda “News” (via Axios Media Trends).
🔢 Media, numeri & dati
👋 Clubhouse è vivo e cammina ancora tra noi. Vero, secondo alcune stime, l'utilizzo dell'app è diminuito di oltre il 70% rispetto picco di febbraio 2021, ma Clubhouse (ne sono convinti a The Information) è ancora vivo e vegeto. Ha raccolto circa 310 milioni di dollari e, cosa più importante, non sembra aver sprecato soldi come tante altre startup tecnologiche. Clubhouse ha meno di 100 dipendenti e, almeno finora, ha evitato i profondi tagli di personale decisi da altre tech company recentemente.
🎶 TikTok e l’industria della musica: secondo Bloomberg , TikTok ha generato entrate che si avvicinano ai 4 miliardi di dollari a livello globale nel 2021. Si prevede che triplicherà questa cifra a 12 miliardi di dollari nel 2022. In percentuale del fatturato totale del 2021, si stima che l'importo che TikTok abbia pagato ai titolari dei diritti della musica registrata, 179 milioni di dollari, quindi una quota parte dei ricavi totali pari al 4,5% (via Music Business Worldwide).
➤ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋Prima di salutarci…
Una campagna Young & Rubicam del 1953 ci ricorda, se mai ce ne fosse bisogno, che il problema di tenere le persone davanti al teleschermo durante le interruzioni pubblicitarie nasce con la televisione stessa. Y&R cercava di convincere i suoi potenziali clienti affermando che la creatività è l’arma vincente: a quasi settanta anni di distanza nell’era del video on demand e funzione “scorri veloce” una cosa molto interessante sarà capire quanto per Netflix e gli altri streamer questa sia un’affermazione ancora valida. (Immagine via A Word from Our Sponsor).
#Mediastorm: una newsletter di appunti, note, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 48 - 17 luglio 2022.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].