#Mediastorm 36 – Netflix al capolinea o verso nuovo punto di partenza?
Il mercato dello streaming video si sta "normalizzando" con dinamiche che, sotto diversi aspetti, lo portano ad assomigliare al "vecchio" mercato della TV, e va bene così (per noi utenti).
Ti addormenti la sera pensando di essere un (anzi “IL”) disruptor che tutti inseguono e cercano di imitare, ti risvegli la mattina e scopri che ti hanno riservato un posto al tavolo degli incumbent, i vecchi protagonisti dell’industria che volevi spazzare via.
Insomma magari la tempistica non è stata esattamente questa, ma il fatto che il numero totale degli abbonati di Netflix – per la prima volta da oltre un decennio – sia diminuito mette sotto una nuova prospettiva un sacco di cose nell’industria dei media (non solo quella della televisione e del cinema).
Da martedì scorso, quando Netflix ha pubblicato la sua prima trimestrale del 2022 che “certifica” la decrescita dei suoi abbonati (che, è forse superfluo ricordare, di fatto la sua unica fonte di ricavo) se ne parla e scrive molto con analisi perlopiù catastrofiche sul futuro dell’azienda. D’altronde il tonfo in Borsa (oltre il 40%) non fa presagire niente di buono.
E quindi adesso? Come sostengono in molti è iniziato il declino di Netflix, lo streamer sta vivendo il suo momento “salto dello squalo”? Tutto il “sistema” dello streaming è entrato in una crisi irreversibile?
Di certo, come fa notare Axios, Netflix “essendo il più grande servizio di streaming in abbonamento al mondo non è solo un punto di riferimento del suo settore, ma anche della spesa e del sentimento discrezionali dei consumatori. Secondo il FT , alcuni dei più grandi gruppi di media e intrattenimento negli Stati Uniti hanno stanziato oltre 100 miliardi di dollari in contenuti nel 2022 per cercare di emulare il modello Netflix. Nel frattempo, il declino della pandemia , l'inflazione globale e le sfide geopolitiche stanno spingendo i consumatori a spostare la loro attenzione e i loro budget”.
Chi segue questa newsletter forse si ricorda che della crisi (o ritenuta tale) di Netflix ho già scritto anche a inizio di quest’anno, sottolineando che la corsa a incrementare continuamente la base abbonati ha sostenuto la crescita economico finanziaria di molte media company ma oggi sembra non poterlo fare più, serve cambio strategia.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il trentaseiesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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Un po’ di contesto – Quindi Netflix è in crisi, e se sì, quanto è grande questa sua crisi? La flessione degli abbonati indica un’importante inversione di tendenza, certo, il segno meno di fronte alla variazione del numero di abbonati complessivo segna la fine di una crescita continua, trimestre dopo trimestre, che durava da più di un decennio.
C’è da dire però che questo segno meno è relativo al confronto con il trimestre precedente, se guardiamo la variazione anno su anno (cioè il confronto “omogeneo” che viene fatto con il primo trimestre del 2021) il saldo è positivo +1,4 milioni abbonati, ovvero +6,7%.
La flessione di 200 mila abbonati tra il primo trimestre del 2022 e il quarto del 2021 rappresenta un -0,1%, mentre quello molto più consistente, e oggettivamente preoccupante, previsto dalla stessa Netflix di 2 milioni per fine settembre rappresenta comunque un -1% sul totale di 221,64 milioni di abbonati; direi che parlare di “crollo degli abbonati” come è stato scritto sia un po’ azzardato anche se il declino della loro crescita è evidente.
C’è da notare inoltre che, nonostante la flessione del numero degli abbonati, il valore medio di un singolo abbonato (l’ARS: average revenue per subscriber) sta comunque aumentando in ogni regione.
Questo perché comunque il fatturato di Netflix è in continuo aumento fino ad oggi, anche nelle previsioni del prossimo trimestre (quello dove è prevista la flessione di 2 milioni di abbonati). Anche reddito operativo e reddito netto sono in sostanziale tenuta nel confronto anno su anno sia nel primo trimestre del 2022 che nelle previsione del secondo, e in netta crescita rispetto al periodo pre-pandemia.
Quindi a Netflix hanno tutto sotto controllo? Be’ no, questa flessione è solo l’ultimo, magari il più evidente, segnale di un mercato – quello dello streaming video del quale Netflix è ancora il capofila – che è giunto a un inevitabile punto di svolta. A differenza di quanto avvenuto nell’industria della musica rimasta in mano alle case discografiche che hanno impedito alle piattaforme come Spotify di diventare dei produttori di contenuti, Netflix ha cominciato, una decina di anni fa, a produrre film e serie originali per diversificare il proprio catalogo.
Questo ha innescato, tra le piattaforme concorrenti, una corsa a produrre Originals e a offrire agli utenti cataloghi fortemente diversificati gli uni dagli altri senza possibilità di proporre “pacchetti” come nella tv via cavo/satellite.
In questo contesto se sottoscrivi due, tre o addirittura quattro abbonamenti per seguire i principali film e serie TV di più piattaforme, l’economicità delle singole offerte viene a perdersi. Per questo oggi (seguendo Disney+ che ha già annunciato abbonamenti a prezzo ridotto ma sostenuti da pubblicità) il CEO di Netflix apre concretamente alla possibilità di introdurre pubblicità:
“Coloro che hanno seguito Netflix sanno che sono stato contrario alla complessità della pubblicità e un grande fan della semplicità degli abbonamenti. Ma per quanto ne sia un fan, sono un fan ancora più grande della scelta dei consumatori”
Il punto è che la totale assenza di pubblicità è stato uno dei più forti segni distintivi di Netflix, quasi un punto d’orgoglio, un modo per dire a tutti: loro (i vecchi broadcaster) vi subissano continuamente con gli spot, da noi non ne troverete nemmeno l’ombra.
Un altro modo sul quale Netflix ha puntato per diversificarsi dalla vecchia industria è stato rilasciare di una serie TV tutti gli episodi contemporaneamente, niente attese di una settimana tra un'uscita e l’altra. Ma anche questo diventa un limite nel momento nel quale saper creare dei franchise di successo è vitale per battere la concorrenza, visto che proprio quell’attesa, settimana dopo settimana, è fondamentale per instaurare un rapporto più duraturo e costante con il pubblico, che non si “brucia” in un fine settimana dedicato al binge watching.
A proposito di creare un evento attorno a un film, in molti a Hollywood sostengono che la buona vecchia sala cinematografica, con la sua ritualità, sia ancora fondamentale; a Netflix sono sempre stati refrattari come noto alle uscite nei teatri, ma è anche evidente la mancanza nella grande quantità di film da loro prodotti di titoli che, appunto, rappresentino davvero un “evento”, nonostante le tante candidature agli Oscar e i premi nei maggiori festival mondiali.
Quello della “rilevanza” delle sue produzioni è uno dei nodi per il futuro di Netflix, già in una precedente puntata di questa newsletter riportavo la dichiarazione di Scott Stuber il capo dei film originali: “Penso che una delle critiche giuste che ci hanno mosso sia che facciamo troppo e non abbastanza è fantastico, quello che vogliamo fare è migliorare sotto questo aspetto facendo un po’ meno ma meglio e più grande”.
Ecco con un budget presumibilmente minore (non essere più protagonisti a Wall Street avrà pure i suoi effetti), Netflix nei prossimi anni dovrà riuscire a spendere meno e meglio per i suoi contenuti originali, concentrandosi su un numero minore di produzioni ma rendendole più rilevanti.
Una bella sfida, visto che Netflix in questi ultimi anni ha puntato molto sulla quantità per creare, nel più breve tempo possibile, un proprio catalogo originale che stesse al confronto con chi (Warner, Disney, Paramount) produce contenuti da circa un secolo.
In conclusione – Netflix con l'aumento della concorrenza e le caratteristiche della subscription economy (che loro stessi hanno contribuito a portare alle estreme conseguenze), si trovano così a dover cambiare per adattarsi alle esigenze degli utenti in questo nuovo mercato, ma proprio questi cambiamenti sembrano andar tutti nella direzione di una loro “normalizzazione” che fa sembrare la loro creatura, molto di più, ai loro vecchi concorrenti, la vecchia TV lineare, un controsenso per chi aveva puntato tutto sul fatto di essere un “oggetto unico” sul mercato.
È giusto ricordare che Hastings e soci dal 1997 a oggi hanno saputo cambiare pelle a Netflix più volte, da un’azienda che vendeva DVD per corrispondenza tramite servizio postale nazionale, certo che però quella di oggi sembra la sfida più difficile.
Chart, chart, chart (Netflix edition)
🔴 L’andamento del valore di capitalizzazione di Netflix, il “tonfo” lo riporta a valori di circa cinque anni fa, prima cioè di quella grande “gobba” iniziata nel 2017 (via companiesmarketcap.com)
🔴 Netflix ha da sempre un ottimo churn rate (tasso di abbandono) nettamente il più basso tra i concorrenti, qui riferito al solo mercato Usa, ma le cose recentemente stanno andando un po’ diversamente, c’entrano molto gli aumenti di prezzo (via Antenna)
🔴 Giusto per avere un’idea di come è composta l’architettura dei ricavi e delle spese a Netflix (via Chartr)
🔴Netflix è ancora dominante? Nonostante da tre trimestri la domanda globale (un parametro misurato da Parrot Analytics) sia scesa sotto il 50%, sembra essere ancora nettamente al di sopra dei concorrenti.
👋Prima di salutarci…
A proposito dell’invadenza degli spot televisivi, una soluzione al problema in una vignetta del 1949 (via Yesterday’s Print).
#Mediastorm: una newsletter di appunti e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 35 - 24 aprile 2022.
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