#Mediastorm 21 – Se Netflix comincia a dare i numeri
Netflix utilizza nuove metriche per comunicare i suoi Top 10, svolta per cambiare il mercato o soltanto una mossa furba?
Questa settimana Netflix ha annunciato un’importante novità sul modo nel quale comunicherà i dati relativi ai propri programmi, in particolare la propria “top 10”. L’annuncio è per certi versi “storico” perché Netflix in passato era stata sempre contraria a fornire dati su singoli titoli – il suo amministratore delegato Reed Hastings ha liquidato come “irrilevanti” i tentativi di classificarli da parte delle Nielsen – è quando li aveva comunicati l’aveva fatto utilizzando metriche molto discutibili e facendolo in modo assolutamente discontinuo, in pratica solo quando lo riteneva utile.
Questa volta le novità sono due: la prima è che la metrica utilizzata si riferisce alle ore complessive di visualizzazione di un programma, una metodologia più simile a quella che normalmente viene utilizzata nel mercato televisivo, la seconda è che questi dati saranno comunicati regolarmente, ogni settimana, attraverso un sito top10.netflix.com, con dati sia a livello globale che per singoli mercati (al momento 90 paesi, Italia compresa).
Quanto questa decisione rappresenta, davvero, una svolta e come può cambiare il mercato dello streaming? Provo a fare qualche riflessione.
Benvenuta, benvenuto io sono Lelio Simi e questo è il ventunesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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Nel dettaglio. Netflix fino ad oggi per comunicare dati relativi a quanto un suo titolo aveva avuto successo, utilizzava una metrica che contava soltanto il numero di account che avevano guardato un titolo per almeno 2 minuti; non era chiaro, ad esempio, quanti dei 142 milioni di titolari di abbonamento a Netflix che avendo visto in streaming un minimo di 120 secondi di "Squid Game" fossero semplicemente persone che cercavano di capire di cosa diavolo trattasse quella serie TV sulla bocca di tutti o, invece, spettatori realmente coinvolti.
Il dato relativo al monte ore settimanale ci dice, oggettivamente, molto di più sul reale coinvolgimento che un film o una serie TV si sono guadagnati tra gli spettatori, inoltre Netflix ha ingaggiato la società di servizi Ernst & Young per verificare le sue metriche, con i risultati che saranno rilasciati, però, solo dal 2022.
Tuttavia è importante notare che finché questi dati sono rivelati unicamente facendo riferimento alle sole produzioni targate Netflix, anche quando saranno verificati da una società terza, rappresentano un modo per auto-promuovere i titoli di casa, una strategia per dare agli abbonati nuovi spunti su cosa guardare, come fa notare giustamente il giornalista Todd Spangler su Variety che poi aggiunge:
Pablo Perez De Rosso, vicepresidente della strategia, pianificazione e analisi dei contenuti di Netflix, lo ha riconosciuto in un post sul blog relativo alla nuova iniziativa: “Soprattutto... speriamo che la nostra nuova Top 10 settimanale su Netflix aiuti i fan a scoprire nuove storie e a partecipare a nuove conversazioni”. In questo senso, le nuove informazioni su Netflix sono simili alle classifiche dell'App Store di Apple o alle classifiche di Spotify , volte a incrementarne l'utilizzo.
Interessanti anche le riflessioni a caldo che Michele Casula Partner presso Ergo research e ClapBox consulting ha scritto sul suo profilo LinkedIn:
Utile, interessante, parziale.... fuorviante? Per l'Italia puoi ragionare (anche scaricando i file) sul numero di settimane di permanenza di un titolo in top 10 ma non hai né il dettaglio delle “teste” né quello del monte ore.
Capita dunque che il titolo con il maggior numero di settimane di permanenza in top 10 sia The Good Doctor (dal 28 giugno in poi) seguito da Squid Game (che ne ha meno in virtù di quando è stato lanciato ma che potrebbe avere un volume di views anche 10 volte superiore).
In sostanza risulta quasi impossibile farsi un’idea del “peso” dei singoli prodotti e, gira gira, vale solo la fotografia della top 10 semicoincidenziale delle singole settimane (che però, a sua volta, sa più di leva di promozione che di "operazione trasparenza"). Vale però il “Piuttosto che niente è meglio piuttosto”.
In generale c’è da sottolineare che quella della trasparenza ed efficacia delle metriche è un tema sempre più dibattuto nell’industria dei media (dopo molti anni nella quale è stato decisamente trascurato) –ne avevo scritto già in questa newsletter e in un pezzo su Link– una questione che, nell’era della totale misurabilità di Internet, si porta dietro problemi di vecchia data.
Le guerre dello streaming sono oggi anche le guerre delle metriche: la costituzione di una “audi” unica in Italia è continuamente annunciata e continuamente rimandata, così come negli Stati Uniti, Nielsen (che per decenni è stata il punto di riferimento del mercato televisivo americano) è oggi pesantemente messa in discussione, mentre altri soggetti importanti, come Warner Media annunciano di voler lanciare un proprio sistema di misurazione alternativo.
La mossa di Netflix quindi si inserisce perfettamente in questa bagarre: lo streamer “concede” al mercato una metrica più simile (o meglio, meno differente) da quelle utilizzate dal sistema televisivo tradizionale, anche se ancora molto parziale, lo fa con regolarità e (in futuro) anche con verifica da una società terza, facendo così si ammanta, comunque di una maggiore volontà di essere più trasparente che in passato.
Il tutto in un momento di grandissima competizione, mentre Disney+ frena la sua crescita e HBO Max ha appena iniziato la sua conquista di un mercato fondamentale come l’Europa. Netflix così anticipa gli altri streamer che, a questo punto, dovranno decidere se allinearsi e rivelare qualcosa di più sul coinvolgimento dei loro titoli (e in tal caso sarà comunque interessante confrontare i vari dati).
In conclusione: alle persone piacciono le classifiche (dei più venduti, letti, visti, ascoltati), piaccia o meno, siamo abituati a confrontarci con queste liste da sempre quando acquistiamo un libro, un giornale, ascoltiamo musica, guardiamo un programma alla TV o andiamo al cinema; gli streamer lo sanno, e per quanto stiano rimandando, dovranno farci i conti. In questo senso, anche se ancora in modo del tutto parziale, Netflix sta tentando di gestire questa “svolta” impostandone i termini e le tempistiche per tutti (noi utenti compresi).
📑Tre storie da leggere (su media e disruption digitale)
1️⃣ Un tempo erano un angolo sonnolento del giornalismo, oggi i necrologi hanno trovato nuova vita nell'era di Internet. Un necrologio ben congegnato per una figura di spicco – che unisce storia e biografia, innescando la nostalgia – può attirare un enorme numero di lettori online. E ora c'è bisogno di velocità: il necrologio che esce per primo può vincere la giornata. Ecco perché molte organizzazioni di notizie hanno rafforzato le loro scorte di necrologi pre-scritti. Il New York Times ha 1.850 di questi necrologi inattivi nel suo sistema informatico; Il Washington Post ne ha circa 900 a disposizione. “L'abbiamo aumentato negli ultimi anni”, ha detto Mike Barnes, senior editor dell'Hollywood Reporter, che ora ha più di 800 necrologi scritti per vip ancora in vita dell'industria dell'intrattenimento, da attori, registi e capi di studio a scenografi e truccatori. Lo stesso Barnes ne ha scritte circa 500 negli ultimi 10 anni. “È diventato così competitivo”.
How obituaries got a jolt of new life in the Internet era
La nuova vita dei necrologi nell’era di Internet raccontata dal media reporter del Washington Post Paul Farhi (tempo di lettura 8 minuti)
2️⃣ Nascosta tra le pieghe della nuova industria musicale, c’è la figura del curatore che per le piattaforme mette assieme e aggiorna le playlist. Dal 2014 in poi Spotify e tutte le altre piattaforme cambiano strategia aziendale: abbandonano il modello del “magazzino” musicale, dove gli utenti si perdono alla ricerca degli album che piacciono loro e si orientano verso la creazione di migliaia di playlist. In seguito a questa decisione, assistiamo a un cambiamento per certi versi epocale: l’album come prodotto musicale perde centralità, a favore proprio dell’oggetto playlist.
Sono gli algoritmi o gli umani a scegliere la musica per noi?
Dal numero cartaceo di Link dedicato all’industria della musica, bella riflessione di Tiziano Bonini e Alessandro Gandini (tempo lettura 13 minuti).
3️⃣ I narratori hanno preso il posto di chi informa. “Damilano, Saviano e, prima di loro, Santoro, sono storyteller che girano l’Italia in tour. I loro show sono fatti benissimo, ma rischiano di rendere irrilevante il giornalismo come lo conosciamo da sempre. Vuol dire chiedersi se davvero abbiamo bisogno di narratori in grado di lavorare sulle nostre leve emotive, o se, invece, di professionisti che ci informino dandoci strumenti per ragionare con la nostra testa. Lo dico con il linguaggio di Internet come era una volta: occorre più search e meno discovery, percorsi liberi e non guidati. La crescita dei narratori e non degli informatori deriva dalle stesse cause che non fanno decollare, almeno da noi, il data journalism, ridotto, a differenza che all’estero, a qualche infografica di contorno per suffragare la tesi dell’articolo accanto”.
Perché non sarà un giornale, il giornale di domani
Paolo Casicci su CieloTerraDesign intervista Antonio Pavolini sui temi del suo libro “Unframing: Come difendersi da chi può stabilire cosa è rilevante per noi” (tempo lettura 9 minuti).
📈 Chart, chart, chart
📺 Il mercato dell’audiovisivo in Europa dal report “Trends in the VOD market in EU28” (gennaio 2021) dell’European audiovisual observatory, molto interessante perché ci dà l’intera cornice del rapporto di forze dei diversi settori dell’intero comparto.
📊 Il mercato pubblicitario in Italia, dallo Iab Forum che si è svolto questa settimana a Milano una chart dal report curato dal Politecnico di Milano.
📺 Lo streaming si sta riempendo di programmi senza script e Netflix sta dominando anche il mercato dei reality TV online. Basta guardare la sua quota di spettacoli originali senza copione che le persone vogliono guardare online, secondo la società Parrot Analytics che utilizza una metrica da lei sviluppata per misurare la domanda generata di programmi nello streaming.
👋Prima di salutarci…
Il primo spot dell’iPod (dall’inesauribile account Twitter di Jon Erlichman) dove si vedono bene evidenziate proprio quelle caratteristiche di cui parlavo in una scorsa newsletter: facilità d’uso (un’unica interfaccia per raccogliere tutta la musica e possibilità di creare playlist), scelta infinita grazie a collegamento con un archivio e possibilità di trasferire l’”esperienza” di ascolto ovunque (quest’ultima caratteristica come precedentemente faceva il Walkman, certo, ma al quale mancavano tutte le altre “qualità”).
#Mediastorm: una newsletter sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 21 - 21 novembre 2021.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online:
Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].