#Mediastorm 66 – Pubblicità: il dominio dei "digital pure-play"
Nonostante la crisi di molte big tech la quota dei ricavi pubblicitari delle aziende native digitali continua ad aumentare consolidando il loro dominio nell'industria dell'advertising.
In questo numero:
Il dominio dei "digital pure-play"
Qualche settimana fa, in una puntata di questa newsletter, mi chiedevo se alla fine la pubblicità (i ricavi che derivano dal suo utilizzo), nelle dinamiche delle industrie dei media, ne uscisse sempre da vincitrice. Nel senso che nonostante molte aziende sembrano volersene liberare (o si dicano assolutamente contrarie al suo utilizzo) finiscono poi per farci affidamento per risolvere un po’ di problemi.
La crisi di alcune big tech e i licenziamenti di massa in aziende come Facebook e Amazon (rispettivamente la seconda e la quinta azienda al mondo per ricavi da pubblicità) potrebbero far pensare che nel suo complesso l’industria dell’advertising — e in particolare le aziende native digitali che ne hanno preso possesso — siano in crisi. Ma è davvero così?
Sembrerebbe proprio di no, visto che la quota sui ricavi globali dell’industria della pubblicità dei cosiddetti “digital pure-play” (le aziende che hanno come unica attività pubblicitaria il digitale) crescerà dal 66% di quest’anno al 73% del 2027.
I dati li prendo dall’aggiornamento di dicembre (il più interessante perché, appunto, quello di fine anno) del report “This Year, Next Year” di GroupM (probabilmente il più importante centro media al mondo).
Non solo, se guardiamo il solo incremento dei ricavi pubblicitari globali anno su anno da qui ai prossimi cinque anni vediamo che a fronte di una crescita costante contenuta in una forbice molto stretta (tra i 46,6 e i 47,6 miliardi di dollari) dei “digital pure-play”, quella complessiva di tutti i media (digital pure-play compresi) è molto più incostante e, addirittura in alcune annualità, inferiore a quella delle aziende digitali.
Ovviamente questo significa che in quegli anni il saldo con l’anno precedente per media tradizionali è negativo. E attenzione nelle sue analisi e previsioni da un po’ di tempo GroupM valuta per i media tradizionali anche le loro “estensioni digitali”. Quindi ad esempio di un editore di un quotidiano vengono valutati sia i ricavi pubblicitari da stampa sia quelli del suo sito online.
Insomma come precisano da GroupM: “nonostante i recenti titoli di giornale che avvertono della crisi della pubblicità digitale e annunciano il prossimo fallimento delle big tech, la previsione è che la pubblicità digitale complessivamente crescerà a doppia cifra nel 2022 — sia nei digital pure-play sia nelle estensioni dei media tradizionali — Cina esclusa”.
Piaccia o meno l’industria pubblicitaria sarà sempre più dominata dal digitale (sembra superfluo ribadirlo, ma tant’è) con tutti i problemi e le zone d’ombra che si porta dietro; non ultima quella della estrema difficoltà di “certificarla” in maniera credibile. Giusto per ricordare: la pubblicità digitale è il “luogo” dove le metriche sono sacre (anche se “autocertificate” dalle stesse aziende che la vendono) ma nessuno sa veramente quanto, quelle stesse metriche, siano realmente affidabili.
Il mercato però sembra accettare questa contraddizione con un livello di fiducia che può variare su una singola azienda (o un gruppo più o meno ristretto di aziende) decretandone il (più o meno temporaneo) ridimensionamento ma, a quanto pare da queste previsioni, non accenna a variare la fiducia sull’intero sistema industriale delle pubblicità digitali. Prendiamone atto.
E i media tradizionali?
Solo una curiosità in chiusura. Se guardiamo ai media tradizionali (esclusa la TV lineare e le TV connesse o le smart TV) vediamo un dato in qualche modo sorprendente (almeno ha sorpreso molto me): secondo previsioni GroupM i ricavi pubblicitari dell’outdoor, che nel 2022 valgono esattamente quelli dei quotidiani — 31,8 miliardi di dollari per entrambe —, nel 2027 dopo una crescita costante supereranno quello dei quotidiani di oltre 14 miliardi.
Come dire, per i proprietari dei media avranno più valore i lettori dei cartelloni pubblicitari che non quelli dei quotidiani (lo ricordo ancora in questi dati sono comprese per i media tradizionali le cosiddette estensioni digitali).
E l’Italia?
Giusto un accenno, secondo GroupM:
Il mercato italiano si sta allineando al resto dei mercati globali con una forte concentrazione su TV e digitale (che valgono l’86% del mercato adv) e con un investimento su due attualmente dedicato all’offerta video. Il digitale è il primo mezzo (51,7% di share) e gli OTT ne rappresentano l’88%, anche se oltre il 50% della loro spesa è effettuata dallo Small Business.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il sessantaseiesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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📊 Chart, chart, chart!
📱 Dieta mediatica (carta vs digitale in Italia), secondo il rapporto sulla comunicazione del Censis pubblicato venerdì scorso, estrapolo questa slide tra quelle dedicate a “L’evoluzione dell’utenza complessiva dei media, 2007-2022” (con valori espressi in percentuale tra gli utenti che hanno indicato una frequenza d’uso del mezzo di almeno una volta alla settimana) dove si vede l’evoluzione relativa all’industria editoriale cartacea (quotidiani cartacei, free press, periodici, libri) in contrapposizione a quella digitale (siti dei quotidiani, all digital, eBook).
💶 Bonus 18enni. Se ne sta parlando molto perché sembrava che il Governo fosse intenzionato a non rinnovarlo, la cosa ha suscitato un po’ di polemiche e c’è chi, tra addetti ai lavori, del bonus per i 18enni ha messo in evidenza i molti lati positivi. Alla fine dovrebbe essere solo modificato. Come hanno speso i finanziamenti del bonus i giovani che ne hanno usufruito dal 2021 a oggi? Qui una infografica del Corriere della Sera che f ail quadro complessivo (via).
📉 Ricavi media italiani. Dalla relazione annuale di AgCom del 2022, i ricavi dei media italiani nel loro complesso divisi per fonte di provenienza (non è recentissima, è del luglio scorso, ma mi sembrava utile ripescarla e proporla).
👓 Un po’ di cose da leggere
Tampinati dall’algoritmo. Le pubblicità che rimandano a videogiochi che non esistono sono solo un primo indizio di una parte del web popolata e generata da bot, dove ciò che umano e ciò che non lo è più si confondono (Link).
Solo online. La BBC si sta preparando a chiudere le sue tradizionali trasmissioni televisive e radiofoniche poiché diventerà un servizio unicamente online nel prossimo decennio; lo dice il suo direttore generale, Tim Davie (the Guardian). Ma la notizia più importante, secondo The Current, quella che (in molti sperano) potrebbe cambiare l'industria televisiva britannica, è un’altra.
TitTok ban. Il senatore Marco Rubio ha presentato questa settimana la proposta di legge per vietare negli Stati Uniti l’app di proprietà della cinese ByteDance. Se approvata quanto sposterà questo provvedimento l’equilibrio di potere dei social media? (Bloomberg).
Le piattaforme sono finite ed è tempo che giornalisti ed editori ripensino la loro relazione con esse. Perché restare? Il vantaggio economico supera davvero il costo in reputazione? Il momento sembra opportuno per andarsene (Nieman Journalism Lab).
Ci sono sempre più film italiani costosi e ambiziosi. I contributi pubblici sono aumentati e c'è l'esigenza di vendersi anche all'estero, ma al cinema non incassano granché (il Post).
Lensa è l’app del momento, ma perché? Grazie alla funzione Magic Avatar l'app di fotoritocco è diventata virale, tra gallery di ritratti pacchiani, accuse di razzismo e sessualizzazione, presunti furti di dati e di opere (Rivista Studio).
#localmedia4democracy. I media locali, regionali e comunitari in difficoltà in Europa riceveranno un supporto finanziario di oltre 2 milioni di euro attraverso un nuovo progetto finanziato dall'UE “Local Media for Democracy” (journalismfund.eu).
📘 #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋 Prima di salutarci…
Good thing vs bad thing. Semafor, nella sua newsletter dedicata alla tecnologia curata da Reed Albergotti, ha messo in evidenza questa infografica su dati del Pew Research Center, che raffigura le differenze, nel confronto tra singoli Paesi, in merito all’opinione delle persone su quanto i social media siano un bene o un male per la democrazia (nella visualizzazione la somma non è 100 perché non sono rappresentati i “non so, non si esprime”). Secondo questi dati in Italia quelli che li considerano più una “cosa buona” superano quelli che li percepiscono come una “cosa negativa”. (Il Pew Research è molto autorevole ma campione oltre 28 mila persone per tutti questi paesi forse non è amplissimo).
È davvero tutto per questa settimana, alla prossima puntata (che sarà dopo Natale, e a proposito, auguri!).
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 66- 18 dicembre 2022.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].