#Mediastorm 64 – Se la "coda lunga" cresce ancora
Nelle library dello streaming il numero di titoli a basso margine di guadagno è in continua crescita. Un bene o un male per artisti indipendenti e proposte alternative?
In questo numero:
La coda lunghissima
Come tutti gli oltre 450 milioni di utenti di Spotify questa settimana ho ricevuto nella app del mio smartphone Wrapped, l’abituale resoconto di fine anno di come ho utilizzato la piattaforma compresa, ovviamente, la playlist i “tuoi brani preferiti”, ma anche numeri relativi agli artisti e ai minuti complessivi ascoltati durante il 2022. Il tutto sottolineato senza risparmio di enfasi e confezionato con colori sgargianti, invitandomi a condividere sui social.
Spotify punta molto sulle sue playlist come la celeberrima Discover Weekly o su appuntamenti come Wrapped dove viene delineata la nostra “personalità musicale” per esaltare e lusingare, immancabilmente, la nostra voglia di scoprire cose nuove. Come sappiamo proprio la nostra voglia di scoprire cose nuove, la nostra curiosità, non è semplicemente un concetto astratto ma ha un concreto valore economico per Spotify e tutte le altre piattaforme di streaming (non solo musicale ovviamente).
Una domanda, magari non nuovissima, ma che credo diventi sempre più urgente: quanto gli algoritmi di raccomandazione che ci guidano dentro le sconfinate library/archivio di queste piattaforme ci aiutano davvero a scoprire cose nuove e quanto, invece, ci accompagnano verso i titoli delle major e quelli (per Spotify) ad alto margine di guadagno?
Guardiamo un po’ di dati: ho trovato molto interessanti quelli che ha evidenziato l’agenzia Midia qualche settimana fa a proposito dello streaming musicale:
Nel corso dei cinque anni dal 2016 al 2021, le major hanno aumentato i ricavi della musica registrata del 71%, il che è abbastanza impressionante, tranne per il fatto che gli artisti diretti (ovvero gli artisti che distribuiscono senza etichette discografiche) nello stesso periodo sono cresciuti del 318%. Di conseguenza, gli artisti diretti hanno aumentato la quota di mercato globale dal 2,3% al 5,3%, mentre le major sono passate dal 68,8% al 65,5%.
Nel frattempo, i primi 10 e i primi 100 brani continuano a rappresentare una quota sempre minore di tutto lo streaming. Il minimo che si possa dire è che le major e i loro artisti sono cresciuti collettivamente più lentamente dei creatori di coda lunga e, al massimo, si potrebbe sostenere che i creatori di coda lunga hanno contribuito alla crescita delle major.
Insomma la “coda lunga” sta diventando sempre più lunga. Un bene o un male per artisti indipendenti e proposte alternative?
Da una parte le major vedono in questo una seria minaccia, e accusano gli artisti della coda lunga di diminuire la qualità dell’offerta musicale. Ma questo è un elemento tutto da dimostrare e molto di parte (è la tipica difesa degli incumbent quando si vedono minacciati). Però c’è chi avverte che “le major potrebbero presto fare pressioni su Spotify affinché paghi royalties più elevate per artisti ‘di qualità’ o ‘premium’ — in particolare quelli che attirano abbonati al suo servizio — rispetto alle decine di migliaia di brani caricati quotidianamente”.
Dall’altra una conseguenza dell’ulteriore allungamento della coda lunga è, banalmente, quello di aumentare le “bocche da sfamare”; gli artisti indipendenti si trovano quindi in guerra con le major e in lotta tra di loro per ottenere un po’ più di visibilità e rendite accettabili.
Il tutto nell’anno nel quale nel solo mercato degli Stati Uniti si sono superati per la prima volta i mille miliardi di stream musicali.
Da Spotify è stato chiesto, non senza polemiche, agli artisti grandi e piccoli di cercare un rapporto sempre più stretto con il proprio pubblico, “raccontare una storia attorno all’album, continuare a dialogare con i propri fan” magari attraverso i social, in una guerra per emergere fatta di numero di follower, mi piace e cuoricini (funzionerà?).
L’obiettivo per la maggior parte degli artisti indipendenti sarà quello di posizionarsi in un “corpo intermedio” — lontano dalla parte più lunga della coda e più vicino a quella appena meno grande della testa — una sorta di terra promessa dove i ricavi dovrebbero essere, almeno, accettabili.
Giudice di questa competizione sarà Spotify (e a seguire anche le altre piattaforme) divisa tra le pressioni delle major e le legittime aspirazioni degli artisti indipendenti, magari con una richiesta di fare una maggiore e più dura "selezione all'ingresso" (dopo aver decretato la loro fine le piattaforme rivaluteranno la figura dei gatekeeper?).
Resta in tutto questo la domanda iniziale: quanto concretamente verrà valorizzato il nostro desiderio di scoprire cose nuove che davvero ci arricchiscono?
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il sessantaquattresimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
Se dopo averla letta hai suggerimenti, domande o segnalazioni da farmi puoi scrivermi a questa email leliosimi@substack.com, altrimenti se quello che ho scritto ti suggerisce delle riflessioni puoi usare direttamente la sezione commenti, sarò felice di risponderti. Se invece vuoi consultare le altre puntate pubblicate puoi farlo da qui ► Archivio #Mediastorm.
Le audience dei quotidiani italiani
Chi segue questa newsletter da qualche tempo avrà probabilmente notato che ho insistito spesso sul fatto che le copie vendute da un giornale, seppure metrica molto importante, non sono l’unico paramento da prendere per capire se quel giornale sta “funzionando”. Si parla da un po’ di tempo in Italia di unificare le principali società che certificano le audience dei media con annunci ufficiali di accordi raggiunti, poi saltati e nuovamente riconfermati. Vedremo.
Nell’attesa mi è sembrato utile per i quotidiani italiani mettere in un’unica grafica tre diversi parametri: 1) vendita copie (il “totale vendite individuali” certificate da ADS per le copie carta e digitali) dei primi nove mesi del 2022, 2) la readership (lettorato) di carta e replica digitale certificato nel rapporto più recente di Audipress e 3) l’audience web, ovvero gli utenti nel giorno medio dei siti internet certificati da Audipress nel mese di settembre.
Il tutto riferito a un campione di undici testate, nazionali e locali, tra quelle certificate da tutte e tre le società di auditing (ricordo che la certificazione è, ovviamente, volontaria). Le dimensioni del cerchio indicano il numero di copie vendute, mentre sulle y è indicato il numero di utenti web mentre sulle x i lettori, tutti i parametri sono riferiti al giorno medio. Ho poi tracciato una linea per indicare il rapporto 1 a 1 tra readership e audience web per meglio leggere il confronto tra i lettori della versione “classica” del giornale con quella online (che ovviamente in parte si sovrappongono).
Ne viene fuori questa chart utile, mi sembra, per capire sia il rapporto di grandezze tra le diverse audience di una singola testata sia quello nel confronto tra le diverse testate.
📊 Chart, chart, chart!
📺 Non spostare quel Tiggì. Sembra proprio che lo spostamento di orario del Tg1 dovuto alla concomitanza con orari delle partite dei Mondiali di calcio non abbia per niente giovato alla ammiraglia dell’informazione della Rai che è stata superata dal Tg5: “I valori dei primi due giorni [di programmazione del Mondiale] dicono che il Tg1 è stato abbandonato da 1,3 milioni di persone il primo giorno e da 1,4 milioni il giorno successivo, 22 novembre, rispetto ai giorni corrispondenti della settimana precedente" secondo lo Studio Frasi che ha elaborato i dati Auditel.
🎬 Cosa ci insegnano i budget (alti) del cinema italiano? Interessante analisi dei dati sulle produzioni cinematografiche che hanno richiesto i contributi e riconoscimenti ai sensi della legge 220/2016 (da poco disponibili sul sito del Ministero della cultura) di Robert Bernocchi su Cineguru/Screenweek che ha fatto un utile confronto tra i costi di produzione con l’incassi ottenuti dai top 10 film italiani (con alcune conferme e qualche sorpresa).
📱 Non abbandonarmi. Il tasso d'abbandono (il churn rate) è un parametro cruciale nel settore sempre più competitivo dello SVOD, l'agenzia di analytics Antenna ha registrato (negli Stati Uniti) una sua significativa espansione nel terzo trimestre 2022, con oltre 32 milioni di annullamenti nei 10 servizi che monitora nella categoria Premium SVOD. La grafica rende conto di questo aumento con eccezioni importanti (Apple e HBO Max) ma evidenzia anche il rapporto di grandezza tra le varie piattaforme: Netflix nonostante aumento è ancora quella con il churn rate più basso, Apple TV+ nonostante diminuzione quella con tasso abbandono più alto.
📘 #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋Prima di salutarci…
Il nuovo lessico pubblicitario riscritto da Apple. Le parole sono importanti, quelle delle agenzie pubblicitarie da sempre sono caratterizzate da un “cultura” ispirata da guerra e duelli che ne rispecchia l’enorme competitività. Apple da sempre critica verso il mondo dell’advertising ha, recentemente, cambiato idea sui ricavi pubblicitari vedendoli come importante risorsa per il suo futuro.
Ma da un report di The Information (accesso via paywall) che ha parlato con diversi addetti alla vendita delle pubblicità di Apple emerge il tentativo di riscrivere il lessico pubblicitario con termini molto più soft e meno aggressivi che raccontano molto del rapporto amore/odio (e forse anche un po’ ipocrita) di Apple verso l’advertising digitale.
Nel dettaglio: Invece di utilizzare il termine “targeting” , Apple chiede ai suoi rappresentanti di vendita di dire “audience refiniment” invece di “algoritmo” Apple consiglia tecnologie il termine piattaforma. Bandita anche “conquesting”, per riferirsi alla tattica pubblicitaria di “conquista” tramite chiavi di ricerca utilizzate dalla concorrenza, più gradito il termine “difesa del marchio” come sostituto accettabile.
È davvero tutto per questa settimana, alla prossima.
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 64 - 4 dicembre 2022.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].