#Mediastorm 89 –La TV tradizionale ha raggiunto il suo punto di non ritorno?
Sembra proprio di sì: ricavi in declino, lo streaming che occupa sempre maggiore spazio e un gigante come Amazon pronto a "mangiarsi" l'offerta pubblicitaria televisiva.
Ad inizio di questo mese — il 3 gennaio — in Italia si sono celebrati i settanta anni dall’avvio della regolare programmazione televisiva nazionale da parte della Rai; il traguardo, certamente importante, non è un record assoluto: in Gran Bretagna come noto la BBC aveva iniziato a trasmettere regolarmente già nel 1936 (interrompendo le trasmissioni TV durante Seconda guerra mondiale), negli Stati Uniti invece la NBC e la CBS iniziano a trasmettere regolarmente nel 1941.
Insomma all’industria della TV manca ancora qualche anno al compimento del secolo di attività e, a differenza delle altre principali industrie tradizionali dei media che il secolo lo hanno già superato — quelle del cinema, della radio e della musica registrata e dei giornali — , è riuscita a mantenere un ruolo centrale non subendo i drammatici tracolli economici dovuti all’arrivo di Internet nel campo dei media. Almeno non fino ad oggi.
In Italia gli investimenti pubblicitari destinati alla televisione stagnano almeno da un decennio. Se prendiamo gli ultimi dati di Nielsen, quelli dei primi dieci mesi dell’anno, e li confrontiamo a ritroso nel pari periodo fino al 2013, vediamo che fluttuano — poco più o poco meno — attorno i tre miliardi di euro (con l’ovvia eccezione del 2020 dovuta alla pandemia).
Il medesimo dato riferito al totale dei dodici mesi, invece, vede in Italia tra 2012 (3,91 miliardi di euro) e 2022 (3,53 miliardi) una flessione degli investimenti pubblicitari destinati alla TV del 10% in valori assoluti, senza tenere conto quindi della perdita di valore dovuta all’inflazione. Una riduzione a due cifre, vero, ma niente ad esempio se confrontata al -61% nel medesimo periodo subito dai quotidiani.
Il sistema mediatico in Italia è sempre stato TV-centrico, ancora di più che in altri paesi, a cominciare dagli investimenti in pubblicità (e certo non solo per quelli), “mangiandosi” oltre la metà della torta.
Anche da noi, però, di fronte all’avvento del digitale, la TV tradizionale ha visto mettere in discussione la sua leadership fino ad essere superata nell’attirare investimenti pubblicitari dal digitale e dai cosiddetti OTT nel 2020.
I prossimi anni saranno decisivi per l’industria del broadcast e, in particolare, per la sua principale fonte di sostentamento: la pubblicità. Nel 2022 il fondatore di Netflix, Reed Hastings —certo uno che ama fare in pubblico dichiarazioni tranchant che spesso deve correggere — ha sentenziato che “i prossimi 5-10 anni rappresenteranno sicuramente la fine della TV lineare”.
Le stime dei ricavi da pubblicità delle principali agenzie pubblicate a fine dello scorso anno continuano a indicare un segno meno per i proprietari delle TV, e decretano nei prossimi anni un lento declino. Al di là delle frasi ad effetto ci sono oggi diversi elementi che ci dicono che l’industria dei broadcast ha superato il punto di non ritorno. Ne sottolineo due:
La crisi irreversibile dello spot “lineare”. Per molto tempo si è parlato della crisi dello spot televisivo, pietra angolare del sistema economico della TV lineare, dato per morto o quasi. In realtà non è stato esattamente così perché, nonostante il trasferimento di risorse da parte degli investitori pubblicitari verso il digitale, il buon vecchio spot televisivo ha continuato a rappresentare il modo migliore per raggiungere un pubblico su larga scala se stavi per lanciare, ad esempio, un nuovo modello di automobile.
Ma anche questo sta cambiando velocemente con la crescita della diffusione delle “TV connesse” e l’adozione degli abbonamenti sostenuti da pubblicità da parte degli streamer che tornano ad utilizzare il vecchio spot televisivo ma con i vantaggi del digitale (dati/profilazione utente).
L’arrivo di un gigante come Amazon nella partita della pubblicità televisiva accelererà ulteriormente il processo in atto descritto sopra con effetti, vista la “potenza di fuoco” della piattaforma, secondo molti esperti potenzialmente devastanti per l’economia della TV lineare, tanto che l’Hollywood Reporter ha titolato una sua recente analisi Amazon Is About to Eat the TV Universe.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è l’ottantanovesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando/trasformerà l’economia delle industrie dei media e il nostro rapporto con i loro “prodotti”. Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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🟠 Un lento declino
Gli investimenti pubblicitari raccolti dalla TV a livello globale, secondo l’agenzia Dentsu, passeranno dal 175,5 miliardi di dollari del 2022 ai 178,4 miliardi nelle previsioni per il 2026, un peso sul totale del monte pubblicitario tutto sommato stabile che varia nel periodo di tre punti percentuali, da 25% a 22%.
Dentro questo dato però non c’è solo la TV lineare ma è compresa anche la TV connessa (CTV) che nei mercati più ricchi ha un peso sempre maggiore, negli Stati Uniti Dentsu prevede per il 2024 che la CTV raggiunga poco meno di un terzo del totale degli investimenti pubblicitari televisivi, con un incremento di oltre cinque punti percentuali sul 2023.
È questo un punto fondamentale perché la connessione a internet ha trasformato il vecchio elettrodomestico che avevamo in salotto (e in camera da letto, e in cucina, e potenzialmente in ogni stanza della nostra casa) in un prolungamento dello schermo dei nostri smartphone dove la nostra attenzione è contesa non solo dai canali tradizionali ma anche dagli streamer e, elemento fondamentale, da piattaforme come YouTube o TikTok legate all’economia dei creatori digitali.
Ha valore ricordare che YouTube negli Stati Uniti ha la quota maggiore di tempo speso davanti a uno schermo televisivo tra gli streamer (8,5% che supera anche la quella di Netflix) e TikTok ha stretto accordi già dal qualche anno con produttori di apparecchi televisivi per installare di default la sua app su quelli di nuova generazione.
Insomma i broadcaster all’interno dello schermo televisivo — una vota loro terreno di competizione “interna” esclusiva — devono fare spazio agli streamer video come Netflix (che mette sul mercato prodotti del tutto simili ai loro) e dai giganti del video social (basati su contenuti generati dagli utenti).
Lo stesso non accade però a ruoli invertiti nella “dimensione” dello streaming, dove le aziende tecnologiche che producono contenuti mantengono salda una posizione di dominio consolidata nel tempo, mentre i broadcaster hanno grosse difficoltà a rendere profittevole la loro versione on-demand.
E se è vero che per noi utenti “alla fine è tutta televisione” dovunque e ovunque la consumiamo, queste diversi approcci cambiano notevolmente gli equilibri economici all’interno di questo settore.
🟠 La crisi dello spot “lineare”
Nonostante un pubblico in diminuzione i grandi broadcaster hanno saputo fino ad oggi limitare i danni perché lo spot TV "classico" ha continuato per un po’ ad attrarre ancora i grandi inserzionisti per la sua capacità di raggiungere un numero enorme di persone in un unico “colpo”, tanto che il suo costo nel mercato degli Stati Uniti è generalmente aumentato (in particolare per i grandi eventi sportivi, dal Super Bowl in giù). Ma questo è uno scenario che sta cambiando, come ha fatto notare Bloomberg:
Anche se la TV rappresenta ancora più di 60 miliardi di dollari di vendite pubblicitarie solo negli Stati Uniti, gli operatori di marketing stanno dedicando una quota maggiore dei loro soldi ad altri media, lo scorso anno le vendite di annunci televisivi nazionali sono diminuite del 12,5% e si prevede che diminuiranno di un altro 9% nel 2024.
Questo per i grandi broadcaster che stanno investendo grandi risorse economiche nello streaming — come ad esempio Disney, Paramount e Warner-Discovery — è un doppio problema, come fa notare giustamente ancora Bloomberg, perché 1) rappresenta un limite alla loro crescita economica e di conseguenza 2) avranno difficoltà a ripagare il proprio debito fatto per finanziare lo streaming (che è ancora ben lontano da ripagarli con utili economici).
🟠 Amazon si mangerà (anche) la televisione?
La decisione da parte di Amazon di inserire la pubblicità nella sua offerta Prime Video potrebbe sembrare un “evento” tutto sommato di routine, da inserire in una tendenza ormai consolidata in questo ultimo anno da parte di tutti i grandi streamer; in realtà non bisogna dimenticare che una cosa è se un’azione del genere la intraprende Netflix, partendo da zero, altra cosa è se lo fa un gigante come Amazon — che ricordo occupa la quarta posizione tra le aziende con maggiori ricavi da pubblicità al mondo, Cina compresa — con potenziali effetti di scala enormi.
Un dettaglio apparentemente secondario ma, in realtà, un elemento fondamentale da tenere di conto: la pubblicità su Prime Video viene introdotta di default e chi sceglierà di non vederla dovrà cambiare tipologia di abbonamento scegliendo — attivamente — di pagare di più, a differenza di quanto succede con Netflix e Disney+. Questo secondo l’agenzia Dentsu:
potrebbe dare ad Amazon già dall'inizio un’audience pubblicitaria televisiva superiore a 100 milioni, supponendo che gran parte dei loro 200 milioni di clienti Prime optino per l'impostazione predefinita supportata dalla pubblicità, una cifra decisamente diversa rispetto ai 15 milioni utenti attivi raccolti da Netflix al primo anno del suo piano supportato da pubblicità.
E inoltre va considerato che Amazon può offrire agli investitori pubblicitari la profilazione dati utente e abitudine acquisti “del negozio di qualsiasi cosa”:
questo andrà ulteriormente a consolidare Prime Video come un grande opportunità pubblicitaria. Il potenziale di Amazon in questo settore è un buon esempio di come è la TV sta cambiando man mano che diventa digitale, allontanandosi dalla tradizionale profilazione demografica verso set di dati che possono essere utilizzati anche in altri media digitali.
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
È davvero tutto per questo numero, grazie per aver letto fino a qui.
In questo periodo non riesco a rispettare la cadenza abituale di pubblicazione, me ne scuso e prometto di riprendere le vecchie abitudini al più presto.
Alla prossima puntata.
Lelio