#Mediastorm Rassegna - Aprile 2025
Cose importanti da sapere, numeri notevoli, articoli e newsletter da leggere, infografiche fondamentali sul mondo dei media.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il numero di #Mediastorm in formato “Rassegna” dove seleziono: notizie, dati, consigli di lettura, infografiche e, insomma, le cose importanti da sapere, secondo me, del mese appena trascorso sui temi all’intersezione tra media, economia, tecnologia e giornalismo. Ah, se non lo sei già, puoi iscriverti a questa newsletter da qui:
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📌 IN EVIDENZA
🍪 Google rinuncia definitivamente ad eliminare i cookie di terze parti da Chrome
Google ha annunciato il 22 aprile la decisione di abbandonare nei fatti il suo Privacy Sandbox, ovvero lo strumento che avrebbe dovuto eliminare definitivamente i cookie di terze parti da Chrome: “abbiamo deciso di mantenere il nostro attuale approccio, offrendo agli utenti la possibilità di scegliere i cookie di terze parti in Chrome, e non implementeremo un nuovo prompt autonomo per i cookie di terze parti”.
✔ Perché è importante: il progetto era stato presentato da Google nel 2019 e, per l’enorme diffusione del suo browser, aveva messo in stato di agitazione tutta la filiera dell’industria pubblicitaria; in molti hanno investito, da allora, molte risorse per farsi trovare pronti alla “fine dell’era dei cookie di terze parti”. Dopo rinvii e ripensamenti il dietrofront di Google cambia ancora lo scenario; “cookie banners will be eternal” ha scritto l’analista Benedict Evans a commento della notizia.
✔ In generale: non è difficile vedere questo dietrofront come un tentativo di alleggerire la pressione dell’antitrust che individua nella Sandbox uno degli elementi per dare a Google un (ulteriore) vantaggio competitivo. Google ha in corso diverse battaglie con il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti che insiste per stabilire le misure correttive da adottare, dopo che ha giudicato Google colpevole di aver illegalmente monopolizzato segmenti chiave del mercato della pubblicità online. E da tempo come riporta Bloomberg chiede a Google di vendere proprio il suo browser Chrome.
✔ Un dettaglio importante: Google afferma che il suo Privaci Sandbox è ancora in piedi e che condividerà una roadmap per aggiornare le aziende, ma questo sembra più un modo per non mortificare ulteriormente tutti coloro che nel settore pubblicitario stavano pianificando da sei anni uno scenario radicalmente diverso. La realtà è che, come fa notare Digiday, la mancanza del focus principale — la prossima eliminazione dei cookie — riduce drasticamente la volontà dell’industria di investire risorse su questo strumento e, d’altronde, i test avevano già mostrato scarsi risultati in termini di performance.
✔ Sì, ma: c’è anche chi ha appreso la notizia con sollievo, ad esempio molti tra gli editori di giornali vedono nella retromarcia di Google un ritorno alla (quasi) normalità. Si prevedeva infatti un crollo dei CPM (secondo alcune stime addirittura del 60%) e quindi dei ricavi da pubblicità, la nuova decisione di Google ha dichiarato Lou Paskalis di Ad Fontes Media, un organo di controllo dei media: “sostiene i flussi di entrate per gli editori che dipendono dai cookie di terze parti, in particolare i piccoli editori e le piattaforme giornalistiche”, e soprattutto, aggiungerei, chi non ha potuto (o voluto) investire in tutti questi anni risorse per adeguarsi ai nuovi scenari.
✔ Nel frattempo: altri browser bloccano già i cookie di terze parti: Safari (Apple), Firefox (Mozilla) e Brave e secondo molti esperti “Anche se i cookie di terze parti non spariranno da Chrome, l'ecosistema del marketing si sta evolvendo allontanandosi dall’identità deterministica”.
🗒️ SUL TACCUINO
appunti su notizie, idee, questioni e temi da sviluppare
La guerra dello streaming video è finita (per come l’abbiamo intesa fino ad oggi) e l’ha vinta Netflix
Il responsabile dei contenuti di HBO e Max lo ha ammesso senza troppi problemi: ormai i rapporti di forza nel mercato dello streaming video sono decisi e, per questo, non si sente più in competizione con Netflix.
In una lunga e molto interessante intervista al sito Puck, Casey Bloy ha affermato “Cinque anni fa, quando AT&T ci ha acquisito l’idea era ancora che saremmo stati ‘qualcosa’ per chiunque. Tutti volevano essere il prossimo Netflix, ma è incredibilmente costoso farlo. E Netflix ha perso un sacco di soldi per molto tempo per arrivare dov’è adesso. Abbiamo accettato che la maggior parte dei nostri abbonati a questo punto avrà Netflix, e avrà Amazon. Se c’è qualcuno che può dare del filo da torcere a Netflix in termini di streaming ‘tuttofare’, è Amazon. Hanno la portata, hanno la potenza di fuoco finanziaria. Quindi, quando qualcuno mette a punto la propria dieta mediatica, ciò che conta è cosa aggiungere a quei due”. O come ha dichiarato ancora Bloyd al Wall Street Journal “Ciò che le persone vogliono da noi in un mondo in cui ci sono Netflix e Amazon sono le cose che ci differenziano da loro”.
Ma, questa, era solo la prima parte di quella guerra da un po’ è iniziata la nuova fase e lì la partita è ancora tutta aperta per Netflix perché i contendenti sono altri da YouTube a TikTok, come ho scritto nella scorsa puntata di questa newsletter:
A proposito della guerra tra Netflix e YouTube: il fronte si allarga sulla pubblicità. E Netflix punta a una capitalizzazione da 1.000 miliardi
Netflix da parte sua, pur rimanendo principalmente basato sui ricavi da abbonamento, ha sviluppato internamente la sua nuova piattaforma tecnologica pubblicitaria proprietaria, Netflix Ads Suite, che ha lanciato negli Stati Uniti ad inizio aprile (e ne prevede la diffusione in altri mercati nei prossimi mesi).
In questo modo Netflix dopo aver utilizzato per la gestione della raccolta pubblicitaria la tecnologia di Microsoft prende definitivamente in mano il totale controllo delle operazioni: un passaggio fondamentale sia per la sua strategia pubblicitaria a lungo termine, che per gli obiettivi a breve termine. con l’obiettivo dichiarato di raddoppiare i ricavi pubblicitari a fine di quest’anno.
Il Wall Street Journal ha evidenziato la portata delle ambizioni di Netflix. Il gigante dello streaming vuole aggiungere 110 milioni di abbonati a livello globale e raddoppiare entro il 2030 il fatturato (oggi sfiora i 40 miliardi di dollari) raggiungendo quota 80 miliardi. I dirigenti di Netflix basano su questi dati l’ambizione – scrive ancora il WSJ – di poter “puntare a entrare nel club delle società da 1.000 miliardi di dollari di capitalizzazione entro il 2030”.
Un’ultima cosa su Netflix: il CEO Sarandos l’ha detto chiaramente: per lui andare al cinema è ormai un “concetto obsoleto”
Non ne avevamo molti dubbi, ma per chi si chiede ancora quale sia concretamente la considerazione che a Netflix hanno delle sale cinematografiche, Ted Sarandos ha tolto ogni possibile equivoco dichiarando, molto schiettamente, al Time100 Summit, che andare al cinema è “un concetto obsoleto” per la maggior parte delle persone perché gli spettatori preferiscono guardare i film a casa. Come ha fatto notare Variety “Questi commenti riaffermano la posizione dello streamer sulle uscite cinematografiche: è disposto a sfruttare la finestra per le uscite di successo per film come Emilia Perez e Knives Out (principalmente per qualificarsi per i premi), ma la sala cinematografica non sarà mai al centro della sua strategia”. Amen.
Google non guarda più a YouTube semplicemente come a un canale di distribuzione
Google ha lanciato senza troppi clamori un’iniziativa di produzione cinematografica e televisiva chiamata 100 Zeros che ha come obiettivo quello di finanziare o produrre una serie di film e programmi TV, sia sceneggiati che non.
Un aspetto sorprendente di 100 Zeros – sottolinea Business Insider che pubblicato la notizia in esclusiva – è che non sta cercando di sfruttare YouTube come piattaforma di distribuzione principale.
Google insomma non starebbe cercando di ricreare YouTube Originals (il precedente tentativo della piattaforma di realizzare spettacoli originali) né di utilizzare YouTube come primo approdo per questi progetti. L’obiettivo dichiarato di 100 Zeros è quello di vendere i progetti a studi tradizionali e servizi di streaming come Netflix. Un altro passo dentro la “grande ibridazione di qualsiasi cosa” nell’industria dell’intrattenimento.
L’enorme successo di Minecraft che nessuno ha previsto rivela un (grosso) problema per Hollywood
“A Minecraft Movie” è stato il successo al botteghino che nessuna aveva previsto, non nelle dimensioni che ha raggiunto. Gli esperti, fa notare Bloomberg, stimavano infatti che il film avrebbe incassato tra i 65 milioni e al massimo i 100 milioni di dollari. Solo negli Stati Uniti e in Canada ha superato i 160 milioni di dollari, e a livello globale ha raggiunto i 500 milioni nei primi dieci giorni di programmazione, il più grande debutto dell'anno.
“Negli ultimi due anni, i grandi film, quando vanno alla grande, lo fanno a un livello che non possiamo realmente prevedere”, ammette Ray Subers del National Research Group una società specializzata nelle previsioni al botteghino.
Le previsioni sono fondamentali per gli studios perché su queste calibrano le campagne marketing e le perfezionano se queste indicano che una determinata fascia di età, ad esempio, è meno coinvolta.
Successi, o insuccessi, che nessuno prevedeva sono sempre capitati nell’industria cinematografica ma oggi molti dirigenti del settore si trovano a dover ammettere che gli strumenti utilizzati per monitorare l’andamento del botteghino sono in declino, hanno perso la capacità di comprendere il pubblico, soprattutto quello più giovane (da leggere: The Massive Blockbuster That No One Predicted su Bloomberg).

📉 INFOGRAFICA (ORIGINALE) DEL MESE
L’eterno problema delle copie rese nell’industria dei quotidiani italiani

Le copie rese sono l’elemento più importante per valutare l’efficienza del canale distributivo della filiera dei quotidiani. In Italia che, a differenza di altri paesi, non ha mai avuto una solida base di distribuzione tramite abbonamenti; (anche) per questo in Italia la resa ha un peso decisamente elevato. E in aumento ormai da anni nonostante le copie stampate siano sempre meno.
Dal 2020 ADS (che certifica la diffusione dei giornali italiani) nei suoi resoconti non indica più in modo diretto le copie rese, facendo così mancare un dato molto importante al mercato. In realtà però non è difficile da ricavare dal complesso dei dati pubblicati dalla stessa ADS, basta perderci un po’ di tempo, che è quello che ho fatto.
Nel 2024 il volume totale di copie rese (quindi complessivamente quello accumulato nei 12 mesi) dell’aggregato di tutti i quotidiani censiti (60 testate) è stato di 266 milioni unità (ovvero 740mila nel giorno medio) con un peso del 39,5% sulla tiratura, praticamente 2 copie su 5 “tirate” finiscono al macero.
Nel grafico che ho realizzato sono rappresentate tutte le testate individuate, sulle ordinate, dal volume totale delle copie rese nel 2024 e, nelle ascisse, dal loro peso percentuale sulla tiratura.
Come si può facilmente notare i quotidiani che hanno una distribuzione nazionale (e in particolare per quelli che non hanno un “baricentro” distributivo, ovvero un’area geografica che assorbe il 40-50% delle vendite) la resa ha valori superiori al 50% (si stampano più copie che finiscono al macero che non quelle diffuse).
E no, ridurre la tiratura, non migliorerebbe significativamente lo scarto se i problemi a monte della rete distributiva non vengono, almeno in parte, risolti. Anzi con un minor volume di stampato i problemi, e quindi lo scarto, potrebbero aumentare. Il punto è che oggi essere un piccolo quotidiano con una distribuzione nazionale sul canale edicola presenta difficoltà enormi ed infatti per alcuni la scelta è di non distribuire il giornale in alcune aree o regioni.
🔢 IL NUMERO DEL MESE
Nel 2025, il fatturato globale dei video on demand in abbonamento (SVOD) e dei video on demand supportati dalla pubblicità (AVOD) supererà i 165 miliardi di dollari in tutto il mondo. Ma l’ecosistema attuale è molto frammentato, con oltre 200 piattaforme di streaming, un numero di gran lunga superiore a quello che il mercato può sostenere nel lungo periodo
(fonte: AlixPartners, 2025 Media & Entertainment Industry Predictions Report)
Negli ultimi quindici anni mi sono occupato di innovazione nel mondo dei media pubblicando inchieste, saggi, reportage, sviluppando progetti editoriali e, tra i primi in Italia, utilizzando le tecniche del data-journalism per fare emergere le storie, le strategie e i contesti economici che plasmano queste industrie.
Grazie a questo come professionista e giornalista indipendente oggi posso aiutarti a trovare le domande veramente importanti da porti per muoverti al meglio all’interno di un ecosistema come quello dei media in continua trasformazione.
L’European Audiovisual Observatory questo aprile ha pubblicato uno studio “Top players in the European AV industry Concentration, statute, origin and profile” sullo stato dell’arte del sistema audiovisivo in Europa (i dati sono riferiti al 2023 e dove non ci sono dati diretti sono state fatte delle stime). Qui per il momento metto questa tabella delle prime 20 media company che operano in Europa per fatturato.
🐢 LA STORIA DEL MESE
Napster non è stato solo il pioniere della condivisione musicale: l’”invenzione” di due, allora, teenager ha dato il via alla definitiva affermazione globale delle peer-to-peer economy e tutto quello che ne è scaturito dal 1999 fino ad oggi. Sebbene la sua stagione sia durata solo tre anni, sommerso da cause ed enormemente ridimenzionato, ha continuato ad esistere e, a fine di questo marzo, è stato acquistato per 207 milioni di dollari. L’acquirente, Infinite Reality, dice che vuole creare spazi virtuali 3D che consentiranno agli appassionati di musica di godersi insieme concerti.
Ha valore, per questo, rileggere la sua storia:
►Napster. L’utile idiota che ha vaporizzato se stesso (e la musica) (Sentireascoltare).
► Perché si sta tornando a parlare di Napster (Humans vs, Robots).
💼 BUSINESS MODEL
“In questo momento sono molto più interessato nel cercare di capire come possiamo far pagare un sacco di soldi alle persone per un ingegnere informatico automatizzato davvero bravo o un altro tipo di agente, piuttosto che guadagnare qualche spicciolo con un modello basato sulla pubblicità”.
Sam Altman CEO di OpenAI, intervistato da Ben Thompson
👋 PRIMA DI SALUTARCI

[A proposito: sembra che se non sarà raggiunto un accordo entro la scadenza del 19 giugno sulla vendita da parte della cinese ByteDance delle attività statunitensi di TikTok, il presidente americano Donald Trump è pronto a concedere una proroga (via Borsa Italiana)]
È davvero tutto per questo numero, grazie per aver letto fino a qui. Alla prossima puntata.
Lelio.