#Mediastorm 76 – Il paradosso del giornalismo digitale
I vecchi modelli dell’industria delle notizie sono diventati obsoleti con il digitale, ma i nuovi modelli imposti dal digitale non riescono a diventare solidi e duraturi per l’industria delle notizie.
“Per un breve, inebriante momento, molti hanno immaginato che BuzzFeed sarebbe stato per i giornali ciò che Netflix era per il cinema e la televisione: un modello di business dirompente che tracciava un percorso per gli altri. In realtà, era più simile a Blockbuster”
È una frase (l’ha scritta su The Atlantic il giornalista Charlie Warzel, che a BuzzFeed ha lavorato) che sintetizza bene la parabola discendente confermata dall’annuncio della chiusura definitiva di BuzzFeed News e il licenziamento di circa 180 redattori.
La decisione probabilmente era stata presa da tempo (ne avevo già parlato in questa newsletter) e segna la fine di un modello che, fino a non molto tempo fa a molti è sembrato essere quello “vincente”, capace di sovvertire le vecchie gerarchie, dare nuovo slancio a un industria delle notizie profondamente in crisi.
Uno dei principali protagonisti di questo modello, il giornalista Ben Smith che aveva creato BuzzFeed News ha scritto su Semafor, il suo nuovo progetto editoriale:
Quelli di noi abbastanza fortunati da costruire di nuovo da zero devono rendersi conto in questo momento che il vecchio modo di pensare alle notizie — basato su testo nel world wide web e distribuito principalmente sui social media — è il passato.
La cosa che, alla fine, mi colpisce di più di questa frase — per altro più che condivisibile — è la parola “vecchio” relativa a un approccio, un modello giornalistico appunto, nato soltanto una decina di anni fa che ha avuto il suo massimo apice intorno al 2014-2016.
Qualcuno ha giustamente notato che il nuovo libro di Ben Smith (in uscita proprio in questi giorni) Traffic: Genius, Rivalry, and Delusion in the Billion-Dollar Race to Go Viral che ripercorre la storia di questi ultimi anni degli ex-protagonisti della nuova scena editoriale esplosi con il digitale — oltre a BuzzFeed tra gli altri: Gawker, Vice Media, Inc. — è in qualche modo una “storia scritta dalla parte dei perdenti”.
Il famoso Report Innovazione del New York Times che definiva le nuove linee strategiche del giornale più importante al mondo, che segna un prima e un dopo nell’industria dei giornali, indicava i “perdenti” di oggi (e proprio BuzzFeed in particolare) come i modelli da seguire. Il Report è stato diffuso nella primavera del 2014, nove anni fa, un tempo relativamente breve eppure tutto da allora è, nuovamente, cambiato.
E qui vengo a un primo punto che la fine di BuzzFeed News mi sembra suggerisca, una sorta di paradosso: seppure i vecchi modelli dell’industria delle notizie, basati su giornale di carta-diffusione fisica-ricavi da pubblicità, siano stati resi obsoleti e gettati in una crisi irreversibile dal digitale, tutte le innovazioni che si sono imposte con il digitale in questi anni non sono riuscite a proporre modelli editoriali indipendenti realmente solidi e duraturi.
E c’è da notare che il “vecchio” modello pur dovendosi misurare con innovazioni tecnologiche importanti nel corso del tempo, ad esempio la nascita di altri media come radio e televisione (basati su ricavi pubblicitari e news distribuite gratuitamente), ha funzionato decisamente bene per circa un secolo.
Il secondo modello più recente, basato su web-distribuzione attraverso social media- native advertising, invece non ha resistito per più di un decennio. E questo comunque è un dato.
Anche innovatori digitali che —a differenza di BuzzFeed, Vice Media e loro cloni — non avevano l’ambizione (presunzione?) di conquistare il mondo come Quartz, per molti aspetti un punto di riferimento per alcune scelte di strategia editoriale, oggi dopo alcuni passaggi di proprietà, mi sembra, abbia perso molto della sua continua spinta innovativa.
D’altra parte un editore tradizionale e importante come Axel Springer che da un decennio sta investendo molto su digitale oggi, seppure ancora in buona salute, ha deciso di fondersi con un fondo di investimento e uscire dalla quotazione in Borsa.
Anche piccole start up editoriali che avevano attirato molto interesse da parte di addetti ai lavori come Blendle (aggregatore basato su micro-finanziamenti) o Circa (altro aggregatore che proponeva un modo nuovo di pensare il formato giornalistico) non sono riuscite ad emergere concretamente, chiuse dopo poco tempo oppure, dopo diversi anni, ancora allo stato embrionale.
Solo alcuni esempi di una lunga lista di (potenziali) next big thing che, pur presentando elementi di novità interessanti (alle volte anche molto interessanti), non sono riuscite ad essere né next né tantomeno big thing.
Così come il modello che oggi sembra essere quello dominante, quello basato sulle subscription digitali, pur avendo molti punti a suo favore, è ben distante dall’essere la soluzione definitiva per risollevare i giornali dalla crisi (e no, il declino di BuzzFeed non rappresenta il trionfo degli abbonamenti digitali alle notizie).
Il rischio è ci si innamori di un singolo modello consegnandocisi mani e piedi, cosa che gli editori hanno fatto troppo spesso in questi ultimi anni, senza avere reali e concrete alternative, exit strategy.
Se nel mondo pre-digitale alcuni modelli di business per i media sono durati decenni (con la necessità al massimo di qualche piccola correzione), nella nuova complessità portata da digitale e da internet tutto — anche quello che sembra funzionare molto bene —invecchia molto più velocemente e necessità di continue profonde revisioni, se non repentini cambi di rotta.
Ci piace l'idea che in un mondo complesso vince chi fornisce la risposta più semplice, ma sottovalutiamo il fatto che nella complessità le risposte (troppo) semplici finiscono per invecchiare rapidamente.
E quella data da BuzzFeed, nel periodo di suo massimo sviluppo, era decisamente troppo semplice (certo facile dirlo adesso): un solo formato (quello digitale), un solo modo di distribuirlo (i social media, se non quasi esclusivamente Facebook), una sola tipologia di ricavi (la pubblicità) un solo tipo di pubblicità (la native advertising).
Il digitale ha dato la possibilità di capire, molto meglio che in passato, il reale coinvolgimento del lettore, ha dato strumenti capaci rendere concretamente partecipi le persone nel sostenere (non solo economicamente) un progetto editoriale.
Tuttavia proprio BuzzFeed ha contribuito in maniera significativa ad elevare all’ennesima potenza l’ossessione per la performance. Una cultura della metriche meramente quantitative trasferite dal mondo analogico a quello digitale che si è rivelata fine a sé stessa, incapace di dirci veramente cosa significassero i millemila clic totalizzati da un articolo oppure i fantamilioni di follower raggiunti dall’account ufficiale di una testata su Facebook o Twitter. Quanto davvero questi elementi contribuiscono a realizzare modelli di business sostenibili e, certo non ultimo, quanto a migliorare la qualità del giornalismo realizzato.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il settantaseiesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando/trasformerà l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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📊 Chart, chart, chart!
📺 Un po’ meno tiggì per tutti. Gli ascolti dei telegiornali nel giorno medio nel corso dello scorso anno, hanno registrato una riduzione rispetto al 2021 di 2,17 milioni di ascolti (da 18,01 a 15,85 milioni) nella fascia oraria 18:30-20:30 e una flessione di 1,56 milioni in quella 12:00-14:30 (da 14,48 a 12,92 milioni). Nella fascia serale, i TG della Rai hanno perso su base annua il 14,0% degli ascolti giornalieri (da 11,56 a 9,94 milioni). I TG serali di Mediaset, in media, hanno registrato una riduzione del 9,01% (da 5,36 a 4,88 milioni di spettatori). Il TG La7 delle 20.00 passa da 1,09 a 1,03 milioni di ascolti (-5,9%) (AgCom - Osservatorio sulle comunicazioni, ultimo trimestre 2022 presentato ad aprile).
🎧 Davvero nel 2022 i ricavi globali della musica registrata sono tornati ai livelli del 1999? Nì. Se consideriamo i valori assoluti sì, anzi secondo IFPI sono stati superati visto che nel 2022 sono valutati in 26,2 miliardi di dollari contro i 22,3 miliardi del 1999 (anno del picco massimo). Ma come ha fatto notare Bloomberg se rivalutiamo queste cifre secondo inflazione il risultato è decisamente diverso, come si può vedere da questa infografica.
📱 Da dove arrivano le subscription? Il 53% dell’incremento lordo degli abbonati degli streamer video nel 2022 è arrivato attraverso piattaforme di distribuzione come Apple, Amazon, Roku o Google e non direttamente dai servizi stessi, secondo rilevamenti di terze parti fatte da società Antenna.
🧮 Numeri notevoli
3/4 dei film muti di Hollywood è andata perduta.
I ricavi pubblicitari di YouTube sono calati per il terzo trimestre consecutivo (-2,26% su base annua) fermandosi a 6,69 miliardi di dollari cifra che, seppure di poco, ha superato comunque la previsione media degli analisti (che era 6,60 miliardi).
La retribuzione complessiva di Reed Hastings così come quella di Ted Sarandos — rispettivamente fondatore e attuale CEO di Netflix — nel 2022 ha superato per ognuno di loro i 50 milioni di dollari, grazie a incentivi e stock option. Giusto per ricordare: tra gennaio e dicembre del 2022 il valore delle azioni di Netflix è sceso del 50%.
Netflix ha perso 1 milione di utenti in Spagna nell'ultimo trimestre, secondo la società di ricerche di mercato Kantar, una conseguenza secondo gli analisti del giro di vite sulla condivisione delle password.
👓 Un po’ di cose da leggere
Il senso di ChatGPT per gli scriventi. Parafrasando Calvino, chi scrive dopo ChatGPT ha il dovere di trovare cosa, in mezzo alla letteratura, non è la letteratura, e farla durare, e darle spazio. Liberi dal peso di stendere tutte le pagine che compongono un volume o un articolo, i più potrebbero limitarsi a dare input secchi all’AI, sulla base degli argomenti più cruciali o di alcune tesi chiare ed efficaci da sostenere. In questo modo chi scrive concentrerebbe tutti gli sforzi e le energie intellettuali nel core business che oggi sposta i veri utili fra editoria, giornali e intrattenimento: costruire il proprio profilo di scrittore fuori dal testo, dedicarsi all’aspetto sociale e identitario della letteratura, lavorare a tempo pieno sulla disseminazione dell’opera (→ Snaporaz).
Cos’era Twitter, alla fine? Tutto ciò che leggi su Twitter, che provenga dal presidente degli Stati Uniti o dal tuo accalappiacani locale, è il risultato del processo noto come posting. E solo una piccola percentuale di utenti pubblica post. Nel 2021, il Pew Research Center ha esaminato circa 1.000 account con sede negli Stati Uniti, gli “utenti più attivi”, che costituivano solo il 25% del gruppo, il resto. Statisticamente parlando, la base del 75% non ha mai postato: con un valore mediano di zero post al mese (→ New York Times).
Elogio del film lungo. Il film hollywoodiano medio si è allungato dagli anni Trenta agli anni Cinquanta. La maggiore durata riflette anche i cambiamenti nel business, le mutate abitudini degli spettatori, che andavano meno spesso al cinema (in parte a causa della televisione e in parte della suburbanizzazione). Man mano che il cinema diventava più raro, gli studi cinematografici hanno reso i film esperienze più grandi, ricorrendo a innovazioni tecnologiche come widescreen, audio stereo e 3-D. La cosa affascinante è che, commercialmente, la maggiore lunghezza ha spesso funzionato (→ New Yorker).
👋 Prima di salutarci…
Quanto tempo passiamo davanti allo schermo del nostro smartphone? ElectronicHub (un blog di recensioni di prodotti e componenti tecnologici) ha realizzato una mappa del mondo dove —Paese per Paese — sono indicati il tempo medio dello screen time calcolato come percentuale su tempo nel quale stiamo svegli. I dati sono stati elaborati sulla base del Digital 2023: Global Overview Report per quanto riguarda lo screen time e il database dell'app Sleep Cycle per determinare il tempo di veglia medio per Paese.
► The Average Screen Time and Usage by Country (per vedere la mappa a grande dimensione clicca qui).
È davvero tutto, grazie per aver letto fino a qui, alla prossima puntata.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 76 - 1 maggio 2023.
📘 #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
☛ Per collaborazioni e contatti professionali qui mio profilo LinkedIn (oppure puoi scrivermi all’email leliosimi@gmail.com).
🖆 Hai richieste, segnalazioni o correzioni da suggerirmi?
[L’immagine di apertura è presa da Unsplash quella del logo nella testata di #Mediastorm sono di Francesca Fincato].