#Mediastorm 61 – Persi nella transizione
Le media company native digitali si trovano a dover affrontare la loro prima vera grande transizione: da un modello "monoreddito" a uno più articolato e complesso. E così iniziano i problemi.
La notizia della prima grande ondata di licenziamenti a Meta/Facebook (11mila dipendenti, il 13% della forza lavoro), annunciata dallo stesso Zuckerberg mercoledì scorso, ha ovviamente fatto molto rumore ma è facile notare come, con varie modalità, molte delle tech company legate alle industrie dei media stiano facendo i conti, chi più salati chi meno, con una dura realtà che le sta ridimensionando.
Giovedì scorso Elon Musk ha detto allo staff di Twitter di prepararsi per “i tempi difficili che ci attendono” e ha avvertito che la società potrebbe fallire se non trova nuovi modi per fare soldi.
Ok, quest’ultima potrebbe essere solo l’ultima delle sue, tante, sparate, ma ad esempio anche TikTok — oggi il nuovo che avanza per eccellenza — ha dovuto ridurre di 2 miliardi di dollari (-16,7%) le sue aspettative sui ricavi da pubblicità per quest’anno. Dall’altra parte dello spettro una media company di lungo corso come Disney ha visto la flessione più grande del valore delle sue azioni degli ultimi venti anni.
Il business dei media è sulla buona strada per il suo anno peggiore a Wall Street in almeno tre decenni, non ha esitato a scrivere Bloomberg precisando che:
Le azioni delle più grandi società di media statunitensi sono scese di oltre il 50% nel 2022, molto peggio del mercato più ampio. (Le aziende tecnologiche non stanno andando molto meglio).
Cosa sta succedendo? Una cosa che si può notare è che, proprio mentre le media company della “vecchia guardia” sono ancora impegnate nella (difficile) transizione per passare al modello digitale, le aziende native digitali sono obbligate ad affrontare, a loro volta, una (non meno difficile) transizione da un modello sostanzialmente “monoreddito” (solo pubblicità, solo subscription) a uno più articolato e decisamente più complesso.
Benvenuta, benvenuto, sono Lelio Simi e questo è il sessantunesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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Transizione I/La vecchia generazione
Ci sono quindi due tipologie di transizione in atto nelle diversi settori delle industrie dei media (cinema/televisione, giornali, musica), quella delle aziende delle “vecchia guardia” che vedono, in generale, in declino i ricavi dalle loro attività tradizionali ma ancora non riescono, nonostante gli investimenti fatti, a rendere per il momento proficue le attività su digitale.
Nessuno nello streaming produce utili, tranne Netflix (e questo è comunque un dato da tenere presente). Gli abbonamenti delle TV via cavo/satellitare sono in drammatica flessione, secondo MoffettNathanson, le televisioni via cavo stanno perdendo quasi il 10% dei loro clienti all'anno negli Stati Uniti. Per controbilanciare tutto ciò, come ha spiegato Bloomberg:
Le reti televisive sono state in grado di compensare il calo degli abbonamenti addebitando ai distributori via cavo e satellitari tariffe più elevate. Ma il calo degli abbonati è accelerato al punto che commissioni più elevate non possono più salvarli.
Non solo, per le TV tradizionali stanno diminuendo anche i ricavi dalla vendita di spazi pubblicitari (che hanno pensato bene di aumentare per numero a dismisura in questi anni). Pur non prendendo in considerazione il 2020, secondo GroupM i ricavi pubblicitari delle TV tradizionali nel 2022 subiranno una flessione a livello globale del 3% sul 2019 e del 6% sul 2018 e, per i prossimi anni, questa tendenza continuerà.
Nell’industria dei giornali, il New York Times — ad oggi la più importante case history della transizione felice tra un sistema stampa-centrico a uno digitale— ha alla base del suo successo l’essere riuscita a gestire il declino dei ricavi dal giornale di carta (ne ho parlato spesso in questa newsletter), ma la gran parte del settore si trova ancora in mezzo al guado, senza avere alcuna certezza che il digitale possa riequilibrare le continue perdite della stampa.
Finanziare la transizione verso il digitale (se si ha intenzione di farlo veramente al di là delle dichiarazioni di facciata) vuol dire in questi contesti trasferire risorse economiche dalle attività tradizionali a quelle nuove; ma così c'è il rischio di accelerare il declino delle prime senza vedere risultati significativi dall'altra nel breve periodo, anche perché i margini di guadagno del digitale sono molto più bassi e, per questo, deve puntare sulle grandi quantità.
Qual è la ricetta giusta? Citando ancora l’analisi di Bloomberg che si è fatto la stessa domanda:
La parte più spaventosa per dipendenti e investitori in questo momento è che nessuna azienda o individuo ha una soluzione chiara. “È molto interessante vedere un settore in cui NESSUNO l'ha capito”, ha detto un dirigente questa settimana.
Transizione II/La nuova generazione
Dall’altra parte le tech company che hanno invaso l’industria dei media oggi, in un mercato dell’attenzione sempre più affollato e complesso rispetto agli anni nei quali hanno costruito la loro fortuna, stanno cercando tutte di diventare anche “qualcos’altro”.
Facebook ha inseguito (spendendo molte risorse) progetti ambiziosi per aggiungere alla pubblicità altri ricavi (dal Marketplace alle newsletter in abbonamento) senza mai riuscire a “sfondare” in quei singoli settori, tanto che a un certo punto Zuckerberg ha dovuto fare apparire dal suo cilindro il progetto del metaverso, che però nonostante tutti i suoi sforzi resta ancora un’idea troppo vaga e indefinita (che cos’è davvero?) per convincere gli investitori a puntare sulla sua azienda con la fiducia del passato.
Tra l’altro, ho l’impressione, svalutando ulteriormente l’attuale valore di Facebook ormai visto quasi come un sottoprodotto in attesa del futuro mondo meraviglioso promesso dal (suo) metaverso.
Netflix ha introdotto la pubblicità per rispondere alla sostanziale stagnazione della crescita degli abbonati, ma i risultati li vedrà solo tra qualche trimestre, nel frattempo i progetti di e-commerce e videogame, anche questi importanti per diversificare i ricavi oltre le subscription, sembrano per il momento messi da parte. Spotify che diceva di puntare molto sui podcast per liberarsi dei pesanti vincoli economici imposti dalle major, oggi si rende conto che anche quel mercato ha bisogno di (molto) tempo per consolidarsi davvero.
Però tutte queste nuove attività hanno bisogno di risorse per essere sviluppate e sostenute per affermarsi e portare, concretamente, vantaggi economici. E il dilemma su come dosare le risorse sulle varie “puntate” sulle quali si gioca per completare felicemente una nuova transizione da modelli “monoreddito” verso modelli di business più solidi ma complessi, continua anche per loro.
Nel frattempo la fiducia degli investitori finanziari inevitabilmente si riduce e, con essa, anche la possibilità di accedere, come in passato, a una montagna di soldi concessi a tassi ridicoli. E così, fare un bel po’ di tagli al personale, è la facile ricetta adottata un po’ da tutti (la categoria professionale alla quale appartengo, quella dei giornalisti, ne sa qualcosa).
📊 Chart, chart, chart!
📰 Industria dei quotidiani degli Stati Uniti, l’evoluzione dei ricavi da pubblicità e quella dei ricavi da diffusione (via Axios).
📱 Rapporto di grandezze. La colonna che indica gli abbonati di Twitter è ancora molto più grande ma se guardiamo alla crescita percentuale, va detto, qualcosa tra fine ottobre e inizio novembre sembra proprio sia successa. (via Semafor)
🎶 Quanto lo streaming ha influito sul valore della musica? Il contributo sui ricavi globali dello streaming verso etichette, intermediari ed editori musicali è cresciuto di 32 punti percentuali dal 2016 al 2020. (via report Musonomics)
📚Un po’ di cose da leggere (e anche qualche dato)
✓ Editoria libraria. L'autopubblicazione, o self publishing, un fenomeno che sta rapidamente trasformando il mercato dell'editoria anche in Italia nel 2021 sono stati pubblicati 16.065 titoli di libri autopubblicati, il 56% in più rispetto al 2020. A questi vanno aggiunti 550mila ebook, in crescita del 9% ☛ (Alice Facchini, L'Essenziale).
✓ Twitter. “Oh ragazzi. Sapete, tutto quello che sta succedendo con Elon Musk e Twitter mi riporta in mente… mi pare fosse Mike Tyson e quella sua battuta che diceva: ‘Tutti hanno un piano fino a quando non si prendono un pugno in faccia’” ☛ (Trevor Noah spiega il disastro di Twitter in quattro minuti, Paolo Attivissimo, Il Disinformatico).
✓ Pubblicità. La speranza è riposta nei Mondiali di calcio. Dall’evento si attende una sferzata su un mercato, quello italiano, a -1,5 % nei primi nove mesi dell’anno, senza gli Ott le perdite sarebbero anche maggiori: -4,5% nei nove mesi ☛ (Andrea Biondi, Il Sole 24 Ore).
✓ Giornalisti & Talk Show. “Se non fosse per i sottopancia, con nome e cognome, sarebbe difficile distinguere l'ospite politico dal cronista in rappresentanza di una testata. La spinta a demolire l'avversario a difendere le ragioni della propria ha la medesima veemenza, e un'unica fonte a cui attingere: se stesso. Il punto esclamativo ha disarcionato il collega interrogativo” ☛ (Giorgio Cappozzo, Internazionale).
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋Prima di salutarci…
L’insostenibile costo della carta, sta creando enormi problemi ai giornali, ovviamente anche in Italia, le lettere aperte ai lettori per spiegare la necessità di aumentare il prezzo di copertina, si susseguono settimana dopo settimana, questa volta è il settimanale Film TV (nelle edicole dal 1993) che, dati alla mano, informa i lettori della difficile situazione nella quale si trova con un editoriale del suo direttore Giulio Sangiorgio, che inizia così:
Da 435 a 1.060 euro a tonnellata. Questo l’aumento, negli ultimi 18 mesi, del costo della carta su cui è stampato Film Tv. Un aumento a cui abbiamo cercato di far fronte, il gennaio scorso (quando una tonnellata costava 790), ritoccando il costo con cui lo abbiamo venduto per 9 anni.
È davvero tutto per questa settimana, alla prossima.
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 61 - 13 novembre 2022.
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