#Mediastorm 54 – La dittatura dei "franchise"
La loro importanza economica è stata elevata all'ennesima potenza dallo streaming. Il rischio però è di trascinare lo spettatore in un "loop" di cose già viste. Si sta esagerando?
Le guerre dello streaming stanno perdendo uno dei (potenziali) protagonisti assoluti: Warner Media-Discovery (WMD). Il leviatano nato dalla fusione da 43 miliardi di dollari di due giganti dell’industria televisiva-cinematografica sta rivedendo, pesantemente, le sue strategie e ambizioni di dominio nel video online. Proprio lui che prometteva di diventare il terzo incomodo tra Netflix e Disney.
Il CEO David Zaslav per il momento sembra aver capito che trasferire grandi risorse economiche dalla TV via cavo (accelerandone il declino) per alimentare la costosissima crescita dello streaming non sia un buon affare.
È un elemento importante perché ci fa capire alcuni snodi fondamentali sui quali oggi si sta decidendo lo sviluppo dell’industria dell’intrattenimento.
Da un lato giocare seriamente la partita nello streaming vuol dire mettere in conto di sostenere linee di sviluppo molto costose, in particolare: 1) dover sostenere la competizione globale in un’infinità di mercati nazionali sparsi per i cinque continenti, alcuni dei quali (India ad esempio), difficili da monetizzare; 2) sviluppare continuamente il complesso di tecnologie a supporto dello streaming; 3) alimentare ossessivamente le proprie library con nuovi contenuti originali per aumentare metrica del tempo speso dentro la piattaforma da un singolo abbonato.
Dall’altro lato, seppure in declino, la TV lineare è ancora fonte di reddito e aggrega grandi audience; velocizzarne il declino sperando che lo streaming ne riequilibri, con gli interessi, le perdite è un gioco di equilibri molto rischioso, soprattutto oggi che a Wall Street non sono più ossessionati dalla sola crescita del numero di abbonati ma guardano, più concretamente, anche alla redditività di una media company.
È quello, in qualche modo, che sta succedendo anche nell’industria dei giornali, l’ho fatto notare anche in questa newsletter, uno degli elementi di successo del famoso “modello” New York Times è aver saputo gestire il declino della carta contenendone il declino mentre si facevano crescere i ricavi del digitale.
C’è però un altro elemento importante che entra in gioco: WMD ha i diritti di proprietà intellettuale su una serie di titoli che ne fanno uno dei soggetti più importanti per sviluppare e sfruttare dei franchise, da Il Trono di Spade a Il Signore degli Anelli da Harry Potter a Batman.
A questo punto le strategie sono sostanzialmente due:
Puntare tutto sullo streaming sfruttando questo enorme capitale nei propri “giardini recintati”, ovvero come contenuti esclusivi per tentare di attirare più utenti e abbonati possibile verso le proprie piattaforme, che poi è quello che sta facendo Disney;
Fare un compromesso tra rendersi disponibile a cedere a caro prezzo i diritti di alcuni suoi gioielli e sfruttarne altri per alimentare i propri canali e piattaforme, come ha scelto di fare WMD vedi accordo con Amazon per la serie “The Lord of Rings/The Rings of Power” da una parte e dall’altra lancio di “House of the Dragon/Il Trono di Spade” su HBO e HBO Max (streaming) per sfruttare in casa propria il fortunatissimo franchise.
Come ha scritto la società di analisi LightShed (per leggere l’articolo completo è richiesta l’iscrizione):
Una volta che hai deciso che le tue ambizioni nello streaming non sono la tua “stella polare”, perché non concedere in licenza il più possibile? Il catalogo ha valore per i servizi di streaming solo se puoi aumentare il tempo speso giornaliero in modo significativo che gli abbonati spendono nel tuo servizio. Se la tua strategia è quella di concentrarti su una programmazione di qualità (come una serie HBO) nella quale gli abbonati vengono per un episodio a settimana, l'esclusività assoluta del catalogo è molto meno importante.
Una scelta tra due strategie che prima o poi dovranno fare anche altre major storiche approdate nello streaming, a cominciare da Paramount (appena sbarcata anche in Italia con Paramount+). Un bivio, tra puntare tutto su sistemi chiusi o aprirsi ad accordi con la concorrenza, che segnerà in una direzione o nell’altra la futura “geografia” dell’industria dell’intrattenimento.
Di sicuro resta il fatto che i grandi franchise stanno diventando sempre più importanti perché oltre a (promettere) successo di pubblico, assicurano di diversificare i ricavi con merchandising, videogame, eventi ed iniziative dal vivo e, per chi li possiede come Disney o Paramount, visite nei parchi a tema.
La mancanza di franchise consolidati è notoriamente uno dei limiti delle piattaforme di streaming nate, più di recente, da aziende tecnologiche. Amazon ha acquistato definitivamente lo scorso marzo MGM per 8,45 miliardi di dollari soprattutto per questo, attratta dall’immenso catalogo di “proprietà intellettuali” della storica major su titoli di grande successo. Netflix deve cercare di crearne di propri in un tempo ridotto (ci tenterà con Stranger Things, ma poi quanti altri suoi titoli possono essere trasformati in franchise?).
Franchise fatigue?
In questo contesto l’importanza economica e strategica dei franchise è stata elevata all’ennesima potenza nell’era dello streaming. Ma se in passato il ritmo con il quale usciva una delle puntate di una saga (al cinema, in TV o nei fumetti o nei videogiochi) era decisamente più cadenzato, oggi — nella logica di una competizione sempre più esasperata — si è messo tutto in una centrifuga.
L’universo cinematografico Marvel sforna, una dietro l’altra, serie TV e film (da agosto 2022 a novembre 2025 sono già calendarizzate una ventina di nuove uscite e un’altra decina non ha, ancora, una data definitiva) a seguire tutti gli altri universi narrativi a cominciare da Guerre Stellari.
C’è da chiedersi se in questa continua girandola di supereroi, spade laser, hobbit, creature fantastiche, continue lotte tra dinastie nobiliari di regni fantasy non si rischi, noi spettatori, l’assuefazione.
Non sempre la qualità, come facile immaginare con questi ritmi di produzione, è all’altezza delle (grandi) attese dei tanti fan. La sensazione è che qualcosa stia per sfuggire di mano, anche perché il confine tra il nostro piacere di rinnovare continuamente l’incontro con “luoghi” noti può facilmente scivolare nella tremenda noia di sapere già, ancora prima dei titoli di testa, cosa per l’ennesima volta stanno per raccontarti.
Benvenuta, benvenuto, sono Lelio Simi e questo è il cinquantaquattresimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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📊 Chart, chart, chart!
📉 Ricavi vs. redditi. A proposito di HBO e delle spese da sostenere per restare aggrappati al treno della competitività, interessante confronto tra ricavi (in netta crescita) e reddito operativo (in netta flessione) in questi ultimi tre bilanci annuali (fonte è ancora agenzia analisi LightShed).
🌩️C’era una volta un duopolio. Il dominio assoluto di Meta/Facebook e Google nel mercato della pubblicità digitale sta per finire? Non solo TikTok ma anche tech company storiche come Microsoft o Apple e l’onnipresente Amazon stanno adattandosi molto bene, molto meglio nei nuovi scenari di mercato, un’analisi dell’Economist.
💸 Subscription economy: quanto spendono realmente i consumatori? Negli Stati Uniti in media 86 dollari al mese, almeno questo era l'importo iniziale stimato dai consumatori per i servizi in abbonamento. Ma guardando più nel dettaglio, la spesa mensile media è stata più di 2 volte e mezzo l'importo che pensavano: 219 dollari, ovvero 133 dollari in più la stima originale. Quasi un terzo delle persone ha sottovalutato da 100 a 199 dollari. Un’indagine molto interessante, anche se relativa al solo mercato americano, fatta da C+R Research.
➤ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋Prima di salutarci…
“Soltanto una moda passeggera” (dal Daily Mail del 5 dicembre 2000). Dall’inesauribile account Twitter di Jon Erlichman.
È tutto per questa settimana, alla prossima.
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 54 - 25 settembre 2022.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].