#Mediastorm 49 – I conti di Netflix (per adesso)
Qualche riflessione e infografica sulla trimestrale più importante (fino ad oggi) dell'industria dello streaming
Quindi come sta andando Netflix, bene o male? I risultati del suo rapporto trimestrale di metà anno erano molto attesi per capire il futuro dell’azienda che sta dominando l’industria dello streaming — streaming che, a sua volta, sta indirizzando la maggior parte delle decisioni economiche e strategiche delle diverse industrie dei media (musica, televisione, cinema, editoria) — dopo che, tre mesi fa, le previsioni della stessa Netflix avevano preannunciato per il suo immediato futuro 2 milioni di abbonati in meno. Ovvero la sua più grande flessione.
Alla fine le cose sono andate meglio del previsto (better-than-expected come hanno scritto da Netflix già nella prima riga della lettera agli stakeholder): la flessione si è fermata a un milione di abbonati (970 mila per la precisione) persi tra fine marzo e fine giugno.
Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Diamo contesto ai numeri: al 30 giugno Netflix aveva 220,67 milioni di abbonati rispetto ai 221,64 milioni del 30 marzo, quindi una flessione dello 0,4% sul trimestre precedente, mentre nei dodici mesi Netflix registra comunque un aumento di questa voce del 5,5%.
Non solo, questa volta le previsioni per il prossimo trimestre sono positive per quanto riguarda la base abbonati con una crescita stimata in un milione tondo atteso per fine settembre (+0,4% su trimestre precedente). Nell’arco di nove mesi quindi, da fine anno 2021 a settembre 2022 il numero degli abbonati dovrebbe vedere, nel suo complesso, una variazione pressoché millimetrica (-0,08%).
Si ma, guardiamo più nel dettaglio: a flettere rispetto ai tre mesi precedenti sono principalmente gli abbonati dei mercati più ricchi a cominciare da Nord America, la flessione in questa area è di 1,3 milioni di abbonati che si somma a quella del trimestre precedente per un totale di quasi due milioni (1,93 milioni) di abbonati persi nei primi sei mesi dell’anno rispetto alla chiusura del 2021.
L’Europa (la regione è per la verità l’EMEA) perde 767 mila unità (da ricordare che a marzo Netflix ha interrotto il servizio in Russia), una flessione che nei primi sei mesi di quest’anno raggiunge il milione di abbonati. Il tutto è parzialmente riequilibrato dalla crescita del numero di abbonati in Asia (la regione è Asia e Oceania) con il (poco più) di un milione di unità aggiunte in questo trimestre, sommando un +2,17 milioni di abbonati in totale nei primi sei mesi.
E però c’è da notare come quest’ultima crescita sia stata ottenuta con una politica attuata da Netflix a ribasso sui prezzi degli abbonamenti in quell’area, il valore medio di un abbonato in Asia/Oceania è sceso, dopo sei trimestri, sotto i 9 dollari (8,83 dollari) mentre nel Nord America il suo valore medio è di 15,95 dollari, in aumento del 7% rispetto al primo trimestre.
Quindi riepilogando: Negli Stati Uniti (e Canada) Netflix perde abbonati ma fa crescere il loro valore medio, aumentando anche i ricavi totali da abbonamento rispetto al trimestre precedente (+5,6%), questa perdita di abbonati è sì, riequilibrata numericamente dalla crescita nell’area Asia/Oceania, che però vede ridurre i ricavi totali (anche se soltanto per l’1%).
Resta il fatto che la flessione di circa due milioni di abbonati nell’area Nord America (-2,6%) sia un campanello d’allarme importante e, ovviamente, la decisione da qui di introdurre offerte di abbonamenti a prezzi più economici sostenuti da pubblicità a cominciare, per il momento, proprio negli Stati Uniti.
Ma d’altra parte a Netflix devono tenere conto della tenuta del valore medio degli abbonamenti nordamericani che non vanno svalutati eccessivamente continuando a dare un maggiore valore percepito agli abbonamenti “premium”.
Insomma se la pubblicità viene introdotta “per tutti quelli che [negli Stati Uniti] non sono disposti a pagare 15,50 dollari o più il mese per abbonarsi” c’è anche da preoccuparsi su come dare una buona ragione a chi, invece, è disposto a mantenere il proprio abbonamento premium: non avere la scocciatura della pubblicità potrebbe non essere sufficiente a giustificare la differenza di prezzo, soprattutto se — come promesso da Netflix — le pubblicità sulla loro piattaforma saranno poco invasive e decisamente migliori di quelle della TV tradizionale (ne ho già scritto in questa newsletter).
Deriva da qui la scelta di limitare gli abbonamenti sostenuti da pubblicità (i cosiddetti AVOD) ai soli contenuti originali di Netflix escludendo i titoli del resto della libreria/archivio che resta a totale disposizione dei soli abbonamenti premium (SVOD), un modo per preservare il valore a quest’ultimi abbonamenti.
Ha valore notare che questa decisione è in qualche modo “storica” perché mina uno dei principali punti fermi dell’industria dello streaming: l’accesso completo a tutto lo sterminato archivio/libreria messo a disposizione dalle piattaforme online. È il declino della logica all-you-can-eat sulla quale hanno basato molto della loro fortuna le tech company nelle loro invasioni di campo nel settore dei media.
È un passo le cui conseguenze sono difficili da valutare perché, come detto, cambiano una parte significativa del modo nel quale sono abituate le persone a “consumare” prodotti nello streaming, ma a Netflix hanno già messo le mani avanti dicendo che la strategia sarà quella dei piccoli passi per valutarne bene gli effetti e, successivamente, andare avanti nel modo ritenuto migliore.
"La nostra attività pubblicitaria tra pochi anni sarà probabilmente molto diversa da come apparirà il primo giorno", ha scritto la società nella sua lettera sugli utili.
E adesso un po’ di Chart:
🔴 A proposito di contenuti originali a Netflix, in questa ultima trimestrale si precisa che il livello dei contenuti esclusivi ha raggiunto circa il 60% della library, in questa infografica di Ampere Analytics riferita a marzo 2020 si nota la loro costante crescita, e la volontà di andare avanti verso un catalogo (quasi privo) di titoli non in esclusiva (che però è uno degli elementi sul quale si giocherà la differenziazione tra abbonamenti sostenuti da pubblicità e quelli premium).
🔴 Spendere meno, spendere meglio è uno dei nuovi mantra per Netflix (e tutto lo streaming video come più volte ho scritto qui), l’eccessiva spesa in contenuti è una delle principali preoccupazioni da parte dei grandi investitori di Wall Street sulla affidabilità della Netflix economy, e infatti a Netflix si cerca di tranquillizzare dicendo che si sta correggendo il tiro: Ted Sarandos ha affermato che il budget dovrebbe stabilizzarsi intorno ai 17 miliardi di dollari l’anno. Non solo: nella relazione agli stakeholder Netflix mette in bella evidenza questa infografica dove si fa notare il maggiore equilibrio nel rapporto tra spese per i contenuti e il loro ammortamento che nel 2022 dovrebbe mantenersi ai livelli del 2020 quando le produzioni erano praticamente ferme.
“il nostro rapporto spesa/ammortamento in contanti dei contenuti ha raggiunto il picco di 1,6 volte e dovrebbe essere di circa 1,2-1,3 volte nel 2022 e diminuire in futuro, sulla base dei nostri piani attuali, che non presuppongono alcuna espansione materiale in nuove categorie di contenuti nel '23”.
🔴 Tutto merito di Stranger Things? È una delle domande che circola molto in questi giorni, difficile dire quanto il successo di ST4 abbia frenato il declino degli abbonati globali, ma da Netflix si fa notare che il volume di engagement della serie su Twitter è stato nettamente superiore sia quello del diretto concorrente nello streaming che sul campione di incassi al cinema in quelle settimane. È una chart per certi versi “strana” che ci dice della difficoltà (reticenza) di Netflix di pubblicare dati seri al mercato ma, nello stesso tempo, di sottolineare la sua superiorità su tutti i concorrenti.
🔴 Nel frattempo a Wall Street le quotazioni di Netflix hanno fatto risalire un po’ il suo valore di capitalizzazione che però, per il momento, recupera soltanto una minima parte di quanto perso da inizio anno.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il quarantanovesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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👋Prima di salutarci…
➤ Lo spiegato bene, spiegato bene, cosa racconta il format "Spiegato bene" del giornalismo italiano di questi anni? Ho provato a rispondere in questo pezzo per Link.
“Vero, le cose venivano spiegate bene anche prima. Ma da un certo momento in poi si è sentita sempre più forte l’esigenza di ‘spiegoni’ che sapessero rappresentare un approdo (a volte, inevitabilmente, temporaneo) per fare il punto su un argomento che giornali, tg e talk show raccontano – affascinati più dai fuochi d’artificio della polemica che dall’esporre con chiarezza un fatto – attraverso una sfilza di opinioni messe assieme non tanto per dare una ‘pluralità di punti di vista’, ma con l’obiettivo di creare una frattura nel pubblico, invitandolo a schierarsi in fazioni da contrapporre una all’altra con la speranza che tutto questo faccia crescere l’audience. Una girandola di dichiarazioni, controdichiarazioni e contro-controdichiarazioni destinate ad avvitarsi su sé stesse, a far perdere il filo degli elementi principali di un fatto, di una questione, quasi del tutto incomprensibile, nella sua essenza al lettore”.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, note, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 49 - 24 luglio 2022.
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