#Mediastorm 45 – Netflix e la pubblicità
Quanto davvero sarà importante la pubblicità per il futuro di Netflix e quanto davvero sarà importante la sua scesa in campo in questo settore per il futuro della pubblicità?
“Vogliamo essere meglio della TV” ha detto il co-CEO di Netflix Ted Sarandos — “Want I want our product to be is better than TV” — giovedì scorso al Lions di Cannes, uno degli eventi dedicati al mondo della pubblicità più importanti al mondo, dove Netflix partecipava per la prima volta (e dove, ovviamente, la presenza di Sarandos era molto attesa dopo annuncio intenzione di lanciare abbonamenti sostenuti da pubblicità).
E quindi alla fine torniamo sempre lì: al fatto che per Netflix è vitale essere considerata un “oggetto unico” nel panorama dell’industria della televisione e del cinema, nonostante che tutto sembri portarla ad assomigliare sempre più ai suoi concorrenti, a “normalizzarla”.
Il fascino esercitato da Netflix — che gli ha permesso di attrarre oltre 200 milioni di abbonati nel mondo — deve molto al fatto di avere sempre contrapposto la sua semplicità alla complessità dei suoi concorrenti.
Oggi che l’evoluzione delle principali caratteristiche del mercato dello streaming (che però è stata Netflix stessa a generare) la stanno portando a uniformarsi, deve venire a patti con la sua idea di “semplicità” ma, in qualche modo, deve anche dimostrare di saperlo fare con modalità nuove e diverse da tutti gli altri.
Nel 2013 a Netflix, fino ad allora una tech company che si era dimostrata molto brava nel puntare tutto (con un certo azzardo) su una tecnologia emergente come lo streaming e a sviluppare algoritmi di pattern matching, hanno deciso di lanciarsi nella creazione di contenuti, un mondo a loro completamente estraneo nel quale essere “del mestiere” è fondamentale e i concorrenti con i quali doveva confrontarsi, le major di Hollywood, erano lì da novanta e oltre anni.
Con la pubblicità sta accadendo la stessa cosa, entra in un mondo del quale non conosce niente e dove i suoi concorrenti hanno maturato un’esperienza di diverse decine di anni (almeno cinquanta anni i broadcaster, almeno 20 anni chi opera dell’ad-tech).
Gli incontri con soggetti come Google/Alphabet (nessuno incassa quanto loro in advertising), NBCUniversal (gruppo Comcast) e infine Roku (smartTV e hardware per lo streaming) rivelano, vista la varietà di questi interlocutori, che Netflix sta ancora cercando di farsi un quadro completo della situazione: dalla pubblicità digitale basata sui dati (affine all’anima tech di Netflix), a quella più tradizionale e creativa (affine all’altra sua “anima” di produttore di contenuti) fino a quella di chi già si muove nel campo dell’advertising all’interno streaming (dove effettivamente andrà ad operare).
È probabile che, effettivamente, a Netflix in questa fase si pensi ancora quale possa essere il modo migliore per sbarcare nel campo della pubblicità, e di come possa farlo in modo originale, come molti si aspettano da Netflix.
Di sicuro non si tratterà delle classiche interruzioni pubblicitarie, Sarandos lo ha confermato (ma davvero qualcuno ha pensato potessero percorre quella strada, almeno nell’immediato?), oggettivamente sarebbe stato un cambiamento troppo repentino.
Quindi di cosa si parla quando si parla di pubblicità a Netflix? Difficile ancora da dire ma alcuni punti provo a metterli in fila.
🔴 Il punto di convergenza tra i Mad men e Math men?
“Penso che la creatività sia qualcosa che facciamo da 10 anni e siamo stati molto competitivi lì, quindi unire questi mondi e renderlo un’esperienza fantastica sia per il pubblico che per gli inserzionisti.— Ted Sarandos
In questi ultimi anni si è parlato molto di come l’industria della pubblicità si sia trasformata da un “luogo” popolato unicamente da creativi (i mad men) a uno dominato da tecnocrati (i math men) capaci di raccogliere ed elaborare quantità enormi di dati.
I math men sono destinati a far fuori definitivamente i mad men o possiamo pensare, nel prossimo futuro, a una loro (più o meno) felice convivenza? È una delle grandi questioni dibattute in questi ultimi tempi nel campo pubblicitario.
Netflix possiede tutte e due queste “anime”, da una parte gli ingegneri e gli analisti che quotidianamente raccolgono una quantità enorme di dati su qualsiasi cosa facciano gli oltre 200 milioni loro abbonati ma, dall’altra, Netflix è oggi anche il più straordinario polo d’attrazione per talenti creativi al mondo.
Se a Netflix dovessero avere intenzione di unire davvero queste due forze in campo pubblicitario potrebbero davvero disegnare una nuova fase per l’industria dell’advertising.
🔴 Sponsored Things
“Stiamo aggiungendo un livello pubblicitario; non stiamo aggiungendo annunci in Netflix come lo conoscete oggi. Lo facciamo per le persone che dicono: 'Ehi, voglio un prezzo più basso e guarderò gli annunci'". — Ted Sarandos.
Qualche tempo fa P&G (Procter & Gamble) il più grande investitore pubblicitario al mondo, per cercare un’alternativa agli odiosi spot, ha prodotto un mini episodio di due minuti della famosa serie Black-ish con un plot scritto in collaborazione tra lo staff di comunicazione dell’azienda e gli abituali sceneggiatori della serie (nell’episodio uno dei protagonisti viene selezionato per guidare lo sviluppo di una campagna pubblicitaria di P&G).
Qualcuno allora fece notare che “i consumatori potrebbero non essere sempre in grado di determinare quali programmi sono pubblicità e quali sono semplicemente intrattenimento” e il Guardian titolò “Dimentica il product placement: ora gli inserzionisti possono acquistare le sceneggiature”.
Netflix proprio in occasione della recentissima uscita della quarta stagione di Stranger Things ha realizzato in collaborazione con Domino Pizza qualcosa di simile. Il mini episodio con attori e ambientazione di ST4 è stato utilizzato dalla catena di fast-food per promuovere, non su Netflix ma nei canali canali classici, il lancio di una sua nuova app.
Le collaborazioni con i marchi non sono certo una novità per Netflix, già nel 2019, per lo show terza stagione, Netflix ha lavorato con circa 75 marchi diversi su merchandising di Stranger Things e tie-in di prodotti, in occasione della terza stagione (tanto che c’è chi suggerì che la serie si sarebbe dovuta chiamare a quel punto Sponsored Things).
A questo punto però è interessante chiedersi: questi mini-episodi sponsorizzati realizzati con ambientazione, attori e creativi di una serie possono essere il punto di partenza per formati pubblicitari non invasivi e in “armonia” con la visione di un programma su Netflix?
Sì però, puoi pensare a questo formato solo su programmi capaci di attirare sponsor disposti a pagare molto per realizzare progetti simili. Su quanti titoli, oltre a Stranger Things e una manciata di pochi altri, oggi Netflix potrebbe puntare?
🔴 Tre (vecchi) nodi da sciogliere, più uno
A questo punto emergono nuovamente un paio di vecchi nodi da sciogliere per Netflix, sui quali davvero molto si insiste da tempo, che l’ingresso nello streaming sostenuto da pubblicità mette ancora più in evidenza: necessità di creare molte più serie e film “imperdibili” e maggiore capacità di trasformarli in franchise di successo.
C’è poi la questione della condivisione dei dati e delle metriche con il mercato (ne ho parlato spesso), gli investitori pubblicitari hanno bisogno di sapere qualcosa di più (eufemismo) che non quelli forniti da Netflix fino ad oggi. E inoltre: sarà Netflix stessa a “certificarli” quei dati (come fanno Google e Facebook) o permetterà a società terze di farlo (come fanno tutti i grandi broadcaster)? In entrambi i casi sarà una svolta storica per lo streamer.
Un’ultima cosa: se a Netflix saranno così bravi da introdurre formati pubblicitari accattivanti e poco invasivi tanto da rendere le offerte di abbonamento economiche particolarmente attraenti per un grande numero di nuovi abbonati, c’è il concreto rischio di una “grande fuga” dagli abbonamenti premium verso quelli cheap con conseguenze sull’equilibrio dei ricavi totali difficile oggi da valutare (al contrario se le pubblicità saranno avvertite come eccessivamente invasive e fastidiose l’offerta degli abbonamenti economici potrebbe non portare i risultati sperati).
🔢 Un po’ di numeri:
Comscore ha rilevato nel 2022 un aumento 29% degli AVOD negli Stati Uniti, rispetto a un +21% nello stesso periodo per gli SVOD. (via Fierce video).
DeepIntent e LG Ads Solutions hanno rilevato che il 64% degli spettatori TV connesse preferisce vedere le pubblicità piuttosto che pagare di più per un servizio in abbonamento (via Fierce video).
Un rapporto di MoffettNathanson di giugno stima che Disney+ potrebbe generare 1,8 miliardi di dollari di entrate pubblicitarie negli Stati Uniti entro il 2025, mentre il livello supportato dalla pubblicità di Netflix potrebbe portare a 1,2 miliardi di dollari per allora (via Fierce video).
Wells-Fargo ha stimato per il 2025 Netflix a 272 milioni di abbonati globali dei quali 101 milioni, poco più di un terzo, saranno nel livello AVOD, secondo la loro previsione entro il 2025, la combinazione SVOD/AVOD aggiungerà altri 2,3 miliardi di dollari di profitti (via IndiWire).
Esperti del settore stimano valore product placement in Stranger Things tra i 15 e i 25 milioni di dollari (via MarketWatch).
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il quarantacinquesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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📊 Chart, chart, chart
🗞️ 2026: il grande sorpasso, almeno stando ai dati pubblicati nel nuovo rapporto PwC, il 2026 segnerà una data storica quando i ricavi pubblicitari da digitale dovrebbero superare quelli (sempre pubblicitari) da stampa nei giornali statunitensi. (Via Axios Media trends).
🎙️ Podcast fatigue. L'audience media settimanale (negli Stati Uniti) per i podcast è diminuita quest'anno per la prima volta in più di un decennio, secondo Edison Research. È un normale calo di attenzione ciclico oppure è stato raggiunto un vero punto di saturazione? (via newsletter Screentime di Bloomberg).
👋Prima di salutarci…
La pirateria è sempre da condannare, certo, però dietro questa pratica c’è molto spesso un segnale che viene lanciato dalle persone, una richiesta di strutturare il mercato in modo decisamente diverso da come si sta configurando in mancanza di valide alternative (nel mio libro Mediastorm ho dedicato un capitolo a questo tema). E sarebbe decisamente sbagliato non tenerne di conto. Come il famoso meme “distracted boyfriend” adattato allo scenario dello streaming, video in qualche modo, sembra ricordare.
#Mediastorm: una newsletter di appunti e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 45 - 19 giugno 2022.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
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