#Mediastorm 47 – "Concentrati" o diversificati?
In un mondo complesso spesso vince chi fornisce la risposta più semplice, ma nella complessità le risposte (troppo) semplici finiscono pima o poi per invecchiare e risultare di nessuna utilità
Ho chiuso il pezzo di apertura della newsletter della scorsa settimana con una breve nota su acquisizione/fusione di Will Media da parte di Chora Media, sollevando qualche perplessità sull’operazione (operazione definita il 22 giugno scorso).
È molto positivo che due start up editoriali decidano di fondersi per dare forza al loro progetto di crescita, soprattutto perché questo avviene in un panorama, quello dell’industria editoriale italiana, statico fino allo sfinimento in fatto di innovazione. È ancora più positivo che lo facciano due giovani progetti editoriali che puntano molto sulla qualità dei loro contenuti.
I dubbi sull'operazione nascono da una eccessiva specializzazione dei due progetti, si punta tutto su pochi fattori: Chora Media sulla crescita del podcasting (che sì, molto probabilmente vedremo anche in Italia), Will Media sui contenuti da veicolare esclusivamente sui social e in particolare su una piattaforma che oggi raccoglie un pubblico immenso come Instagram, entrambe sul branded content come principale (se non unica) fonte di ricavi.
A molti è venuto naturale ricordare le esperienze di BuzzFeed e Vice Media, oggi impegnate a ricalibrare il loro modello di business che qualche anno fa sembrava destinato a spazzare via la vecchia industria delle news americana e che, invece, poco dopo ha mostrato evidenti limiti.
Il punto è che questi grossi limiti nascono dalle stesse caratteristiche sulle quali BuzzFeed e Vice Media hanno costruito il loro successo nel felice periodo della loro enorme crescita (allora apparentemente) inarrestabile.
Ai mille problemi dell'industria delle notizie, così complessa e (per molti versi) cervellotica nel costruire i propri ricavi, hanno risposto con un modello di business molto semplice: un unico “luogo” dove operare: il digitale (con pressoché un’unica piattaforma utilizzata: Facebook, per quanto riguarda BuzzFeed, YouTube per Vice Media); un’unica fonte di ricavo: la pubblicità; un unico formato pubblicitario: i contenuti sponsorizzati.
Tutto molto bello, però se è vero che in un mondo complesso spesso vince chi fornisce la risposta più semplice, è altrettanto vero che nella complessità le risposte semplici finiscono per invecchiare rapidamente perdendo, dopo un po’ di tempo, molto o del tutto la loro efficacia.
Oggi BuzzFeed sta cercano, in parte, di cambiare strada: ha pubblicato libri cartacei (lo ha fatto anche Will segno che, probabilmente, già si comincia a voler diversificare), adottato altre forme di ricavo come l’e-commerce, sviluppato nuovi format da adattare a diverse piattaforme, anche se un bel po’ di problemi persistono e il suo ridimensionamento sembra ormai strutturale.
Più in generale, è interessante notare come in questi anni alcune media company abbiano fondato il loro successo sul fatto di avere un modello di business concentrato su pochi elementi in modo da dare risposte semplici alle persone (cioè noi) disorientate in quel momento da un'offerta di contenuti complessa e complicata; nel frattempo però molte altre aziende le hanno seguite, imitando il loro modello, cambiando in quel modo nuovamente il mercato.
Gli innovatori si sono così trovati ad essere parte della complessità, che a quel punto chiedeva loro di diversificare (complicare) il loro modello per dare delle risposte efficaci alle persone.
L'esempio più evidente è Netflix: un'unica piattaforma per distribuire i suoi contenuti: lo streaming fornito dal suo sito e la sua app, un unico tipo di ricavi: gli abbonamenti. Oggi però, come stiamo vedendo, a Netflix stanno rivedendo un po’ di cose, si introduce la pubblicità (e si tentano altre strade come il merchandising per diversificare i ricavi), e molti pensano che anche la distribuzione dovrà essere rivista con qualche uscita in più (e meglio organizzata) nei cinema per alcuni dei suoi film.
Per BuzzFeed i veri problemi sono iniziati quando il New York Times (assieme a una manciata di altre grandi testate internazionali) ha capito la lezione e ha saputo fare BuzzFeed meglio di BuzzFeed stesso, adattando però quel modello al proprio contesto e continuando a fare bene il lavoro che lo ha portato ad essere una delle testate giornalistiche più prestigiose al mondo.
A proposito di risposte semplici che il tempo ha dimostrato che non lo erano, un po’ di anni fa (sembra un secolo ma era “soltanto” il 2015), l’esperto di media Mathew Ingram scriveva su Fortune avvertendo che:
“Un numero crescente di editori online tra i quali giganti come BuzzFeed si affidano a Facebook per una parte significativa del loro traffico, in alcuni casi fino al 60%. Per lo più, è una relazione win-win con Facebook che fornisce una quota di entrate pubblicitarie in cambio di materiale coinvolgente. Ma di tanto in tanto, possiamo dare un'occhiata dietro il sipario e vedere quanto questa relazione regali potere a Facebook, e immaginarci le conseguenze se dovesse cambiare idea”.
Sappiamo poi com’è andata. I timori di Ingram erano più che giustificati (quanto inascoltati dia più) così tre anni dopo, nel 2018, Ken Doctor ricordava che:
“Solo un paio di anni fa ci veniva detto che gli editori non avevano più bisogno di un sito web, che potevano semplicemente pubblicare sulle piattaforme”.
La logica go where your audience goes in questi casi ha senso solo se non ci si dimentica nemmeno per un istante che i luoghi dove è andato il nostro pubblico è di un proprietario privato che decide le regole, che “possiede” le relazioni che si creano lì per trasformarle in dati che fornisce come e quando vuole.
In questo senso trovo molto interessante quello che è riuscito a fare Il Post: si è connesso con i lettori grazie a un’idea fortemente identitaria, basata su un modo di fare informazione e su questo ha stretto un patto di fiducia con loro. Successivamente ha diversificato il suo modello introducendo gli abbonamenti pur lasciando i suoi contenuti accessibili a tutti (continuando anche a realizzare contenuti sponsorizzati, pubblicare banner sulle proprie pagine).
Gli abbonati sono a quel punto dei sostenitori (con accesso esclusivo a qualche feature “premium”), che scelgono di dare il loro contributo economico perché sentono che è importante farlo, e questo a prescindere dal fatto che del Post si legga un articolo sul suo sito o app, si ascolti su Spotify un podcast da loro prodotto, si legga una notizia sul loro account di Instagram o il loro libro/rivista acquistato in libreria.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il quarantasettesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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📰 Cose da leggere (su media e disruption digitale)
➤ Sul futuro dell’ascolto. Podcast e audiolibri, oralità o trionfo della scrittura?/ Giuseppe Vignanello / Singola — No, non viviamo nell’era delle immagini. Il fatto che siano dappertutto non è sufficiente a connotare per intero il nostro tempo. Per esempio, non abbiamo mai letto quanto leggiamo adesso, e questo dato da solo dovrebbe bastare a smentire la tesi del predominio assoluto dell’immagine. Nonostante ciò, non viviamo neanche nell’era delle parole scritte. Sarebbe assurdo pensarlo, anche a causa di quello stesso mare di immagini in cui siamo immersi. Viviamo nel tempo della transmedialità, nel nome della quale forme comunicative differenti si mischiano e si intrecciano. Più che un medium specifico, a bombardarci è un assemblaggio promiscuo di modalità espressive.🏷️
➤ Obi-Wan Kenobi, un fallimento che è anche colpa nostra/Jacopo Bulgarini d'Elci / Mondoserie — Emerge il sospetto di un’operazione di un cinismo raro. Mettere in campo un asset potente del franchise per conquistare una volta per tutte la legittimazione all’operazione di espansione seriale dell’universo Star Wars che Disney sta facendo ormai da anni. Approfittando del pubblico. O meglio della sua esagerata, ormai smodata disponibilità. Non è una mera questione di gusti, ed è un problema enorme. Perché un pubblico troppo di bocca buona, disposto a perdonare qualsiasi cialtroneria di sceneggiatura e a ingoiare qualsivoglia contraddizione per il brivido momentaneo di un duello laser tra i due vecchi amici-nemici, è il peggior nemico di sé stesso. Sta dando carta bianca agli studios. 🏷️
➤ Un giorno in pretura su TikTok/ Laura Fontana / Link — Si dice che su internet ogni utente oscilli come un pendolo tra due stadi: indifferenza e ossessione. Come mezzo mondo connesso si sia ritrovato ossessionato dal processo per diffamazione tra Amber Heard e Johnny Depp non è difficile da capire, trattandosi di un dramma perfetto con protagonisti due divi di Hollywood e uno svolgimento con aderenza adamantina allo schema di Propp. L’estrema pervasività dei contenuti online sul processo Depp-Heard ci dice molto poco sul caso in sé o sul tema degli abusi domestici. Invece, dice moltissimo su cosa sono oggi le piattaforme e, di conseguenza, la società iper-connessa: un sistema dove l’intrattenimento – non l’informazione – è lo scopo primario, e vince chi domina i trending topic. 🏷️
➤ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
📊 Chart, chart, chart!
🔄 Chi sta approfittando delle disiscrizioni a Netflix? Il churn rate di Netflix sta aumentando rispetto al passato: altri servizi SVOD ne stanno beneficiando? Secondo Antenna nel 2019, quasi la metà di coloro che si erano cancellati da Netflix, passando a un nuovo servizio, aveva scelto Disney+ (lanciato nel novembre di quell’anno). Nel primo trimestre del 2022, Disney+ ha rappresentato solo il 16% di questa tipologia di switch, dimostrando la maggiore frammentazione del mercato streaming.
⛰️ Però, sugli abbonamenti a Netflix c’è da tenere conto dell’effetto Stranger Things 4: notare il picco, sempre secondo rilevazioni di Antenna.
👋Prima di salutarci…
Doppiaggi Italioti è un blog che mette in risalto vizi e vezzi delle traduzioni cinematografiche italiane con effetti spesso molto divertenti, al suo interno troviamo la rubrica Titoli Italioti dedicata, appunto, alle fantasiose traduzioni di titoli stranieri. Oltre all’effetto esilarante emerge anche una certa “cultura” distributiva che non si ferma di fronte a niente nel tentativo di reiterare il successo di un film, come accaduto negli anni Novanta, con “Week end con il morto”.
#Mediastorm: una newsletter di appunti e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 47 - 10 luglio 2022.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].