#Mediastorm 20 – Quotidiani italiani quanto pesa il declino della carta?
Qualche dato e brevi riflessioni su ultimi dati Ads
In settimana sono stati pubblicati da Ads (la società che certifica vendite e diffusione dei giornali italiani) i dati relativi al mese di settembre, in particolare quelli relativi alle vendite dei quotidiani in edicola, puntualmente riportati e classificati in un grafico da Prima comunicazione che li mette a confronto con quelli del medesimo mese dell’anno precedente. Sono dati che suscitano sempre una certa eco in rete nei vari social, questa settimana forse anche con maggior enfasi (i quotidiani difficilmente le riportano se non per sottolineare qualche segno più della loro testata, cosa molto rara oggi),
Il declino delle vendite in edicola dei quotidiani italiani è la prova provata, in questi commenti, che il giornalismo sta morendo, che i “giornali non li legge più nessuno”, che i giornalisti resteranno tutti disoccupati; il tutto con varie sfumature che vanno dalla piena soddisfazione che tutto ciò accada, all’amarezza e disincanto di molti addetti ai lavori.
La quasi totalità di queste analisi lega, indissolubilmente, il futuro dei giornali a quello della loro versione cartacea, considerando il digitale un buco nell’acqua per gli editori, incapace di riequilibrare le perdite, se non addirittura di peggiorare la situazione. Ma è davvero così?
Benvenuta, benvenuto io sono Lelio Simi e questo è il ventesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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Il contesto generale (in Italia). Se guardiamo ai dati Ads e allarghiamo la finestra agli ultimi cinque anni vediamo che nel 2017 il volume complessivo di vendita di tutti le testate quotidiane censite sommavano– tra edicola, abbonamenti cartacei e copie digitali– nei primi nove mesi dell’anno, 2,45 milioni di copie nel giorno medio, nel 2019 il volume dell’aggregato era già sceso a poco più di 2 milioni di copie vendute (2,08) mentre nel 2021 il volume di vendita si ferma a 1,64 milioni di copie, una flessione del 33% considerando il periodo 2017-2021.
Le vendite in edicola, nel medesimo periodo (sto ovviamente parlando ancora dei primi nove mesi dell’anno e dell’aggregato di tutti i quotidiani censiti da Ads), sono passate da 2,04 milioni a 1,31 milioni di copie, una flessione del 36%, mentre il volume del venduto delle copie digitali è rimasto dentro una forbice ristrettissima 200mila copie del 2017 alle 210mila copie del 2021 (oltretutto con piccole flessioni in mezzo a questi due anni).
Insomma a fronte di una flessione delle vendite in edicola nei cinque anni di 725mila copie nel giorno medio le copie digitali hanno risposto con un incremento di venduto pari a 13mila copie, “coprendo” l’1,8% della flessione subita in edicola.
Semmai le copie digitali sono riuscite a riequilibrare un po’ le perdite da abbonamenti cartacei in continuo declino, ma che mai hanno significato una voce di entrata significativa (tranne qualche eccezione) per i quotidiani italiani (intorno al 10% complessivamente per le vendite copie cartacee).
Certo, le copie digitali non sono “il” digitale (ma comunque sono un buon indicatore degli abbonamenti digitali visto che la maggior parte dei quotidiani non le vende in singole copie); molto peso ha il sito web che in questi anni gli editori, anche in Italia, hanno cercato di valorizzare con continui restyling per adattarlo all’ascesa degli smartphone. Con quali risultati?
Una risposta, parziale, ce la può indicare Rcs che questa settimana ha pubblicato il resoconto di bilancio del terzo trimestre, il principale editore italiano con le sue due corazzate Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport. Nei primi nove mesi del 2021 il peso percentuale sui ricavi totali del digitale è del 23%, secondo i dati riportati dell’editore; nel 2015 questo peso percentuale era del 15%, c’è stato quindi un aumento di otto punti percentuali.
C'è da dire però che negli anni i ricavi da digitale in Rcs sono rimasti al palo – 112,2 milioni nel 2018, 115,8 nel 2019, flettendo a 108,6 nel 2020 l'anno dei lockdown – l'aumento costante del loro peso percentuale sui ricavi totali del gruppo era quindi dovuto alla flessione di questi ultimi. In questa ultima trimestrale i ricavi dei primi nove mesi sono in crescita riportandosi (quasi) ai livelli pre-covid19, con un incremento sul 2020 di 113 milioni, "coperti" per un 23% (quasi un quarto quindi) dall'incremento dei ricavi digitali. Prendiamolo comunque come un segnale positivo.
Rcs sta puntando molto su membership digitale: sono 346mila gli abbonamenti (digital edition, membership e m-site) del Corriere della Sera, dicono ancora da Rcs, omettendo però quanto questi abbonamenti si traducono concretamente in entrate.
Il futuro dei giornali è legato al futuro della loro versione cartacea? Se guardiamo importanti esperienze all’estero la risposta è decisamente no. Dal New York Times (case history citatissima, lo so) che anche nell’ultimo resoconto di bilancio attesta un superamento dei ricavi da digitale su quelli cartacei, al Financial Times che da zero, in pochi anni, ha raggiunto (nel 2020) il milione di abbonati digitali; e ancora il Guardian o il Washington Post, dove oltre 300 ingegneri lavora fianco a fianco con i giornalisti della redazione.
Tutte queste esperienze, appunto, sono caratterizzate da una forte e decisa integrazione di personale tecnico (analisti, ingegneri informatici) con i giornalisti della redazione, ed è qui che si gioca la vera partita per il futuro dei giornali, in questo cambiamento culturale che all’estero, nelle esperienze migliori, è già cosa fatta mentre da noi stenta (eufemismo) a decollare.
[Nota: mi rendo conto che argomento merita qualche altro approfondimento, ho risposto solo parzialmente a domanda del titolo, ci tornerò a breve intanto ricordo che un po’ di dati su industria dei quotidiani in Italia li ho pubblicati in questa newsletter in tre puntate le trovate qui: prima parte, seconda e terza].
📑 Tre storie da leggere (su media e disruption digitale)
1️⃣ Tra il 2015 e il 2016 arrivavano al cinema Lo chiamavano Jeeg Robot, Veloce come il vento, Non essere cattivo e Suburra: quattro film particolari, che hanno rilanciato il genere e che sono stati in grado di riportare una parte di pubblico in sala. Disney e Marvel hanno mostrato chiaramente una cosa: il pubblico va al cinema se è convinto, se sa di potersi fidare; se c’è un brand conosciuto e riconosciuto. In Italia siamo riusciti a fare una cosa simile? Il genere, così tanto apprezzato e ricercato, ha avuto il suo spazio? Per molto tempo la colpa della crisi delle sale è stata data allo streaming, ma i cinema, intesi come strutture fisiche, la promozione e anche il processo di selezione di nuovi progetti – è rimasto perfettamente identico. Siamo in un nuovo mondo, ma abbiamo la stessa mentalità dell’inizio degli anni 2000.
Esiste il nuovo cinema italiano?
Se lo è chiesto Gianmaria Tammaro e le risposte sono molto interessanti su The Italian Review (tempo lettura 13 minuti).
2️⃣ Le cose cambiano, sempre e per tutti. Pensiamo al fumetto. Quali sono le major che dominano, oggi, l’editoria di fumetto internazionale? E poi pensiamo al futuro tra dieci anni e oltre: saranno le stesse? Oggi i lettori e i media tendono ad attribuire l’etichetta di major del fumetto alle americane Marvel Comics (che in dieci anni ha portato quasi 20 miliardi di dollari nelle casse di Walt Disney Company) e DC Comics e, quando sono in grado di orientarsi nel mondo dei manga, alle giapponesi Shueisha e Kodansha. Aziende che fatturano alcune centinaia di milioni di dollari l’anno, i cui prodotti sono noti e diffusi in quasi ogni angolo del pianeta.
Le nuove major del fumetto saranno le aziende coreane di webtoon?
Articolo documentatissimo e ricco di dati di Matteo Stefanelli per Fumettologica (tempo lettura 15 minuti).
3️⃣ “Abbiamo iniziato a scrivere i primi siti web come si scrivevano i cataloghi aziendali, senza riflettere più di tanto sulle nuove dinamiche che stavano prendendo forma tra parole, immagini e gli utenti al di là dei monitor. Questi ultimi soprattutto guadagnavano una permeabilità diversa rispetto agli spettatori dietro gli schermi e i media della pubblicità tradizionale. Prima che il secolo scorso voltasse pagina tra i fantasmi del millennium bug, internet era ancora sotto la linea, i social network erano lontani e le nostre pagine web erano poco più che pdf interattivi. La velocità della connessione impediva di arricchire le esperienze digitali con video, file multimediali e altre forme d’interazione, quindi la scrittura di questi oggetti finì sulla mia scrivania e non su quelle dei piani alti”.
Internet mi ha salvato la vita
Lo splendido racconto di trenta anni di carriera di Paolo Iabichino su Medium (tempo lettura 21 minuti).
🆕 Una cosa che ho scritto
Chi segue questa newsletter da un po’ forse si ricorderà che ho dedicato una mia nota al problema di trovare metriche adeguate per capire i media di oggi, su Link ne parlo in modo più esteso e approfondito.
Non abbiamo più metriche per capire i media
Senza che ce ne accorgessimo il digitale, dove tutto può essere misurato, ci ha portato nell’era della infinita precarietà dei dati. Dove è difficile, se non impossibile, trovare misure adatte e condivise.
📈 Chart, chart, chart
Come si suddivide la torta dei ricavi globali del botteghino cinematografico? La Cina adesso è il principale mercato (34%) avendo superato gli Stati Uniti (qui indicati come “domestic” assieme al Canada) fermi a 22%, Gower Street società londinese di analytics su industria cinematografica ha alzato la sua stima di fine anno per il Global Box Office nel 2021 a 21,6 miliardi di dollari, rispetto ai 20,2 miliardi di una sua stima precedente, prevedendo un potenziale ulteriore rialzo che porterebbe il 2021 a chiudersi intorno ai 22 miliardi di dollari a livello globale. È sparita l’Italia che nelle precedenti stime veniva accreditata per un 2%.
Intanto sembra proprio che Disney+ stia rallentando la sua crescita, con l’ingresso di sempre nuovi concorrenti e la saturazione del mercato statunitense la guerra dello streaming si fa sempre più dura, vero Topolino?…
…anche per questo che, secondo Statista, Netflix guarda al mercato dei video games.
👋Prima di salutarci…
Musica su Internet l’ultima rivoluzione - Si chiama mp3 e spazzerà via cd e cassette. “Il futuro della musica passa per Internet. Tra qualche tempo, non molto, forse alcuni mesi, non sarà più necessario andare in un negozio di dischi per acquistare l'ultimo lavoro dei Backstreet Boys, o di Eric Clapton, di Vasco Rossi o Jovanotti”. Repubblica del 7 giugno 1999, fantastico ritaglio condiviso su su Twitter da @Frank201410.
#Mediastorm: una newsletter sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 20 - 14 novembre 2021.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online:
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].