#Mediastorm 04 - Stiamo sovrastimando la portata di Netflix e dello streaming?
Secondo Nielsen negli Stati Uniti la TV tradizionale pesa ancora per due terzi dello screentime e Netflix "solo" il 6%, ma ci sono alcune considerazioni importanti da fare su quei numeri
Dedico ancora una volta l’apertura di questa newsletter a Netflix come ho fatto già la scorsa settimana, ma ci sono un paio di dati che ha valore mettere in evidenza per capire meglio come si stanno configurando le cosiddette guerre dello streaming.
Lo scorso 17 giugno la Nielsen (che da decenni ha praticamente il monopolio della certificazione dell’audience televisiva negli Stati Uniti) ha annunciato l’avvio di un nuovo sistema di misurazione The Gauge che promette di tenere (finalmente!) conto della nuova realtà dello streaming video calibrando i dati anche sui nuovi protagonisti di questo mercato, i cosiddetti OTT, come YouTube, Amazon (Prime video) e Netflix fino alle nuove piattaforme come Disney+ lanciata a fine 2019.
Benvenuta, benvenuto io sono Lelio Simi e questo è il quarto numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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Una società terza che certifica dati relativi alle audience, in questo caso gli spettatori televisivi, delle big tech è una mezza rivoluzione perché queste aziende da sempre sono molto restie (per usare un eufemismo) a rilasciare dati completi e articolati; di Netflix, ad esempio, in fatto di audience sappiamo il numero di abbonati per grandi aree geografiche e poco altro (sì, di recente alcuni dati sono stati forniti dall’azienda ma sempre però in modo parziale e relativamente ad alcune sue produzioni, giusto per sottolinearne il successo).
Un altro punto importante è che finalmente i dati relativi allo streaming sono contestualizzati nella cornice più ampia di tutte le famiglie che possiedono un qualsiasi televisore. Come ha tenuto a precisare un paio di giorni fa la stessa Nielsen:
«Monitorare la crescita del consumo di streaming e visualizzarlo insieme ad altri utilizzi TV è fondamentale poiché studi, reti, inserzionisti, agenzie e gruppi del settore cercano chiarezza sui vari contenuti video con cui i consumatori interagiscono».
I primi dati relativi a maggio (che verranno aggiornati mensilmente) dicono che negli Stati Uniti la TV lineare (antenna e cavo) vale ancora il 64% dello screentime – il tempo complessivo dedicato alla visione di programmi televisivi – mentre allo streaming va il restante 26%.
Tuttavia la quota dello streaming sta aumentando rapidamente. Nel 2019 era il 14% e nel 2020 è salita al 20%, dalla Nielsen si stima che questa quota dovrebbe raggiungere circa il 33% entro la fine di quest’anno.
Per quanto riguarda gli streamer la loro quota parte sul totale dello screentime americano è così suddivisa:
Netflix 6%
YouTube 6%
Hulu (che è di proprietà della Disney) 3%
Amazon Prime video 2%
Disney+ 1%
Altro 8%
Netflix, secondo queste rilevazioni, quindi pesa per un 6% sul totale del tempo medio speso davanti allo schermo dalle famiglie americane. Un dato che a molti è apparso sorprendente (o potenzialmente sorprendente):
«Cercherò di scioccarti con alcuni numeri. Mostrano che potremmo avere una visione distorta della popolarità di alcune nostre abitudini, ma anche che piccoli cambiamenti nel nostro comportamento collettivo possono avere enormi effetti a catena» ha scritto nella sua newsletter la giornalista del New York Times Shira Ovide portando come primo esempio proprio i dati rilevati con il sistema Gauge della Nielsen.
D’altronde da anni si parla di Netflix come dell’azienda che sta mangiandosi l’intera industria televisiva e cinematografica e poi, alle prime misurazioni, si è di fronte, appunto, a uno “striminzito” 6%.
Stiamo quindi sovrastimando la reale portata della big tech di Los Gatos e, più in generale, di tutto lo streaming? La risposta, la dico subito, è no. Ci sono un paio di cose fondamentali da precisare:
La prima, molto importante, è che i dati della Nielsen per quanto innovativi tengono conto soltanto dell’audience di fronte ai televisori, quello screentime non valuta il mobile, lo schermo dei telefonini e dei tablet e nemmeno quello dei laptop. Non un particolare da poco. All’interno dell’audience televisiva complessiva Nielsen tiene conto sia degli apparecchi tradizionali sia di quelli che oggi possono essere connessi a Internet, in particolare gli smart TV , in grande crescita e sicuramente destinati a diventare lo standard nelle case americane (e non solo in quelle, certo) ma che ancora, lo standard, non lo sono.
Proprio quest’ultimo punto ci fa capire un’altra cosa importante all’interno delle guerre dello streaming. Reed Hastings il padre-padrone di Netflix si è sempre opposto e ha disconosciuto i precedenti tentativi di Nielsen di misurare e certificare l’audience di Netflix e degli altri steamers come “poco rilevanti” o “non affidabili” alzando ancora una volta un muro tra la sua aziende e qualsiasi rilevazione terza. Questa volta però no, Gauge per adesso gode della sua benedizione, accettando per la prima volta una misurazione fatta da altri, seppure molto parziale, della sua attività. Perché questa svolta, per molti versi, epocale?
Una ragione è che, appunto, i nuovi sistema di rilevamento nonostante quel apparentemente “misero” 6% ci dicono che con il crescere della diffusione delle nuove generazioni di televisori connessi a Internet anche il tempo speso dalle persone su Netflix è potenzialmente destinato a crescere notevolmente (a livello globale il mercato degli smart TV è stimato in crescita del 16,52% l’anno da qui al 2026); tutto questo ha particolare importanza per Netflix in riferimento al mercato americano, nel quale molti giudicano abbia raggiunto il punto di saturazione (74,38 milioni di abbonati paganti nel Nord America nel primo trimestre 2021).
Queste stime potrebbero invece dire che esistono ancora potenziali grandi margini di crescita, almeno nella metrica del tempo speso per utente che, da sempre, ha grande rilevanza per Netflix.
Uno dei ribaltamenti di paradigma imposti dal colosso dello streaming è quello di aver posto al centro delle proprie metriche non tanto il numero di spettatori per singolo film ma, al contrario, il numero di film e serie TV vista dal singolo abbonato.
In questo senso la nuova classifica stilata da Nielsen tra le piattaforme online dice che Netflix assieme a YouTube è comunque leader di quel segmento di mercato e ha in mano quasi un quarto del tempo speso nello streaming consumato davanti allo schermo del televisore.
Non una cosa da poco al momento che crescono i contendenti, mostrare il reale rapporto di forze diventa fondamentale. Non a caso proprio Hastings ha twittato un invito alla Nielsen di includere nel suo nuovo panel di certificazione anche HBO Max (di cui Jason Kilar – al quale Hastings si rivolge nel Tweet – è il massimo dirigente), la piattaforma streaming del colosso Warner Media-Discovery .
C’è però un secondo aspetto da tenere presente di fronte a questi dati ovvero che la guerra dello streaming è oggi globalizzata e lo sarà sempre di più, il mercato del Nord America potrà essere ancora quello più ricco ma il fronte di questa competizione non è mai stato così ampio, niente a che vedere con quello della vecchia industria televisiva e cinematografica. Non a caso Disney+ ha quasi regalato i suoi abbonamenti in India per conquistare quel mercato e aumentare la base dei suoi abbonati più rapidamente per potersi confrontare proprio con Netflix.
Mai come oggi produzioni realizzate fuori dagli Stati Uniti (e paesi anglofoni) stanno raggiungendo un successo globale, dalla Casa di carta a Dark, grazie anche alla simultanea distribuzione a livello mondiale e all’attenzione che le piattaforme devono dedicare ai singoli mercati nazionali (gli abbonati non statunitensi pesano a livello di fatturato nell’ultimo bilancio trimestrale di Netflix per un 56%). Per quanto importante quello americano non è il baricentro di tutto come per i grandi Broadcaster o gli studios, la sfida è molto più ampia. Molto più complicata. Questo per l’industria televisiva e cinematografica è una novità con la quale tutti devono imparare a misurarsi.
Proprio per questo il fatto che per la prima volta Netflix accetti di non essere l’unica fonte a fornire dati sulle sue attività (anche se, lo ripeto, in modo parziale e cervellotico) è molto importante, soprattutto se questo può aprire la possibilità di essere replicato in altri paesi per avere qualche elemento condiviso in più per capire reale dimensione del mercato globale.
Nota: una buona sintesi (in Italiano) del sistema di monitoraggio realizzato da Nielsen con Gauge la trovate qui.
📉 Chart della settimana
Proseguo il viaggio intorno all’industria italiana dei quotidiani, questa volta ho preparato questa infografica relativa alle vendite – in numero di copie medie sia cartacee che digitali – di Repubblica da gennaio 2016 ad aprile 2021 (gli ultimi dati disponibili ad oggi), visto che una delle caratteristiche nella gestione di Repubblica in questi ultimi anni è rappresentata dai continui cambi alla direzione del giornale – e più di uno ha indicato una delle ragioni di questi cambi al vertice proprio la necessità di arginare il declino delle vendite – mi è sembrato interessante darne evidenza, indicando anche il corrispondente periodo di “reggenza” degli ultimi tre.
Ho indicato anche (ad inizio e fine del periodo di reggenza) il peso percentuale di Repubblica sul volume totale di copie venduto dall’aggregato di tutte le testate quotidiane censite da ADS per dare un parametro relativo al contesto generale nel quale si è dovuto operare nei diversi periodi; come si vede nonostante la drammatica flessione il peso di Repubblica sul totale del comparto resta pressoché invariato contenuto in un range strettissimo tra 8 e 9%.
Una precisazione metodologica: come forse saprete, da gennaio 2021 ADS ha cambiato il suo regolamento e le modalità nel suddividere i dati forniti e certificati, non esiste più come prima la voce "totale vendita carta + digitale", ho quindi cercato di mantenere coerenti con gli altri i dati che vanno da gennaio ad aprile 2021 sommando le nuove voci relative a "vendite individuali cartacee", "Abbonamenti individuali cartacee pagati", "vendita copie digitali individuali - superiori o uguali al 30% prezzo copertina" e "vendite multiple digitali superiori o uguali al 30% prezzo copertina".
📺 Appuntamenti
Lo scorso mercoledì ho chiacchierato intorno ai temi legati al mio libro #Mediastorm - il nuovo ordine mondiale dei media con Stefano Saladino e Martina Cogliati di Rinascita digitale, qui se ne avete voglia potete vedere il video su YouTube:
#Mediastorm: una newsletter sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 04 - 26 giugno 2021.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui trovi la sua scheda, lo puoi trovare anche su principali store online Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli.
→ Se sei interessato a seguirmi qui il mio account Twitter e su Medium, qui invece il mio portfolio.
→ Per collaborazioni e contatti professionali qui mio profilo Linkedin.
→ Se hai appunti, suggerimenti o correzioni da suggerirmi puoi scrivermi qui: leliosimi@substack.com
→ L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato.