#Mediastorm 78 – Super aggregazione vs. super frammentazione
La comodità di trovare "tutto in un unico luogo" e un sano pluralismo nell'offerta di contenuti possono trovare una sintesi utile?
“Tutto la tua TV in unico posto”, “Le tue app di streaming preferite in un’esperienza di navigazione semplificata”, “niente più passaggi da una app all’altra”, sono i claim di servizi come Google TV, Stream di Sky, Amazon Fire TV o Roku (non tutti ad oggi attivi anche in Italia) che promettono di aggregare più fonti TV e video online. Dicono una cosa abbastanza ovvia ma che va presa in serie considerazione: l’estrema frammentazione dell’offerta di contenuti in streaming (video, ma non solo) ha raggiunto un punto limite nell’usabilità da parte degli utenti.
Non è una cosa nuova, se ne parla da circa un decennio. Non è nemmeno una cosa semplice da realizzare perché presenta vari nodi da sciogliere che toccano alcuni punti fermi, fino ad oggi, dell’industria dello streaming e, per questo, con alcuni dei maggiori attori indecisi se aderire (solo ad alcuni o a nessuno) a questi servizi.
“La cosiddetta super-aggregazione si sta dimostrando più facile a dirsi che a farsi” scriveva la società di consulenza Omdia in una analisi molto interessante di un po' di tempo fa (fine 2021).
Da allora però alcune cose stanno cambiando come ha fatto notare, molto più di recente, Midia Research un’altra società di analisi specializzata nell’industria dei media:
I super aggregatori si stanno posizionando come gatekeeper dell’esperienza di streaming rendendo sempre più difficile per i servizi sostenuti da abbonamenti a pagamento (SVOD) mantenere gli spettatori confinati all'interno delle loro app. Questo perché stanno migliorando notevolmente l'esperienza utente della TV in streaming facilitando la scoperta dei contenuti su più servizi.
Ad esempio Stream, il nuovo servizio TV basato su Internet di Sky utilizza la ricerca vocale attraverso il telecomando per individuare uno spettacolo su più servizi TV in streaming consentono agli utenti di spostarsi senza problemi tra gli spettacoli che desiderano guardare senza cambiare applicazione. Questa esperienza è distante solo un millimetro da quella che fa normalmente un abbonato nel passare da uno titolo all’altro all’interno di un unico servizio a pagamento.
Una breve precisazione: i super aggregatori non sono esattamente un ritorno ai vecchi bundle delle TV via cavo o satellitare, devi comunque pagare l’abbonamento a Netflix, Disney+ o gli altri SVOD per accedere ai loro cataloghi.
Giardini (un po’ meno) recintati?
L’elemento principale della rivoluzione attuata da Netflix è stato il totale cambiamento di paradigma della vecchia industria del cinema e della TV lineare: invece di ottimizzare i singoli spettacoli per massimizzare il numero di spettatori, Netflix ha sfruttato, al contrario, il suo immenso catalogo multimediale per ottimizzare i film guardati per singolo utente.
Questo ha permesso a Netflix di rimanere concentrata su come coinvolgere meglio gli spettatori facendo di tutto per incrementare la metrica dei ‘film visti’ da un singolo utente attraverso iniziative chiave sui suoi prodotti come l'algoritmo di raccomandazione CineMatch.
Il paradigma del “giardino recintato” è ancora oggi un caposaldo nel mercato dello streaming non solo per Netflix ma anche per gli altri concorrenti che stanno affollando un mercato sempre più competitivo nel quale si è scelto di puntare sull'esclusività dell'offerta dei contenuti come elemento chiave per mantenere più tempo possibile gli utenti all’interno delle singole piattaforme.
Ma oggi i super aggregatori di nuova generazione cominciano a mettere in discussione tutto questo permettendo agli spettatori di entrare e uscire, con molta più semplicità, da una app all'altra.
Non è un elemento di poco conto in un mercato che tende alla saturazione per quanto riguarda il numero delle subscription (il vero motore fino a ieri per guidare la straordinaria crescita sul mercato finanziario) molto oggi, e in futuro, si deve giocare sulla qualità del coinvolgimento degli utenti.
Un’ulteriore frammentazione: la crescita dei “FAST”
Non solo: molte di questi nuovi super aggregatori ospitano anche servizi FAST (Free Ad Supported Streamings) che offrono contenuti gratuitamente all’unico costo per gli utenti di sorbirsi un po’ di pubblicità.
Sono piattaforme che stanno complessivamente guadagnandosi nuovi utenti e crescenti fette di mercato (e no, non offrono solo vecchi fondi di magazzino e serie TV semisconosciute come spiega bene Vox in questo recente articolo). Rispetto al passato, infatti, gli aggregatori hanno aumentato enormemente il numero di piattaforme FAST al loro interno: Google TV ad esempio ne ha più di 800.
È facile immaginare che questa convivenza — fianco a fianco — in un’unica schermata o a portata di telecomando tra servizi gratuiti e a pagamento possa invogliare gli utenti a usufruire dei primi aumentando la concorrenza e la pressione sui servizi premium, nei quali gli utenti sentiranno la necessità di investire soldi solo se realmente ne vale la pena.
Questo in pratica vuol dire come hanno fatto notare ancora a Media Research che piattaforme come Netflix, Disney+ o Paramount+ devono dimostrare valore aggiunto creando esperienze ricche e diversificate attorno alle loro proprietà intellettuali di maggior successo per massimizzare le fandom. In caso contrario, il potere si sposterà nelle mani dei super aggregatori.
Perché la caratteristica chiave degli aggregatori è che — ricordava tempo fa Ben Thompson nella sua newsletter — possiedono la relazione con l'utente: “Fondamentalmente, l'utente sceglie questa relazione perché l'aggregatore offre un servizio superiore”.
E in futuro il mercato dello streaming vivrà sempre più nella tensione tra la comodità per gli utenti (cioè noi) di "trovare tutto in un unico posto", e la necessità di usufruire di una offerta varia e “plurale” non in mano ad un unico soggetto che detta le regole. Gli streamer dovranno cercare una sintesi, perché inevitabilmente le persone saranno attratte da chi offre loro più scelta possibile con l’esperienza utente con minore attrito.
Una nuova fase delle guerre dello streaming?
Forse, ma direi che da tempo si gioca nel campo molto più ampio della guerra dell’attenzione dove sono della partita molti più soggetti e si gioca su molti campi.
Semmai, almeno per il momento, anche le big tech devono mettere da parte la logica di una competizione che ha come ultimo obiettivo il “chi vince si prende l’intero banco”, che è stata alla base di (almeno) questi ultimi venti anni per le aziende nate nella cultura della Silicon Valley. E questo sì è davvero un cambio di paradigma.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il settantottesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando/trasformerà l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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📊 Chart, chart, chart!
📱 Il traffico di referral di Facebook è crollato per gli editori di notizie a causa del continuo allontanamento di Meta dall'industria delle notizie. Per i 1.350 editori globali inclusi nei dati di Chartbeat, il 27% delle visualizzazioni di pagina provenienti da esterni, ricerca e social nel gennaio 2018 proveniva da Facebook (2 miliardi di visualizzazioni di pagina). Nell'aprile 2023, questo è sceso all'11% (1,5 miliardi) (via PressGazette).
📺 L'on-demand rappresenta il 13% dei ricavi totali del settore audiovisivo europeo. I ricavi on-demand sono triplicati tra il 2017 e il 2021 (via European Audiovisual Observatory).
🎞️ Il Marvel Cinematic Universe (MCU) è il franchise cinematografico con il maggior incasso di tutti i tempi. Le uscite della Marvel fino ad oggi (incluso Gunn's Guardians 3) hanno incassato 29,3 miliardi di dollari, sebbene questo non sia ovviamente tutto profitto, fa sembrare l'acquisizione di 4 miliardi di dollari della Disney nel 2009 un colpo da maestro (via Chartr)
🧮 Numeri notevoli
39,3% è la quota di persone dai 6 anni in su che nel 2022 in Italia secondo Istat hanno letto almeno un libro per motivi non strettamente scolastici o professionali (erano il 40,8% nel 2021). Questa percentuale è così composta per frequenza lettura: 17,4% lettori “deboli” (leggono al massimo 3 libri in un anno), 15,4% lettori “medi” (3-11 libri in un anno), 6,4% lettori “forti” (almeno 12 libri nell’ultimo anno). La quota maggiore di lettori si osserva tra i giovani fino a 24 anni, con punte più elevate tra gli 11 e i 14 (57,1%). In assoluto, il pubblico più affezionato alla lettura è rappresentato dalle ragazze di 11-14 anni, tra le quali più di 6 su 10 hanno letto almeno un libro nell’anno.
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👓 Cose da leggere
Il futuro imprevedibile dell’industria musicale. Siamo ancora lontani dal capire le ramificazioni di avere tutto a portata di clic. In ogni caso, però, la musica sopravviverà. Dopotutto, c’era un sacco di musica anche prima che Caruso vendesse un milione di copie nel 1903. Se l’industria musicale è durata appena un secolo, pazienza. In fin dei conti fare musica tocca ancora ai musicisti (→ Ethan Iverson, The Nation, tradotto da Internazionale)
Plagio o ispirazione? Dopo un po’ che si indossano gli occhiali non ci si accorge di averli sul naso, perché il cervello considera l’informazione inutile. La vita d’altronde è faticosa e richiede il massimo del risparmio energetico, motivo per cui non amiamo mettere in discussione schemi comportamentali acquisiti. È il caso degli occhiali, ma anche quello del diritto d’autore, una serie di norme che vengono spesso date per scontate (→ Francesco D’Isa, The Italian Review).
Quantificare il remake. Analogamente ai sequel, prequel, reboot e spin-off, i remake sono stati spesso identificati come esponenti della contemporanea cultura del riuso, evidenti manifestazioni della crisi creativa di Hollywood e della sua incapacità di prendersi qualsivoglia azzardo commerciale. Un lungo saggio che analizza e interpreta i metadati disponibili relativi a 986 remake hollywoodiani prodotti tra il 1915 e il 2020 (→ Lo Specchio Scuro).
Quando a dire addio a Twitter&co sono (anche) i giornali. Le piattaforme cambiano per motivi di business, modelli e scenari di mercato. "Il giornalismo non è al primo posto nei pensieri delle piattaforme. Per anni ci sono stati tentativi di dialogo con Meta e Alphabet (ossia Instagram e Facebook, e Google), ma ora al giornalismo è stata tolta priorità, non è più prodromo del modello di business della piattaforma” (→ Arianna Galati, Marie Claire).
Internet Archive rischia di scomparire (e con lui un pezzo di Rete). Nei mesi scorsi la biblioteca di internet – e con essa il futuro dell’accesso alla cultura online – è finita sul banco degli imputati. Nelle aule di un tribunale federale di New York si è svolto il primo round di un procedimento legale intentato da alcuni editori americani nei confronti di Internet Archive. Il processo potrebbe costringere l’archivio digitale a distruggere 4 milioni di libri digitali disponibili sulla piattaforma ma coperti da copyright, o addirittura a chiudere l’intero catalogo popolato ormai da 37 milioni di testi (→ Laura Carrer, Guerre di Rete).
È davvero tutto, grazie per aver letto fino a qui, alla prossima puntata.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 78 - 29 maggio 2023.
☛ Per collaborazioni e contatti professionali qui mio profilo LinkedIn (oppure puoi scrivermi all’email leliosimi@gmail.com).
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[L’immagine di copertina di questo numero è di Mick Haupt su Unsplash quella del logo nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].
Mi sono sempre chiesto. E credo che la risposta sia ovvia, perché non si passi ad un consumo a tempo dei contenuti con possibilità di passaggio tra diverse piattaforme. Potrebbe essere questo il nodo chiave dell’accessibilità garantita da i super aggregatori?