#Mediastorm 67 – I media nell'era della sovrabbondanza
Dall’era dell’abbondanza trovarsi in quella della sovrabbondanza è stato un attimo, le media company oggi sembrano voler tirare il freno: “fare meglio con meno”, ma cosa vuol dire concretamente?
In questo numero:
L’era della sovrabbondanza
Internet qualche decennio fa ci ha trasportato dall’era della scarsità in quella dell’abbondanza, lo streaming più di recente — forse senza nemmeno accorgercene più di tanto — ci ha portato dall'era della abbondanza in quella della sovrabbondanza con le sue library infinite, nelle quali quotidianamente vengono aggiunte nuove produzioni.
La corsa ad arricchire continuamente in modo ossessivo l'offerta di nuovi titoli originali ha portato a non preoccuparsi molto dei margini di profitto (si è arrivati ad approvare serie TV senza nemmeno leggere lo script iniziale) perché ciò che premiava le piattaforme streaming, il valore delle loro azioni in Borsa, era sopra ogni altra cosa determinato dal numero di abbonati.
Netflix ad esempio “viaggia” intorno a 15 nuovi titoli originali alla settimana (e in questo conteggio le serie TV di otto/dieci episodi valgono, ovviamente, come un singolo titolo).
Poi la recessione economica, un mercato che si affolla di nuovi soggetti tutti alla conquista della loro fetta di torta, i limiti fisici della nostra attenzione e quelli economici del nostro portafoglio, hanno portato molti a pensare che una sostanziale revisione di questo modello era più che necessaria.
Così oggi il nuovo mantra — lo dichiarano un po’ tutti —sembra essere “fare meglio con meno”, ovvero diminuire la produzione di nuovi contenuti, spendere con maggiore oculatezza ma aumentare la qualità di quello che viene realizzato.
Il New York Times, in un articolo nel quale racconta l’improvviso ridimensionamento dell'età dell'oro dello streaming afferma che “alla fine, potrebbe esserci un lato positivo per gli spettatori: ridurre il volume produttivo potrebbe portare a una percentuale più alta di spettacoli di qualità”. Sembra una formula perfetta, ma sarà davvero così? E davvero sarà un bene per lo spettatore?
Mercati globali e cheeseburger gourmet
Una delle cose più interessanti da leggere pubblicate la settimana scorsa è il lungo ritratto/intervista fatto dal New Yorker di Bela Bajaria una delle figure chiave tra i top manager di Netflix, oggi a capo a livello globale dell’intero settore televisivo.
Ci sono nell’articolo, tra i tanti, due passaggi che ho trovato particolarmente interessanti: il primo è che Bajaria, a Netflix solo dal 2020, è stata scelta per quel ruolo rispetto a candidati da molto più tempo nell’azienda, soprattutto per la sua capacità di sviluppare mercati globali. La seconda cosa interessante: la definizione di quello che Bajaria afferma essere oggi per Netflix la serie o il programma televisivo ideale: “un ‘cheeseburger gourmet’, per offrire al pubblico qualcosa di premium e commerciale allo stesso tempo”.
L’approccio aggressivo alla crescita globale, soprattutto nei mercati dove i ricavi per utente (le ARPU) sono bassi e difficili da fare aumentare in maniera significativa nel breve termine, ci dice che la crescita del numero degli abbonati è ancora (e lo sarà ancora per un po’ di tempo) il parametro più importante da inseguire. Anche a scapito dei mercati più preziosi come quello americano, come scrive il New Yorker:
Un ex dirigente di Netflix ha affermato che la crescente attenzione internazionale dell'azienda ha frustrato alcuni membri dello staff di Los Angeles. “lo spettatore statunitense genera maggiore valore rispetto a tutti gli altri, ma c’era questa corsa ad occupare tutto il mondo”.
Nonostante le generali richieste di maggiore concretezza nei conti economici davvero nelle prossime trimestrali del 2023 gli indici di marginalità (il rapporto tra costi e ricavi) guadagneranno maggiore attenzione (dagli investitori, dai media) rispetto alla variazione, in positivo o in negativo, del numero di abbonati? Ci sono molti elementi che ci dicono il contrario.
Anche la definizione di “cheeseburger gourmet” ci dice che l’obiettivo è sì quello di migliorare la qualità media del catalogo ma, soprattutto, di realizzare prodotti globalizzati, facilmente riconoscibili da tutti ma decisamente meno diversificati. Le nicchie hanno ancora un valore?
Leggo dal New Yorker:
“Diversi showrunner di serie TV di nicchia hanno affermato che la società è diventata meno comprensiva e accomodante nei confronti dei loro progetti man mano che la piattaforma aumentava la sua portata globale”.
E ancora:
“Secondo Bajaria, la compagnia oggi ha poca pazienza per spettacoli che non performano immediatamente. L'algoritmo di Netflix assicura che il contenuto “venga servito direttamente davanti agli occhi dell’abbonato, quindi non è che non riesce a trovarlo”. Ad un certo punto devi chiederti: meglio continuare a produrre questo titolo o impegnare il budget in un altro nuovo prodotto?”
Insomma siamo ancora dentro l’era della sovrabbondanza, produrre il 25 o 30% in meno non vuol dire esserne usciti. Due terzi di qualcosa di enorme rimane comunque… qualcosa di enorme. E c’è da tenere di conto che Apple TV + e Amazon hanno annunciato l’aumento del numero di serie TV prodotte e acquistate per il 2023, ma parliamo di aziende che possono permettersi di tenere il loro streaming in perdita perché le loro vere fonti di reddito sono altrove.
Resta ancora quindi tutta tutta da verificare quanto la strategia “meno ma meglio” sia davvero a beneficio delle persone o non, invece, persegua principalmente (giusto un po’ corretta) le medesime logiche che hanno portato al più grande sovradimensionamento dell’offerta di contenuti nella storia dell’industria dei media.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il sessantasettesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
Se dopo averla letta hai suggerimenti, domande o segnalazioni da farmi puoi scrivermi a questa email leliosimi@substack.com, altrimenti se quello che ho scritto ti suggerisce delle riflessioni puoi usare direttamente la sezione commenti, sarò felice di risponderti. Se invece vuoi consultare le altre puntate pubblicate puoi farlo da qui ► Archivio #Mediastorm.
📊 Chart, chart, chart!
🛒La pubblicità sui retail media negli Stati Uniti è passata da 1 miliardo di dollari a oltre 30 miliardi di dollari in soli 5 anni. Per fare un confronto, il mercato della pubblicità sui social ha impiegato 11 anni per superare la soglia dei 30 miliardi di dollari e la pubblicità associata alla search ha impiegato 14 anni per fare lo stesso (fonte: CBInsights).
💸 Per la prima volta in quasi un decennio, i due maggiori attori della pubblicità online non stanno più incassando la maggior parte dei dollari statunitensi per la pubblicità digitale, un calo che gli addetti ai lavori del settore prevedono continuerà negli anni a venire. Meta/Facebook e Alphabet/Google, hanno aggregato un totale di 48,4% della spesa pubblicitaria digitale negli Stati Uniti nel 2022. La loro quota di mercato combinata non era inferiore al 50% dal 2014, e le previsioni dicono che scenderà al 44,9% nel 2023 (fonte: Wall Street Journal).
🎼 Le tendenze chiave per la crescita dei ricavi dell’industria musicale per i primi tre trimestri (Q1-Q3) del 2022 rispetto al pari periodo del 2021 e del 2020 nella ricerca realizzata da Midia Research per i quattro settori: etichette discografiche, editori musicali, streaming e musica live.
📱 Il 2022 è stato un anno rivoluzionario per l'intrattenimento, dicono alla Apple in un articolo nel loro sito che fa il punto sull’universo delle app del colosso tecnologico, il pezzo è decisamente autocelebrativo come prassi nella comunicazione corporate, ma con un bel po' di dati molto interessanti da leggere.
🎥 HBO rimane il principale creatore di contenuti artigianali, guadagnando quasi il triplo degli Emmy per dollaro speso rispetto a Netflix e quattro volte di più della nuova arrivata Apple. È un fiore all'occhiello alla ricerca di chi sappia indossarlo nella maniera giusta, ovvero un nuovo proprietario (fonte: Scott Galloway nella sua newsletter dedicate alle previsioni di mercato del 2023).
👓 Un po’ di cose da leggere
La grande correzione del mercato del podcasting. Mentre le entrate complessive del podcasting e i dati di ascolto continuano a crescere, la sfrenata esuberanza che molti ponevano sullo stato di questo media si è ultimamente dissipata, anche tra alcuni dei suoi più accaniti praticanti (Bloomberg).
Lo smartphone nell’arte contemporanea. Nella produzione artistica lo smartphone è ormai un elemento frequente proprio come nella nostra vita quotidiana, e questa interazione comporta un inevitabile mutamento di cui riusciamo a malapena a intuire i caratteri (L'Indiscreto).
L’intelligenza dell’intelligenza. Che significa “Intelligenza Artificiale”?, che cosa dobbiamo aspettarci nel breve, e che limiti dobbiamo imporle? (pagina Medium di Paolo Giovine).
Lo stato delle cose, nel mercato cinematografico contemporaneo, è relativo a un’ormai costante attesa di uno o più Messia in grado di salvare un’industria in gravissima crisi (La Balena Bianca).
📘 #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
È davvero tutto per questa settimana, grazie per aver letto fino a qui, alla prossima puntata,
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 67- 15 gennaio 2023.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].