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#Mediastorm 63 – Frenemies (amici/nemici)
Nello scacchiere dei media il digitale sempre più sovrappone in un unica figura lo spietato concorrente e il prezioso partner. Anche il (sorprendente) cambio di guardia alla Disney è figlio di questa contrapposizione.
In questo numero:
Cosa è andato storto alla Disney?
Il repentino cambio di guardia annunciato lunedì scorso, ha suscitato molto interesse (anche qui da noi in Italia a giudicare dai molti articoli dedicati all’evento): una decisione sorprendente per modi e tempistiche che, però, racconta molto di quello che è l’industria dei media in questi anni.
Cosa è successo: dopo solo due anni è stato richiamato lo storico CEO Bob Iger e accompagnato alla porta Bob Chapek che lo stesso Iger aveva indicato come suo sostituto.
Robert Allen "Bob" Iger non è stato un CEO qualsiasi per la Disney (ed è facile pensare che non lo sarà nemmeno nei due anni del suo attuale mandato) ha guidato questo colosso per 15 anni nei quali lo ha rivoluzionato e rivitalizzato mettendo a segno acquisizioni di aziende come Pixar, Marvel, Lucasfilm e 20th Century Fox che ne hanno cambiato il volto.
Tra il 2005 e il 2019 sotto la sua guida l’utile netto dell’azienda è aumentato del 404%. Per dire. L’ultimo suo atto, raggiunti i 70 anni, doveva essere scegliere un degno sostituto: qualcuno che sapesse, da una parte, sopportare la sua pesantissima eredità, dall’altra, dimostrare le capacità per affrontare le nuove sfide imposte dallo streaming.
Ne è nata una lunga, complessa e complicata fase per completare la transizione più significativa del mondo dei media di questi ultimi anni.
Alla fine il passaggio di testimone con Bob Chapek che ha puntato tutto sullo streaming, seguendo in gran parte — come giustamente ha fatto notare l’analista Julia Alexander — il “costoso schema di crescita che il suo predecessore aveva messo in moto. È stato Iger a lanciare Disney+ nel 2019. È stato Iger a comprare BAMTech, la società di tecnologia di streaming, che ha fatto girare tutta questa giostra”.
Quindi cosa è andato storto? Il fatto è che in soli due anni sono successe molte cose, in particolare: 1) molti concorrenti sono scesi in campo a contendere a Disney e Netflix una fetta del mercato dello streaming video, 2) la pandemia ha iper-valutato le potenzialità (e le aspettative) di crescita nel breve periodo di questo mercato.
Tutte cose che oggi mostrano i limiti di una strategia, come quella approntata diligentemente da Chapek, pronta a sacrificare tutto pur di far crescere lo streaming video.
Ad esempio: nell’ultima trimestrale le spese operative, nel confronto anno su anno, sono passate da 800 milioni a 1,5 miliardi di dollari, proprio per far crescere Disney+ e gli altri canali streaming di proprietà, si è poi cercato di rendere quei “giardini recintati” sempre più recintati, ovvero non dare più in licenza film e serie TV per offrirle in esclusiva e cercare così di attrarre più abbonati possibile.
Una scelta che però, nel nuovo contesto iper-competitivo e con un’economia in recessione (le persone hanno meno soldi da spendere in millemila abbonamenti digitali) è costata all'azienda 200 milioni di dollari solo nel primo trimestre. Oggi non basta far crescere il numero di abbonati per vedere aumentare il proprio valore, gli investitori chiedono anche conti economici più solidi. E quindi, come scrive ancora Julia Alexander su Puck:
la Disney deve concedere in licenza il suo contenuto. Ciò non significa che gli spettacoli di Star Wars o Marvel dovrebbero iniziare ad apparire su Apple TV+, ma non tutti i contenuti originali devono arrivare su ABC [broadcast controllato dalla Disney], su Disney+ o su Hulu, soprattutto se possono generare maggiori entrate altrove. Allo stesso modo, ci sono spettacoli immensamente popolari come Grey's Anatomy della ABC che sono di fondamentale importanza per concorrenti come Netflix. Invece di portare Grey's esclusivamente all'interno di Hulu o Disney+ e cercare di catturare quel pubblico - rischioso! - Iger dovrebbe sfruttare la rilevanza di quello spettacolo per il pubblico di Netflix per raggiungere un accordo migliore.
Insomma Disney e Netflix (e tutti gli altri streamer) oltre a farsi una spietata concorrenza dovranno contemporaneamente imparare anche a collaborare proficuamente.
È interessante notare come il concetto di frenemies, in qualche modo, venga introdotto anche nello streaming video. Altre industrie dei media lo conoscono molto bene: nell’advertising Google e Meta/Facebook sono i principali concorrenti delle grandi holding pubblicitarie ma, allo stesso tempo, anche preziosi partener dove investire i budget miliardari che gestiscono per i loro clienti.
La strategia a senso unico adottata da tutti nello streaming video sembra già vecchia dopo solo due anni, perché il digitale non ha semplicemente rivoluzionato lo scenario, ha messo in moto un meccanismo che di continuo lo cambia radicalmente. La differenza la fa chi riesce ad adattarsi ai nuovi contesti anche con scelte che sembrano contraddittorie o controintuitive.
Probabilmente è su questa caratteristica principale che Iger dovrà scegliere il suo prossimo successore, non solo tra chi sembra poter eseguire più diligentemente le strategie che oggi è (nuovamente) chiamato a indicare per il futuro della Disney.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il sessantatreesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti per cercare di capire come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente l’economia delle industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
Se dopo averla letta hai suggerimenti, domande o segnalazioni da farmi puoi scrivermi a questa email leliosimi@substack.com, altrimenti se quello che ho scritto ti suggerisce delle riflessioni puoi usare direttamente la sezione commenti, sarò felice di risponderti. Se invece vuoi consultare le altre puntate pubblicate puoi farlo da qui ► Archivio #Mediastorm.
📊 Chart, chart, chart!
📰 Il problema delle resa per l’industria dei quotidiani italiana
Uno dei grandi problemi per il sistema dei giornali italiano, e in particolare per i quotidiani, è sicuramente l’elevato “scarto” derivato dalle tante inefficienze del sistema distributivo delle copie cartacee.
In Italia questo è un antico problema che negli anni si è sempre più aggravato, un po’ perché ci si è sempre affidati al sistema delle edicole e pochissimo a quello degli abbonamenti (la puntualità delle Poste italiane è quello che è, e i paperboy qui li abbiamo visti solo nei film americani), un po’ perché i distributori — il segmento che unisce gli editori alle edicole — hanno rappresentato più un problema per l’efficienza della rete che non un punto di forza. Con la crisi della carta stampata e l’implosione della rete delle edicole, inevitabilmente, la cose sono precipitate.
Il problema con l’aumento iperbolico del costo della carta è oggi ancora più drammatico.
Dal 2020 ADS (che certifica la diffusione dei giornali italiani) nei suoi resoconti non indica più in modo diretto le copie rese, facendo così mancare un dato molto importante al mercato (dava fastidio a qualcuno?). In realtà però non è difficile da ricavare dal complesso dei dati pubblicati da ADS, basta perderci un po’ di tempo, che è quello che ho fatto.
Ed ecco i dati: nel complesso l’aggregato delle 60 testate quotidiane italiane nei primi nove mesi del 2022 le copie rese sono state mediamente ogni giorno di uscita 878mila, nel 2021 nel medesimo periodo erano 984mila.
Una flessione quindi, ma c’è da tenere conto che è calata anche la tiratura (e le vendite), così in realtà il peso percentuale delle copie rese sul totale delle copie stampate non è, di fatto, variato: 38,4% nel 2022 e 38,9% nel 2021.
Due cose, una, mi sembra, positiva: il peso percentuale della resa non è aumentato, in questi anni di crescita costante (nel 2017 la resa era ancora al 34%) è comunque positivo. La seconda cosa è però, abbastanza evidente, molto meno positiva: una quota del 38%, poco meno di 2 copie su 5 che finiscono al macero, è davvero un peso al limite del sostenibile per tutto il sistema dei quotidiani italiano.
Stiamo parlando di numeri complessivi, ovviamente ci sono realtà diverse da testata a testata, qui trovate un po’ di dati che ho pubblicato in una precedente puntata di questa newsletter relativi al solo mese di febbraio.
Mi prometto di fare un’analisi e infografiche più approfondite su singole testate prossimamente, per adesso più sinteticamente ecco la percentuale delle copie rese su totale tiratura nei primi nove mesi del 2022 per alcuni dei principali quotidiani nazionali (eh sì sono decisamente molto alte):
Corriere della Sera 32%
Repubblica 44%
La Stampa 40%
Sole 24 Ore 36%
Il Giornale 59%
Il Fatto Quotidiano 61%
La Verità 59%
Libero 67%
Il Manifesto 80%
✓ Se interessa sull’argomento delle copie rese e dei molti problemi della rete distributiva dell’industria dei giornali, metto qui un mio articolo di qualche tempo fa (settembre 2017) scritto per Pagina99 in formato pdf.
📚 Un po’ di cose da leggere
✓ La crisi dell’energia spegne anche i teatri, Laura Loguercio/L’Essenziale.
✓ Se TikTok diventa il nuovo Zelig, Laura Fontana/Link.
✓ Le newsletter non sono morte: stanno guarendo la creator economy, Elisa Teneggi/CheFare.
✓ Le vittime della cattiva informazione tra mancata tutela della privacy, titoli sensazionalistici e virgolettati inventati, Alice Facchini/Valigia Blu.
✓ 11 (e più) cose che il giornalismo perde se Elon Musk distrugge Twitter, Laura Hazard Owen/NiemanLab.
✓ Facebook è un freak show in una città fantasma e per questo lo adoro, Isabel Slone/New York Times.
#Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋Prima di salutarci…
I media hanno un po’ di problemi da risolvere, lo sappiamo, visual capitalist ne ha individuati 33 tra i più noti e li ha messi, tutti e 33, in questa infografica, offrendo un utile recap.
È davvero tutto per questa settimana, alla prossima.
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 63 - 27 novembre 2022.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].