#Mediastorm 58 – Netflix oltre le subscription
È iniziata l'ora della concretezza per il settore dello streaming? Il numero degli abbonati è una metrica ipervalutata inseguita dalle aziende a ogni costo, ma oggi non possono più permetterselo.
Sembra proprio che la crisi pressoché irreversibile di Netflix, data per certa solo qualche mese fa, fosse una notizia “leggermente” esagerata; oggi dopo i dati positivi su crescita numero abbonati, molti parlano di “rinascita”, ma entrambe le letture dipendono troppo da un certo sensazionalismo e dalla volontà di dare letture assolute (“è crisi”, “è rinascita”), o peggio di leggere tutto prendendo come assoluto un unico parametro.
La nuova trimestrale di Netflix pubblicata questa settimana dice che gli abbonati dello streamer stanno tornando ad aumentare, ed aumentano più del previsto. Una buona notizia, non c’è dubbio, dopo che per due volte consecutivamente, aveva registrato un saldo negativo trimestre su trimestre in conseguenza dei quali il titolo era precipitato il titolo in Borsa (riducendosi fino al 70% rispetto valore inizio anno).
Gli investitori e gli analisti di mercato oggi dichiarano che “I giorni bui sono finiti” e che “il peggio è ormai alle spalle” e aumentano le loro valutazioni e rating sul titolo e gli obiettivi di crescita.
Tutto, o quasi, grazie al lancio della nuova offerta di abbonamento più economico e sostenuto da pubblicità e dalla lotta alla condivisione delle password, due azioni che nelle previsioni faranno aumentare di “10-15 milioni l’anno la base di abbonati di Netflix nel prossimo futuro” (fonte Hollywood Reporter).
Eppure. La crisi di Netflix e di tutto il settore dello streaming, o meglio: i dubbi sul funzionamento nel lungo periodo di quel “modello” dovuti ai nuovi scenari di mercato (molto più concorrenti) e macroeconomici (inflazione in crescita) aveva avuto come elemento positivo quello di aver — finalmente — messo in discussione il paramento del numero degli abbonati come unica metrica sulla quale far dipendere le valutazioni di una media company.
Finalmente sembra ora di mettere al centro, più concretamente, la redditività e guardare a parametri come margine operativo, reddito operativo, risultato netto. Sarà così per tutti?
Quella del numero di abbonati è una metrica che è stata ipervalutata, ha fatto felici molti grandi investitori e la fortuna di aziende come Netflix (e altre, soprattutto come lei nate nella Silicon Valley), ma ha drogato il mercato, posto l’attenzione su qualcosa che racconta solo una parte della storia (economica) di un’azienda.
Un paio di esempi: Prime ha avuto un ruolo fondamentale nell’enorme crescita della capitalizzazione di Amazon (che nel 2005, quando l’offerta Prime è stata lanciata, era ancora inferiore a quella di eBay).
Spotify pur non avendo realizzato, ad oggi un solo utile di bilancio da quando si è quotato a Wall Street, grazie alla crescita enorme dei suoi abbonati e utenti è riuscita a raggiungere una valutazione fino a tre volte superiore quella di Warner Music che, invece, di risultati netti positivi più che onorevoli a fine anno riesce quasi sempre metterli a segno.
Il titolo di Netflix, da quando ha cominciato a puntare sui contenuti originali come leva principale per attirare sempre più abbonati, ovvero da aprile 2013 (quando ha lanciato la sua prima serie tv originale House of Cards) a ottobre 2021 è cresciuto dai 25 ai 690 dollari. Un incremento, quasi irreale, del 2.670% quando nello stesso periodo il titolo S&P 500 è salito del 195%.
Leggendo i molti titoli di giornale del tipo di “Netflix torna a correre, gli abbonati crescono oltre le previsioni e il titolo vola a +14%” sembra che le letture positive sul ritorno alla (quasi) normalità per Netflix pongano, nuovamente, la quasi totale attenzione verso la crescita degli abbonati.
La “crisi” dello streaming deve però essere l’occasione per ripensare un intero settore che si rende conto che non può più permettersi la follia di spendere cifre mai spese prima pur di incrementare quel parametro “magico” (per gli investitori finanziari) rappresentato dalla propria base di abbonati.
Sarebbe un errore sprecare quell’occasione. Anche se il settore dello streaming sembra oggi tutto indirizzato a un utilizzo massiccio degli abbonamenti più economici sostenuti da pubblicità, grazie alla loro promessa di attrarre nuovi abbonati, quel dato ormai non può più essere l'elemento principale per capire — come e se — tutto “funziona”.
Benvenuta, benvenuto, sono Lelio Simi e questo è il cinquantottesimo numero di #Mediastorm una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”). Se non lo sei già, puoi iscriverti da qui:
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La “marginalità” di Netflix
Se guardiamo nel dettaglio i dati economici del terzo trimestre di Netflix oltre all’incremento (su trimestre precedente) del numero di abbonati paganti a +2,4 milioni e, nelle previsioni del quarto trimestre, a +4,5 milioni di unità, ampiamente (e giustamente, certo) celebrato, va notato che proprio nelle previsioni del quarto trimestre il margine operativo (sostanzialmente il rapporto tra costi e ricavi) ha un valore del 4,2%, circa la metà di quello del medesimo trimestre del 2021 e il più basso degli ultimi cinque anni.
Così come il reddito netto previsto per il prossimo trimestre è in calo rispetto a quello dell’anno precedente del 73%. Netflix nella relazione dà la colpa all’inflazione e al dollaro “debole” (secondo le valutazioni della stessa azienda escludendo l’impatto dell’inflazione il margine operativo sarebbe intorno al 10% in aumento di due punti percentuali rispetto al 2021).
C’è da tenere presente, inoltre, che i risultati del quarto trimestre sono quelli che più sentono l’effetto dell’incremento delle spese in marketing e contenuti. L’obiettivo dichiarato è di portare il margine operativo annuale tra il 19 e il 20%.
La nuova era di Netflix è arrivata?
Una delle cose che più mi ha colpito della relazione di Netflix però sono alcuni dati messi in evidenza all’inizio della lettera agli investitori:
Netflix ha un coinvolgimento maggiore rispetto a qualsiasi altro streamer, con ulteriori margini di crescita:
Nel Regno Unito, Netflix rappresenta l'8,2% della visualizzazione di video: 2,3 volte Amazon e 2,7 volte Disney+;
Negli Stati Uniti, Netflix rappresenta il 7,6% del tempo TV: 2,6 volte Amazon e 1,4 volte Disney+ Hulu+ Hulu Live.
I nostri concorrenti stanno investendo molto per aumentare gli abbonati e il coinvolgimento, ma costruire il successo nel business dello streaming è difficile e costoso: stimiamo che stiano tutti perdendo denaro, complessivamente le perdite operative del 2022 superano di gran lunga i 10 miliardi di dollari, rispetto ai 5-6 miliardi di dollari di utile operativo annuo di Netflix.
Una considerazione: come sono lontani i tempi nei quali Reed Hastings, il CEO di Netflix, dichiarava in maniera spavalda che il loro vero e unico concorrente era il sonno (in fondo era “solo” il 2017).
Oggi l’azienda tiene a sottolineare di essere ancora la numero uno, ma ammette che il confronto deve farlo con i (molti) diretti concorrenti e ragionare all’interno del comparto (il riferimento ai costi dell’intero settore). In qualche modo è l’inizio di una nuova fase.
La seconda cosa che mi ha colpito della relazione: Netflix ha comunicato che dal prossimo bilancio non comunicherà più, nei dati delle previsioni per il trimestre successivo, il numero degli abbonati (che ovviamente saranno indicati per il trimestre appena chiuso).
siamo sempre più concentrati sulle entrate come metrica principale. Ciò diventerà particolarmente importante verso il 2023 quando svilupperemo nuovi flussi di entrate come la pubblicità e la condivisione dell'account a pagamento, facendo diventare la membership solo una delle componenti della nostra crescita dei ricavi. Quindi continueremo a fornire indicazioni per entrate, reddito operativo, margine operativo, utile netto, EPS per il trimestre successivo, ma non per gli abbonati paganti.
Insomma Netflix sembra proprio voler giocare sul tavolo della concretezza e della redditività (e certo probabilmente questa scelta ci dice che, comunque, la crescita a certi ritmi degli abbonati ormai è parte del passato).
Come ha scritto in una bella analisi la giornalista ed esperta di media Julia Alexander su Puck: “l’elemento di novità più importante oggi è il cambiamento di mentalità di Netflix, dal perseguire una crescita esponenziale a un rapporto costi/ricavi più sostenibile”.
Tutto giusto, tuttavia se da una parte gli investitori finanziari chiedono maggiore concretezza, Netflix e tutti gli altri streamer sanno che senza garantire una crescita costante gli stessi investitori si concentreranno su altri soggetti, decretando per tutti loro una nuova era di “normalizzazione” rispetto alle valutazioni avute fino a ieri.
🔴 Chart & Dati
Pricing. Dei nove principali servizi di streaming negli Stati Uniti, sette attualmente offrono, o offriranno presto, un livello supportato dalla pubblicità e il prezzo mensile annunciato di Netflix se ne sta proprio nel mezzo (via The Current).
Il costo per mille impressioni (CPM) della pubblicità su Netflix sarà a listino di 60 dollari, secondo più fonti, il che lo renderebbe uno dei servizi di streaming più costosi. Hulu propone annunci pubblicati tra 30 e 40 dollari CPM.
E comunque a proposito di maggior equilibrio costi/ricavi Netflix ha rilasciato 1.026 episodi nel terzo trimestre, secondo MoffettNathanson. Per fare un confronto, Prime Video ne ha pubblicati poco meno di 225 (via The Puck).
Nel frattempo Amazon ha raddoppiato i contenuti originali per Freevee, il suo servizio video supportato da pubblicità, che ha visto una grande crescita grazie a una profonda integrazione con altre proprietà Amazon (scrive Protocol)
E così anche Apple, secondo Digiday, sta preparando una strategia per monetizzare in maniera più solida i suoi contenuti video originali grazie alla pubblicità.
Ho scritto molto spesso in questa newsletter di Netflix (troppo?) perché sicuramente le sue strategie sono una delle chiavi più importanti per capire come stanno cambiando le industrie dei media e il nostro rapporto con i loro “prodotti”, per questo segnalo alcune puntate precedenti:
📖 #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
👋Prima di salutarci…
“For commercials”… una vignetta del 1949 (via Yesterday’s Print).
È davvero tutto per questa settimana, alla prossima.
Lelio.
#Mediastorm: una newsletter di appunti, storie e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 58 - 23 ottobre 2022.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].