#Mediastorm 43 – Come sta andando l’industria mondiale dei giornali?
Nonostante la crisi profonda di quest'ultimo decennio vale cinque volte quella discografica. Per tre quarti dipende ancora dalla carta ma quanto ancora può aspettare la transizione al digitale?
Quanto vale oggi l’industria dei giornali a livello globale? Ogni anno l’associazione mondiale degli editori (la WAN-IFRA) pubblica il suo report World Press Trends con un bel po’ di dati che ci danno la reale dimensione di questa industria, a cominciare dai ricavi diffusionali delle copie di carta e quelli da digitale o dei ricavi da pubblicità (l’edizione 2021-2022 è stata pubblicata a inizio maggio).
Bene: i ricavi complessivi per il 2021 a livello globale sono stati, secondo questo report, pari a 130,9 miliardi di dollari. Per dare un’idea del peso di questo settore può essere interessante confrontarlo con quanto realizzato economicamente da altre industrie dei media, per collocarlo all’interno di un rapporto di grandezze.
L’industria della musica registrata a livello globale ha raggiunto nel 2021 i 25,9 miliardi di dollari, una pietra miliare per questo settore perché torna a livelli di inizio anni Duemila, prima che l’effetto Napster lo sconvolgesse; il box office invece per il 2021 vale 21,3 miliardi di dollari (si sta lentamente riprendendo dopo crisi dovuta alla pandemia, nel 2019 i ricavi superavano i 40 miliardi) secondo la Motion Picture Association che ha stimato in 99,7 miliardi i ricavi dell’intero settore theatrical and home/mobile entertainment, mentre le Pay tv per il 2021 valgono 228,5 miliardi di dollari (la stima è ancora della MPA).
Forse l’idea che abbiamo dell’industria dei giornali dopo anni di profondissima crisi, dalla quale è giusto ricordare nel suo complesso fatica ancora oggi ad uscire, ci fa pensare a lei come una cenerentola tra le diverse industrie dei media; ma in realtà non è proprio così, questi dati ci dicono che vale per ricavi oltre cinque volte quella della musica registrata e del box office cinematografico, e il 42% meno del settore delle televisione a pagamento.
Se guardiamo invece più nel dettaglio i numeri dell’industria dei giornali un primo elemento che emerge su tutti gli altri è che questo settore dipende ancora per la maggior parte, a livello globale, dai ricavi del cartaceo
D’accordo non è una cosa così sorprendente di per sé, sappiamo che New York Times, Washington Post, Guardian, Financial Times e quella dozzina (al massimo) di grandi testate internazionali che stanno incrementando i loro ricavi da digitale, in alcuni casi facendogli superare quelli da cartaceo, sono la punta di diamante di un settore che presenta realtà molto diverse e diversificate.
Ma è comunque significativo sottolineare quanto ancora pesi la stampa rispetto al digitale: nel totale dei ricavi 94,5 miliardi contro appena 21,5 miliardi di dollari, ovvero 72% contro il 16% sul totale dei ricavi globali (ai quali la WAN-IFRA include 15,2 miliardi attribuiti a revenue da attività varie, come organizzazione eventi o licensing, non attribuiti direttamente al settore stampa o a quello digitale).
In totale quindi ogni quattro dollari fatturati tre vengono ancora dalla carta e se guardiamo le singole voci di ricavo vediamo che i ricavi diffusionali della carta, 54,6 miliardi, sono circa sette volte quelli del digitale, il rapporto dei lettori paganti è dieci a uno, mentre i ricavi da pubblicità la stampa (39,9 miliardi) valgono poco meno di tre volte quelli da digitale.
Certo c’è da considerare che i costi della carta sono superiori a quelli del digitale, secondo le stime del report (che si basano su valutazioni dei dirigenti editoriali) pesano il 14,5% dei costi totali.
Tuttavia l'information technology e la tecnologia in generale — in queste valutazioni — sono comunque all’11% dei costi totali. Perché per tentare di rendere davvero il digitale remunerativo sono necessarie scelte coraggiose certo, accompagnate però da investimenti altrettanto coraggiosi e importanti.
Qualche settimana fa ho pubblicato questa infografica relativa agli investimenti in tecnologia digitale del New York Times sui qali la testata investe circa il 9% dei ricavi; al Times i ricavi da digitale hanno recentemente superato quelli da stampa (grazie anche a un anno particolare come il 2020), ma è bene ricordare che questo è avvenuto dopo quasi dieci anni (sottolineo: dieci) dalla scelta di adottare un paywall e perseguire una strategia tutta indirizzata verso la trasformazione digitale.
Un altro esempio arcinoto può essere quello del Washington Post, gestione Bezos, dove il rapporto tra numero di ingegneri dedicati allo sviluppo del digitale e i giornalisti della numerosa redazione è ormai di uno a due.
D’altronde la stessa WAN-IFRA mette in risalto che: “Per quanto riguarda gli investimenti nel futuro, l'analisi dei dati e lo sviluppo del prodotto sono stati identificati dai nostri intervistati come le aree più importanti in cui investire”.
Ovvero saranno sempre più fondamentali i dati, e ovviamente la capacità di raccoglierli dai propri siti e saperli leggere e tradurre in informazioni utili per migliorare la qualità della produzione, il tutto con l’obiettivo di aumentare i ricavi da abbonamenti su digitale. Tutto questo ha un costo elevato in software e professionalità.
Quindi direi che in questo scenario il punto non è tanto il fatto che la carta sia ancora al centro dell’industria dei giornali ma in quanti potranno permettersi, davvero, una transizione verso un digitale concretamente remunerativo.
Quanti per farlo oggi possono permettersi quegli investimenti e quelle scelte coraggiose — seppure ridotte di scala per adattarle a realtà diverse e più piccole — che sta facendo una élite di testate internazionali? I margini di guadagno della carta si stanno riducendo ma quanti possono permettersi (e hanno la capacità) di accelerare il loro declino a favore del digitale senza rischiare seriamente di creare disequilibri a livello economico?
Possiamo pensare che questa sia la dura legge del Mercato, ma qualche preoccupazione per un settore come quello delle notizie forse è bene farcelo venire e —come ultima nota più in generale — riflettere su quanto il digitale abbia mantenuto quella promessa fatta un po’ di anni fa, di dare reali possibilità economiche di crescita verso le piccole realtà locali o indipendenti che si tratti dell’industria musicale, dell’offerta televisiva o cinematografica o per finire di quella editoriale nel settore librario e, appunto, in quello delle notizie.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il quarantatreesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, storie, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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📰Lettori (e letture) nei quotidiani italiani
Secondo il nuovo rapporto dell'Audipress (la società che in Italia raccoglie e pubblica i dati sull'audience della stampa) i lettori dei giornali, nella loro versione cartacea o nella replica digitale, sono cresciuti; come precisa Audipress: “quotidiani +0.8%, settimanali +0,5%, mensili +2,1% e stampa nel complesso +0,7% per testate omogenee, rispetto alla precedente edizione), con una decisa e ulteriore estensione nella fruizione di digital edition, che tocca quota 6 milioni di lettori (+11,6%)”.
Se guardiamo i quotidiani in totale i lettori nel giorno medio sono stati 11,4 milioni. Un numero di lettori che hanno generato 16,3 milioni di letture. Le ”letture” sono il parametro che Audipress utilizza per quantificare la fonte di provenienza delle copie (se ad esempio è stata acquistata o avuta da altri) e le abitudini generali di lettura (se derivate da frequenze “alte”, 4 o 7 giorni la settimana o invece inferiori).
Proprio su questi ultimi due parametri (fonte provenienza copia e frequenza lettura) mi è sembrato interessante confrontare i dati di questo nuovo rapporto non solo con quello precedente ma con una “finestra “ più ampia di qualche anno (dal 2017 a oggi). Per fare un reale confronto ho riportato le letture in valori assoluti e non, come fa Audipress, in percentuale anno dopo anno.
Un primo dato interessante è sulla provenienza delle copie: in valori assoluti tra il 2017 (il dato è quello del terzo e ultimo report annuale di Audipress) e il 2022 sono state perse 8,1 milioni di letture, una flessione dovuta al netto calo di letture di copie avute gratuitamente (“avuta da altri, prestata, trovata”) - 8,5 milioni di unità. Da notare la netta crescita (+1,2 milioni di unità) delle letture generate dalle copie provenienti da abbonamenti. Nel 2022 però le letture generate da copie avute gratuitamente tornano ad aumentare +9% su 2021 e, probabilmente, questo spiega i numeri (timidamente) positivi del nuovo report.
Per quanto riguarda la frequenza di lettura come si vede dal grafico, a soffrire di più sono le letture generate da lettori a frequenza “alta” che rappresentano comunque il 59% delle letture complessive, ma che vedono il loro distacco con le letture generate da lettori a frequenza “media” e “bassa” notevolmente diminuito.
👋Prima di salutarci…
“Della quarta stagione di Stranger Things si sta parlando quasi più per il minutaggio, che per il contenuto. I sette episodi (di nove totali) usciti finora oscillano tra i 64 e i 98 minuti, con una durata media di 30 minuti più lunga rispetto a quella delle stagioni precedenti. Le quali, a parità del numero di episodi, duravano la metà delle ore”. — Dall’account Instagram del sito Tellyst che ha pubblicato anche questa analisi Netflix è davvero in crisi? Molto interessante e completa (che cita anche qualche mia considerazione e qualche dato che ho pubblicato qui in questa newsletter).
#Mediastorm: una newsletter di appunti e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 43 - 12 giugno 2022.
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