#Mediastorm 33 – TikTok va alla guerra
“È surreale vedere le formule ormai ben definite dai social media applicate alla narrazione della guerra” ha scritto il New Yorker qualche giorno fa.
In questi giorni è molto difficile scrivere qualcosa che non abbia a che fare con la terribile esperienza della guerra a qualche centinaia di chilometri da noi e, nello stesso tempo, è molto difficile scrivere qualcosa a riguardo senza cadere nell’errore di affollare la lista di esperti improvvisati della quale, davvero, nessuno sente il bisogno.
Mi sembra utile però proporre delle letture di brani estratti da articoli e approfondimenti pubblicati in questi giorni nella stampa internazionale (che consiglio vivamente di leggere per intero), che seppure riguardano questa guerra e il dramma del popolo ucraino sono inerenti, comunque, l’argomento generale di questa newsletter: come il digitale sta cambiando l’industria dei media e il nostro rapporto con i suoi “prodotti”, le modalità con le quali riceviamo e percepiamo il “racconto del mondo”.
Benvenuta, benvenuto, io sono Lelio Simi e questo è il trentatreesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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🔴 Watching the World’s “First TikTok War”, Kyle Chayka, The New Yorker.
“War has become a content, flowing every platform at once”, la guerra è diventata un mero contenuto che scorre contemporaneamente su ogni piattaforma, Kyle Chayka una delle firme del New Yorker, ha scritto una delle cose più interessanti sull'invasione dell'Ucraina e il racconto che ne viene fatto sui social media nel quale nota che, pur non essendo il primo conflitto che viene raccontato attraverso i social media – prima ci sono state le rivolte della Primavera Araba e la guerra civile siriana che hanno utilizzato Facebook e Twitter per organizzare proteste e trasmettere filmati fai-da-te – sottolinea come, in questi ultimi anni, le piattaforme social sono diventate sempre più orientate alla multimedialità e gli smartphone sono sempre più attrezzati a catturare e trasmettere eventi in tempo reale.
“È surreale vedere le formule ormai ben definite dai social media applicate alla narrazione della guerra”
Un post su TikTok mostra un soldato ucraino che, sotto le note di “smoot criminal”, danza e accenna una “moon walk” alla Michael Jackson, l’account Instagram che normalmente pubblica foto buffe del gatto Stepan, diventato una star e il cui proprietario vive in Ucraina, ha postato nelle sue storie un attacco missilistico su Karkiv.
“Questi video riproducono meme che abitualmente su internet accogliamo con un sorriso e contemporaneamente sono documenti mortalmente seri della vita durante la guerra. Perforano improvvisamente Internet ricordando agli spettatori che stanno guardando una persona reale in pericolo reale.
“Su Internet tutti i contenuti seguono leggi simili, che si tratti di mostrare un’invasione via terra in Europa o un gatto che fa cose divertenti, Qualunque cosa sia coinvolgente diventa popolare, indipendentemente dalla sua provenienza o qualità”.
“Le varie forme di contenuto si sovrappongono in modo disorientante: il professionista con il dilettante, l'intenzionale con l'accidentale”.
“È probabile che il flusso di video di TikTok evochi la nostra confusa consapevolezza, un sentimento di simpatia che dura solo il tempo necessario per continuare a fare scrolling. Tuttavia, mentre i convogli russi fuori Kiev continuano a tentare di penetrare nel centro della città, le testate giornalistiche tradizionali stanno portando al sicuro i loro giornalisti. I social media sono un cronista imperfetto del tempo di guerra. In alcuni casi, potrebbero essere anche la fonte più affidabile che abbiamo”.
🔴 War TikTok is a mess, Rebecca Jennings, Vox.
“Questa è TikTok alla guerra, la versione di sé stessa che TikTok non avrebbe mai voluto diventare. Quando l'app è stata lanciata negli Stati Uniti nel 2018, ci è voluto molto per promuoversi come puramente apolitica, un posto dove dimenticare le complessità e gli orrori del mondo e guardare le persone fare cose sciocche. È troppo tardi perché quest’immagine possa rimanere: negli ultimi tre anni, TikTok è diventato il luogo di attivismo politico e propaganda politica e, durante la guerra, una complicata, confusa e talvolta cruciale testimonianza. Il Washington Post, ad esempio, è stato in grado di tracciare il movimento delle truppe russe nelle ultime settimane utilizzando solo video caricati su TikTok”.
“Dall'inizio della pandemia, è diventato più chiaro quanto, sia i creatori professionisti che la popolazione generale, dipendano dallo specchio azzurro di Internet per trasmettere in diretta le breaking news in altre parti del mondo, in particolare, ma non solo, negli ultimi due anni: le proteste di George Floyd dell'estate 2020, l'insurrezione del 6 gennaio al Campidoglio, gli attacchi aerei dello scorso maggio a Gaza, il ritiro degli Stati Uniti dall'Afghanistan lo scorso agosto, varie ondate di coronavirus e forme di disastri climatici, e solo la scorsa settimana, la Russia invasione in Ucraina.
🔴 Ukraine’s meme war with Russia is no laughing matter, The Economist.
“La presenza attiva dell'Ucraina sui social media è stata aiutata da un'abbondanza di "contenuti" drammatici, diversi da quelli visti in qualsiasi guerra precedente. Sebbene l'Ucraina sia uno dei paesi più poveri e meno connessi d'Europa, tre quarti degli ucraini di età superiore ai 13 anni sono attivi sui social media, secondo Kepios, una società di ricerca. La maggior parte si collega online tramite smartphone. Questi hanno generato i video che costituiscono la materia prima del contenuto virale, da pensionati disarmati che gridano insulti ai soldati russi a un automobilista ucraino che chiede a un gruppo di carristi bloccati se poteva rimorchiarli in Russia. In passato, una troupe televisiva doveva avere una fortuna straordinaria per catturare un momento come il "tank man" di piazza Tienanmen filmato dalla CNN nel 1989.
Il conflitto in Ucraina ha già generato decine di momenti altrettanto drammatici, quasi tutti filmati con i telefoni da semplici cittadini.
“I social media hanno anche aiutato i sostenitori internazionali dell'Ucraina a coordinare le loro azioni. Le marce di protesta sincronizzate in tutto il mondo il 27 febbraio hanno attirato centinaia di migliaia di partecipanti”.
“L'oscillazione dell'opinione pubblica dall'inizio delle ostilità è stata netta. I paesi occidentali si sono da subito sentiti obbligati a sostenere l'Ucraina contro il suo aggressore l'aggressore, la Russia. Ma i sondaggi suggeriscono che l'opinione pubblica si è rafforzata dall'inizio dei combattimenti. Un sondaggio condotto in Gran Bretagna da YouGov il 22-23 febbraio, poco prima dell'invasione, ha rilevato che il 69% era favorevole a sanzioni più severe contro la Russia. Dopo due giorni, allorché le immagini dell'attacco russo avevano fatto il giro del mondo, questa quota era salita al 77%. I favorevoli all'invio di armi in Ucraina sono passati dal 46% al 60%. C'è anche una maggiore disponibilità a fare sacrifici. Prima dell'invasione, solo il 35% dei britannici approvava sanzioni che comportano un aumento del costo della vita. Nei successivi due giorni erano saliti al 45%”.
L'opinione è cambiata anche in altri paesi. I tedeschi approvano l'invio di armi in Ucraina sono passati dal 37% al 45%, rileva YouGov. I francesi sono favorevoli all'incirca con lo stesso margine.
🔴 Twitter and Tone Collapse in a Time of War, Delia Cai, Vanity Fair.
“Si è arrivati a un punto in cui assistere a questi eventi internazionali ha codificato una sorta di etichetta di base tra i clienti abituali di Twitter: nelle prime ore o nelle ore più cruciali dell'evento, tutta la programmazione regolare va in pausa, dai brand ai negozi fino agli influencer grandi e piccoli. Comunicatori professionisti e gen pop si affollano allo stesso modo per identificare gli esperti e amplificare le loro scoperte e filmati. Va tutto bene (a seconda della tua definizione di “esperto”); in quella breve finestra, guardando le ultime notizie in tempo reale mi ritrovo a pensare su temi fondamentali in merito a cosa significhi vivere questo tempo. Ma quello che succede sempre dopo, mentre la forma dell'Evento si cristallizza, è quando diventa strano e inquietante - rivelando ciò che appare come un mercato di idee veramente appiattito”.
“Molto è stato scritto sul crollo del contesto di Internet; la scorsa settimana, Daisy Alioto ha scritto del crollo dell'attenzione che si verifica quando si vede uno spot pubblicitario di ali di pollo in rapida successione al filmato delle sirene dei raid aerei. Vorrei anche sostenere il riconoscimento del crollo tonale che si verifica quando il discorso online diventa una mina moralizzante pronta a esplodere nella quale sembra impossibile assumere il giusto atteggiamento (atmosfera?) attraverso le nostre modalità di reazione disponibili. È visibilmente un problema di Twitter, ma che sta lentamente invadendo Instagram, un tempo rifugio per l'evasione fino all’ascesa delle social justice slideshows, e potenzialmente TikTok che rimane, per adesso, una sorta di rifugio sicuro per l’umorismo irriverente”.
“Le piattaforme tecnologiche hanno rivalutato il valore di ogni interazione online in forma numerico-performativa e, di conseguenza, qualsiasi Evento nell’economia dell'attenzione viene equiparato agli altri in base alle ore di picco raggiunte (per un'analogia grossolana, considera il fenomeno delle spese pubblicitarie del Super Bowl)”.
“Sono finiti i giorni, per il momento, in cui ci riunivamo intorno alla TV del vicino per guardare il lancio del Challenger, o quando organizzavamo una festa per seguire i risultati elettorali con i colleghi. Le nostre piattaforme online essenzialmente ci privano dei mezzi per commiserare esperienze complesse come confusione, paura, orrore, impotenza, vergogna, negazione e persino il bisogno basico di andare avanti con le cose di tutti i giorni, oltre queste sole tre opzioni: metti mi piace, retwitta, pubblica”.
📑Tre storie da leggere (su media e cultura digitale)
1️⃣ L’economia dei creatori cambierà tutto?
Il Web2 – quello in cui ci troviamo attualmente – ha storicamente tratto profitto dal lavoro dei creator, ovvero di ogni utente in grado di produrre contenuti creativi autonomamente generando interazioni e community, sfruttandolo però a favore dello sviluppo di una platform economy, dove sono appunto le piattaforme a nutrirsi di user-generated content, regolandone la visibilità attraverso istruzioni algoritmiche e la monetizzazione attraverso il sistema di advertising. La tokenizzazione porterebbe con sé la promessa di uno stravolgimento di questa dinamica: se è l’utente ad avere la proprietà intellettuale dei suoi prodotti e le condizioni di riproduzione di quest’ultimi, alle piattaforme resterebbe ben poco. Ovviamente, non è così semplice.
► Il futuro della società è nelle mani dei creator?, Priscilla De Pace su Siamomine Magazine (tempo lettura 8 minuti).
2️⃣ TikTok è un barometro musicale
In principio, erano solo balletti. Poi, è successo che TikTok è cresciuto, in numeri e, soprattutto, in maturità. Razzismo sistemico, cambiamenti climatici, salute mentale post-pandemica e parità di genere sono solo alcune delle tensioni culturali che influenzano i creatori da un po’ di tempo. Così, i balletti rimangono e acquistano una terza dimensione: la profondità. TikTok, finalmente, all’alba del 2022 si scrolla di dosso l’etichetta di “social degli Z”, accogliendo community più trasversali grazie a un inestimabile ingrediente: il suono. L’aspetto più interessante della questione riguarda come TikTok abbia rapidamente influenzato la cultura sonora globale, diventando parte integrante della scoperta musicale.
► TikTok e la narrazione musicale, Alice Avallone su Kmagazine (tempo lettura 13 minuti).
3️⃣ Per una “ecologia del dato”
Da sempre i dati di ascolto sono strumenti dal forte valore comunicativo, per quanto improprio, e le metriche e i successi delle piattaforme aggiungono confusione. La singola cifra ha il grande vantaggio di costruire un effetto di evidenza e di realtà immediato, i numeri, se lasciati da soli, non significano nulla, o comunque significano poco. Per uscire dal circolo vizioso della comunicazione fine a se stessa, e anche per comunicare meglio, sarebbe utile istituire una sorta di “ecologia del dato”, che consenta di collocarlo bene, di aggiungergli tutto il suo contorno, di comprenderne di volta in volta natura e implicazioni.
► Sbatti i numeri in prima pagina, Luca Barra su Link Idee per la tv (tempo lettura 11 minuti).
👋Prima di salutarci…
Non è la prima volta che TikTok viene utilizzato come strumento per narrare conflitti, ci ricorda nel suo profilo Twitter la ricercatrice Abbie Richards, qui il suo interessante thread:
#Mediastorm: una newsletter di appunti e idee sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 33 - 11 marzo 2022.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online → Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
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[Per leggere questa newsletter sul web clicca sulla testata. L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].