#Mediastorm 23 – Troppo piccolo, troppo grande
Che parametro dovremmo usare per misurare un social media, e in generale un’azienda dell’industria dei media, per ritenerla della dimensione “giusta”? È la prima domanda che mi è venuta in mente leggendo la notizia e le opinioni in merito all’annuncio delle dimissioni di Jack Dorsey da CEO di Twitter. La maggior parte dei commentatori ha salutato queste dimissioni con favore, c'è anche chi le caldeggiava da tempo.
Tra le ragioni principali dei (molti) detrattori della gestione di Dorsey, spicca il fatto che negli ultimi sei anni (da quando cioè ha ripreso in mano Twitter) nonostante la grande attenzione che il social genera su di sé, non abbia saputo farlo crescere adeguatamente, soprattutto se confrontato con i ritmi di crescita di Facebook.
La cosa è abbastanza strana, visto che oggi quasi tutti sono (siamo) d’accordo che Facebook sia cresciuto troppo, che sia troppo grande e – per tutte le conseguenze che questo suo gigantismo comporta nel mercato e nella nostra società – debba essere in qualche modo limitato.
Da qualche parte, tra il troppo (poco) grande e il troppo (troppo) grande sembra esistere una dimensione “giusta” affinché i finanziatori di un’azienda dell’industria dei media possano ritenerla ancora un buon investimento per potersi arricchire sempre di più e, però, l’opinione pubblica non l’avverta come dannatamente pericolosa. È così?
Benvenuta, benvenuto io sono Lelio Simi e questo è il ventitreesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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Il contesto – Come nota Casey Newton, che scrive come al solito, una delle cose più interessanti sul tema, per un verso queste di Dorsey sono dimissioni sorprendenti:
“Secondo molti parametri, questo è stato un anno eccezionale per Twitter. Le entrate sono in aumento, così come la base utenti. Ha dato il via a più prodotti che probabilmente in qualsiasi altro momento della sua storia.
Ma c’è da tenere di conto che:
“Twitter è quotato in Borsa e la sua lenta crescita (in particolare rispetto al colosso Facebook) ha a lungo irritato gli investitori. La scorsa primavera, l'investitore Elliott Management ha acquisito una quota del 4% nella società e ha annunciato l'intenzione di sostituire Dorsey come CEO. Sebbene poco noto al pubblico, Elliott – un hedge fund controllato dal miliardario Paul Singer – è tra gli investitori più temuti al mondo. Quando è arrivata la notizia, ho scritto che Jack Dorsey avrebbe affrontato la battaglia della sua vita. Così è stato”.
Sulla crescita troppo lenta (oltre il fatto che Dorsey sia stato soprattutto impegnato a gestire Square, la sua altra azienda) insiste anche l’esperto di marketing Scott Galloway in un suo recente intervento:
“Tra il giorno in cui @jack ha reclamato la posizione di CEO e il giorno in cui si è dimesso (6 anni), le azioni di Twitter sono aumentate del 33%. L’indice S&P 500, Facebook e Google sono aumentati rispettivamente del 121%, 283% e 447%”.
Come sappiamo queste stesse aziende che oggi vengono prese come benchmark stanno monopolizzando molti mercati, primo fra tutti quello della pubblicità. Un recente report dell’agenzia Warc prevede che la spesa pubblicitaria per il 2021 raggiungerà i 771 miliardi di dollari aumentando di un ulteriore 12,5% e 8,3% rispettivamente nel 2022 e nel 2023; la spesa pubblicitaria dovrebbe poi raggiungere i mille miliardi di dollari nel 2025. Il report aggiunge inoltre:
“Tuttavia, tre società, Meta, Alphabet e Amazon, ne assorbiranno più della metà”.
Twitter in questo grafico è un piccolo quadratino laggiù in fondo con i suoi 6 miliardi di dollari di ricavi, che però sono circa il doppio dei ricavi del 2020 di un "gigante" come Mediaset (tanto per dare un termine di paragone).
Twitter come d’altronde Facebook, sono nel bel mezzo della loro più grande trasformazione, il primo vuole passare da un social basato su pubblicità e testo a uno basato su abbonamento, comunità più piccole e multimediali; l'altro ha appena lanciato la sua idea di metaverso. Loro due – e nel mezzo tutti gli altri – cercano di raggiunge, o mantenere, ritmi di crescita imposti dal mercato finanziario che ha realizzato i questi anni guadagni mai raggiunti prima.
Gli investitori finanziari hanno basato principalmente (se non unicamente) le loro valutazioni su parametri – numero utenti nei social, numero abbonati nello streaming – che hanno spinto oltre ogni logica misura ponendoli sopra tutti gli altri, drogando così di fatto il mercato. Sono inoltre tutte metriche concentrate unicamente sulla quantità alle quali poco interessa la qualità che generano, che invece è quella che più dovrebbe interessarci per le conseguenze che tutte queste aziende tecnologiche, legate a doppio filo con l'industria dei media, hanno nella nostra “percezione” del mondo.
Per quanto Twitter sia un social con ancora molti difetti (ma anche qualche pregio) bisognerà pur riflettere su quanto il suo futuro debba essere scandito dai parametri cari agli hedge fund. In quel mosaico disegnato dal grafico della Warc, abbiamo più bisogno di “piccole” tessere come Twitter che possano vivere e mantenersi (più o meno) felici nella loro dimensione “troppo poco grande”, magari pensando soprattutto alla qualità generata dai servizi che offrono ai loro utenti. Non il contrario.
📝Tre storie da leggere (su media e disruption digitale)
1️⃣ Netflix ha aiutato il cinema indiano a essere più libero
Le piattaforme di streaming hanno dato ai registi indiani nuove libertà, che adesso sono minacciate dal governo di Modi. Nel 2015, i profitti di Netflix negli Stati Uniti erano diminuiti rispetto all'anno precedente e il mercato americano cominciava a far intravedere una certa saturazione. Quindi Reed Hastings, capo di Netflix, ha guardato all'Asia entrando in India proprio quando centinaia di milioni di indiani hanno scoperto Internet, contribuendo a creare una nuova lingua per lo streaming indiano. Nel 2020, in India, si stima che la sua base di abbonati sia salita a 4,2 milioni. Ma se l'azienda, e più in generale i servizi di streaming, possono avere successo dipende in larga misura da questioni al di fuori del loro controllo.
→ Netflix vs Modi and the battle for Indian cinema’s soul, molto interessante la storia (del marzo di quest’anno) raccontata dalla scrittrice Sonia Faleiro per la MIT Technology Review (tempo lettura 15 minuti).
2️⃣ Le canzoni hanno creato la Silicon Valley
Senza musica la Valley non esisterebbe. In ogni area chiave della tecnologia (semiconduttori, storage, dispositivi palmari, display video, apparecchiature di test, ecc.) i fondi per lanciare e far crescere i titani della tecnologia provenivano dall'industria dell'intrattenimento, e in particolare dal business della musica. Gli studios di Hollywood e le etichette discografiche dominerebbero oggi l'alta tecnologia se avessero semplicemente portato la ricerca e lo sviluppo in-house invece di spedire così tanti soldi nel nord della California.
→ How Music Created Silicon Valley, il noto critico musicale Ted Gioia nella sua newsletter The Honest Broker (tempo lettura 10 minuti )
3️⃣Venti anni della nostra vita
Leggere Jill Abramson è come attraversare gli ultimi vent’anni della nostra vita, almeno nel rapporto con i giornali, o meglio, con l’informazione. E c’è una data precisa che come l’anno zero segna non simbolicamente il cambiamento di fase: l’11 settembre 2001. “I giornali distribuiti quel martedì mattina diventarono obsoleti non appena si schiantò il primo aereo e l’intera popolazione degli Stati Uniti si trovò a dipendere dalle trasmissioni televisive e dalle notizie online”.
→ Mercanti di verità, il nuovo libro dell’ex direttrice del New York Times, Jill Abramson, raccontato da Cesare Martinetti su Doppiozero (tempo lettura 13 minuti).
📈 Chart, chart, chart
📚 Il nuovo rapporto dell’Associazione italiana editori (Aie) fa un quadro dell’industria del libro nel 2021 a “Venti giorni da natale” (così si chiama il report), qui la slide sull’andamento dei singoli canali dove si vede come il valore delle vendite online siano in continuo aumento.
🎙️ Cose a cui ho partecipato
👋Prima di salutarci…
Da un articolo del Corriere d'informazione del 14 agosto 1981.
#Mediastorm: una newsletter sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 23 - 5 dicembre 2021.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui la sua scheda, Lo puoi trovare in libreria oltre che sui principali store online:
Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].