#Mediastorm 17 – Netflix e la rivoluzione "glocal" dei contenuti
Se solo qualche anno fa, all’inizio degli anni Dieci quando ancora non aveva cominciato a produrre per proprio conto contenuti originali, qualcuno ci avesse detto che un’azienda tecnologica nata nella Silicon Valley come Netflix era destinata a diventare la vera padrona di Hollywood realizzando film che solo sporadicamente sarebbero stati proiettati in una sala cinematografica e che, per giunta, il suo titolo più visto sarebbe diventato un serie TV coreana, lo avremmo sicuramente preso per pazzo.
E però, come sappiamo tutti, è andata proprio così. Adesso tutti parlano di Squid Game e, anche da noi, non mancano letture e spiegazioni su che cosa si basi il suo successo planetario.
Per molti versi la serie televisiva ideata da Hwang Dong-hyuk ci dice che nell’era di Internet e della distribuzione simultanea in tutto il mondo a costi che pesano una frazione millesimale rispetto a quelli della “vecchia” industria cinematografica, stiamo assistendo a una globalizzazione dei contenuti che sembra annunciarsi sempre meno americano-centrica (e Hollywood-centrica).
Netflix ha dovuto risolvere molti problemi legati alla diffusione dei suoi contenuti in diverse lingue (un suo progetto molto ambizioso, Hermes, non ha avuto vita semplice) investendo molto denaro nello sviluppare partnership con società locali per sottotitolazione e doppiaggio. Ma cosa significa per l’industria del cinema e della televisione questo cambio culturale?
Benvenuta, benvenuto io sono Lelio Simi e questo è il diciassettesimo numero di #MEDIASTORM una newsletter di appunti, segnalazioni, dati e approfondimenti su come la tecnologia ha trasformato/sta trasformando radicalmente le industrie dei media (e il nostro rapporto con i loro “prodotti”).
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Prima di tutto un riepiloghiamo po’ di dati: Squid Game è costato a Netflix 21,4 milioni di dollari, ma la società ha valutato in 891 milioni di dollari i ricavi generati, in base alle metriche finanziarie che applica per determinare i profitti di un suo titolo. Squid Game ha attirato 111 milioni di visualizzazioni dalla sua uscita il 17 settembre, ha dichiarato Netflix in un tweet, superando il suo precedente spettacolo di punta, Bridgerton, che ha raggiunto 82 milioni di famiglie nei suoi primi 28 giorni di uscita.
Il primato di Netflix, che oggi deve difendere da sempre più numerosi concorrenti, nasce sia dall’aver avuto l’intuizione di puntare tutto sullo streaming in un momento nel quale questa tecnologia non era ancora uno standard, quanto dalla sua modalità di espandersi a livello globale in questi poco più di dieci anni (da settembre 2010 con estensione del suo servizio in Canada); come fa giustamente notare Scott Galloway nella sua newsletter:
“Espandere la distribuzione a livello globale non è una novità. Questa è stata la strategia di Hollywood per generazioni. Pensa ai grandi budget di produzione, effetti speciali. L'innovazione di Netflix consiste nell'impegnarsi in contenuti glocal, contenuti acquistati localmente distribuiti in modo capillare su scala globale. La società sta ora investendo in programmi originali in 40 paesi e ha prodotto spettacoli con sceneggiature originali in 20 lingue straniere. Ha speso più di 1 miliardo di dollari solo per i contenuti coreani”.
Anche su questo fronte Netflix obbliga i concorrenti ad inseguirla per non perdere ulteriore terreno da lei, non è un caso che recentemente la Disney, certo abituata a distribuire a livello internazionale i suoi prodotti, abbia annunciato la realizzazione di ben 27 progetti nella regione dell'Asia Pacifico.
È un cambiamento “culturale” notevole, le major americane che dominano il mercato globale cinematografico erano abituate a misurare comunque il successo di una loro produzione in base al mercato del Nord America (difficilmente un flop nel mercato degli Stati Uniti diventava un successo per merito del mercato internazionale); tanto che, spesso, di fronte a un successo sul mercato internazionale di un film o una serie TV non americana si preferiva farne la versione per il mercato locale (ironia della sorte anche la prima produzione originale di Netflix, House of Cards, è il remake di una serie della BBC).
Oggi però non sembra più così, sicuramente lo sarà sempre meno in futuro. Come fanno notare dall’Economist:
“Il successo dei contenuti in lingua straniera sui servizi di streaming può sembrare sorprendente, visto come storicamente i film stranieri sono andati male sul grande schermo. Secondo il British Film Institute, i titoli in lingua straniera hanno rappresentato il 45% delle uscite al botteghino in Gran Bretagna e Irlanda nel 2019, ma solo il 2,2% degli incassi. Sebbene i film stranieri abbiano rappresentato il 19% delle uscite nordamericane tra il 2003 e il 2017, hanno incassato solo l'1,1% degli incassi al botteghino. L'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, l'organizzazione dietro gli Oscar, è passata quasi un secolo senza assegnare il premio per il miglior film a un film non inglese. Parasite, un'altra produzione sudcoreana, è stata la prima ad aggiudicarsi il premio nel 2020”.
Netflix sta diventando un'azienda sempre più globalizzata e meno dipendente dal mercato statunitense, lo sappiamo da un po’, e in questo sta cambiando l’intera industria cinematografica e televisiva.
Se guardiamo ai ricavi dei primi nove mesi dell’anno vediamo che il peso dei ricavi da streaming (la quasi totalità dei suo fatturato) oggi per il 66% proviene da fuori l’area Usa/Canada.
Può essere interessante mettere in evidenza un dato: guardando ancora i dati riferiti ai primi nove mesi dell’anno e al peso dei ricavi per area geografica vediamo che la distanza tra Stati Uniti/Canada ed Europa (Emea) era di 29 punti percentuali, un distacco notevole che, però, solo tre anni dopo, nel 2021 si è ridotto a 11 punti percentuali.
Quella linea discendente disegnata sul grafico dal peso percentuale dei ricavi degli Stati Uniti e quella ascendente dell’Europa sono destinate ad incontrarsi presto? Potrebbe essere un “passaggio” epocale per una grande media company americana. Nel frattempo, come era logico aspettarsi, a Netflix hanno deciso di “stressare” con gli aumenti del costo degli abbonamenti gli utenti europei e lasciare per un po’ in pace quelli americani.
Altro dato da notare: l’area Asia/Pacifico ha quasi raddoppiato il proprio peso sui ricavi totali da streaming dal 6% all’11%. Una crescita, questa, importante per l’azienda che, come hanno fatto notare dal sito The information, in questa ultima trimestrale ha guidato l’espansione globale degli abbonati, per il resto abbastanza “anemica”. Il successo di Squid Game sotto questo aspetto ha una tempistica perfetta.
C’è un ultimo dato che metto in evidenza: gli investimenti in marketing che nei primi nove mesi dell’anno del 2018 erano di 1,6 miliardi di dollari si sono mantenuti relativamente costanti, mentre quelli impegnati nello sviluppo di tecnologie (algoritmi di raccomandazione ad esempio) sono, nel medesimo periodo, continuamente aumentati fino a raddoppiare.
Il successo globale raccolto da una produzione non certo sostenuta da grandi investimenti in promozione e marketing (almeno secondo gli standard) come Squid Game nasce anche da qui.
📑 Tre cose #daleggere (su media e disruption digitale)
1️⃣ È un pomeriggio di settembre di vent’anni fa quando il cielo sul Fantabosco della Melevisione si oscura; Tonio Cartonio e la Principessa Odessa, fino a quel momento alle prese con i preparativi di una festa di compleanno, vengono risucchiati da una dissolvenza e imprigionati in uno schermo nero. Inizia così l’edizione straordinaria del TG3 che annuncia l’inferno di Manhattan. Oggi la pagina Facebook “Bambini che l'11 settembre 2001 stavano guardando la Melevisione” conta più di 84.000 persone collegate, perlopiù trentenni all’epoca dei fatti ingenuamente rammaricati per l'interruzione del programma, senza rendersi conto del cambiamento che avrebbe da lì a poco coinvolto e sconvolto il mondo intero. Se siano o meno davvero tutti ex bambini traumatizzati non lo sapremo mai, ma in Italia su Twitter ogni 11 settembre l’hashtag #Melevisione entra puntualmente in tendenza.
→ Come l’11 settembre ha cambiato media e cultura visuale, bellissima analisi di Alice Avallone per K Magazine (tempo lettura 18 minuti).
2️⃣ Un’azienda tecnologica ha creato una serie di influencer tramite software, ognuno con una propria trama. Ma come si fa a capire la differenza tra ciò che è reale e ciò che non lo è? Sydney una ventenne bionda al verde che vive sul divano di sua sorella e lavora al servizio clienti in un sito di incontri, in realtà è l'invenzione di un team di scrittori, della società di tecnologia e intrattenimento FourFront che, fino ad oggi, ha lanciato 22 “storie”. “Stiamo creando su TikTok un universo di personaggi in stile Marvel Cinematic Universe. Alcuni hanno successo, altri falliscono: il modello è la stagione pilota della TV, investiamo solo in quelle che ottengono più attenzione”. La società afferma di aver raccolto finora 1,5 milioni di dollari in finanziamenti.
→ What’s the deal with fictional influencers? Si chiede Rebecca Jennings nella sua newsletter “The Goods” pubblicata per Vox (tempo lettura 7 minuti).
3️⃣ Siamo davanti all’ennesimo fenomeno social che sembra senza senso e invece muove montagne di reach ed engagement (rispettivamente l’oro e il petrolio dei social media), crea le agognate dinamiche, talvolta dà uno stipendio mensile, i trash account sono di solito aperti da millennial, “per caso” o per divertimento, per condividere la propria passione per la tv, per dare sfogo a una certa vena nostalgica per programmi del passato, tipo Non è la Rai. È un modo facile e veloce per entrare e rimanere nel dibattito culturale, attraverso la costruzione fordista di drammi che spinge in alto la loro popolarità. Sono ridicoli, talvolta squallidi, a volte danno l’impressione di essere scatole vuote che vanno riempite, ma il loro fallimento è anche la loro forza.
→ L’esercito del trash, il reportage di Laura Fontana per Link Idee per la Televisione (tempo lettura 8 minuti).
🔢L’industria dei media in #numeri
Dati, valutazioni, budget pubblicitari emersi in settimana, insomma un po’ di riferimenti concreti per avere un’idea della dimensione delle industrie dei media nel mondo e in Italia.
🤑 Il fatturato aggregato delle filiali italiane delle Big tech company nel 2020 ha raggiunto i 4,6 miliardi di euro occupando oltre 13mila lavoratori. Il dato, relativo al 2020, emerge dall’indagine annuale sulle maggiori Software & Web companies mondiali redatto dall’area Studi Mediobanca, che ha rilevato come rispetto al 2019 si calcolano quasi tremila dipendenti in più, in massima parte assunti dalle società del Gruppo Amazon che vanta il maggior numero di occupati in Italia (8.193 unità nel 2020). (via Key4Biz).
📺 OTT: una grande maggioranza - l'82% - dei consumatori americani ora guarda una qualche forma di contenuti OTT, mentre solo il 55% continua a guardare la TV via cavo, secondo i dati del report “State of Streaming” della società di analisi Resonate. (via NextTv).
📈 Il valore di Pinterest: PayPal Holdings Inc. sta valutando l'acquisizione della società di social media Pinterest Inc. il potenziale accordo, si basa su un prezzo potenziale di circa 70 dollari per azione per una valutazione di 39 miliardi di dollari. (via Bloomberg/Ansa).
📊 Spesa adv digitale negli Usa. La IAB ha pubblicato una nuova previsione sulla spesa pubblicitaria digitale, le prospettive, elaborate da PwC , prevedono per gli Stati Uniti un aumento relativamente modesto dell'8% nel 2022 a 165,5 miliardi di dollari, seguito da un aumento dell'11,8% a 177,3 miliardi di dollari nel 2023. Si prevede che la spesa pubblicitaria su Internet negli Stati Uniti sarà di 200,3 miliardi di dollari nel 2025.
💸 Netflix ha pagato solo 4 milioni di sterline di imposta nel Regno Unito su 1,15 miliardi di sterline di ricavi provenienti dagli abbonati britannici. La società di streaming ha incrementato di 2 milioni gli abbonati nel Regno Unito. (via Guardian).
🤑 Mercato dei talenti. L'accordo pluriennale tra Netflix e la produttrice e sceneggiatrice televisiva Shonda Rhimes da 100 milioni dollari, firmato nel 2017, si è ora ampliato a una cifra tra i 300 e i 400 milioni, in gran parte grazie al successo della serie Tv da lei realizzata Briedgeton. (Fonte MediaPost)
Prima di salutarci…
Restiamo in tema, una serie di tweet che spiegano un po’ di cose su come funziona l’algoritmo di raccomandazione di Netflix
#Mediastorm: una newsletter sul nuovo ordine mondiale dei media a cura di Lelio Simi - n° 17 - 24 ottobre 2021.
→ #Mediastorm è anche il titolo del mio libro edito da Hoepli nella collana Tracce, qui trovi la sua scheda, oltre che in libreria lo puoi trovare anche su principali store online ad esempio: Hoepli, Amazon, Bookdealer, Ibs, Feltrinelli, Mondadori.
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[L’immagine del logo e nella testata di #Mediastorm è di Francesca Fincato].